di Martino Ragusa.
Il Piacentino è un formaggio prodotto esclusivamente nel territorio di Enna. Le origini del nome così singolare per un formaggio siciliano, sono oscure. È improbabile che abbia a che fare con la città di Piacenza, anche se in molti testi e ricettari antichi io ho trovato la parola “piacentino” come sinonimo di “parmigiano” (per esempio nella Summa Lacticinorum del 1477 di Pantaleone da Confidenza) e anche più genericamente di “cacio da grattare sui maccheroni”. Da una assimilazione all’altra il termine piacentino potrebbe essere arrivato fin quaggiù. Comunque, l’ipotesi più accreditata, sebbene non certa al cento per cento, è che derivi dall’aggettivo “piacenti”, che piace. La mia degustazione di Piacentino l’ho fatta nel caseificio biologico di Pietro Di Venti che alleva 260 pecore comisane libere di nutrirsi delle erbe che crescono abbondanti nelle vallate ennesi fra le quali la “veccia” che garantisce il piacentino migliore.
Tecnicamente, è un formaggio a latte crudo ottenuto da due mungiture, quella della sera e quella del mattino, addizionato di caglio naturale di agnello o capretto. Viene anche aggiunto pepe nero in grani e l’ingrediente che lo rende unico nel panorama dei formaggi italiani: lo zafferano. Ne basta veramente poco, solo 3 grammi e mezzo ogni 100 litri di latte, ma sono sufficienti a dargli un colore giallo intenso e a profumarlo. La cagliata viene compressa nelle fasciare di giunco che lasceranno il tipico disegno sulla crosta. Dopo 48 ore le forme sono salate a secco e infine stagionate da un minimo di 60 giorni fino a un anno. Non sempre si è usato lo zafferano per la produzione del Piacentino. Un tempo si usava la zafferanella selvatica riservando l’uso del prezioso croco solo alle forme destinate alle mense nobili. Ora Pietro usa per tutte le sue forme lo zafferano che lui stesso coltiva nei campi della sua azienda.