Da tempo si parla della presenza di pesticidi nelle banane, una coltivazione che nei Paesi produttori viene abbondantemente trattata con fitofarmaci di vario tipo, generando condizioni di lavoro non certo ottimali per la manodopera locale. Esistono dei rischi concreti anche per la salute dei consumatori, a causa di queste sostanze? Dopo esserci occupati della diffusione e della nocività del glifosato, considerando diversi punti di vista, questa volta approfondiremo alcuni aspetti salienti della bananicoltura, cercando di capire se e quanto i trattamenti ai quali vengono sottoposti questi frutti possono essere pericolosi per il consumo umano.
Coltivazione e commercio delle banane
Le banane sono tra i frutti più consumati, nonché il prodotto ortofrutticolo più scambiato al mondo, apprezzate per la versatilità d’uso, il gusto rotondo e il ricco contenuto nutrizionale, aspetti che possono diversificarsi in base alle varietà. Nella fascia tropicale, sono disponibili tutto l’anno: non a caso la quasi totalità della produzione mondiale – che annualmente supera i cento milioni di tonnellate – avviene in Paesi ubicati in quest’area climatica. Secondo la FAO, è l’India a detenere il primato mondiale in termini di quantità, seguita da Brasile ed Ecuador, anche se quest’ultima nazione domina il mercato delle esportazioni, con circa il 30% del totale, seguita da Filippine, Costa Rica e Colombia.
L’importazione, viceversa, interessa principalmente l’Unione europea e gli Stati Uniti, alimentati dalle produzioni del Centro e Sud America, mentre i frutti filippini soddisfano soprattutto il mercato giapponese ed est-asiatico. L’economia delle banane, nel 2014, valeva 14 miliardi di dollari, con una crescita dell’8,1% rispetto al 2013, ed è facile comprendere l’importanza di questa coltivazione per molte nazioni tropicali in via di sviluppo. Annualmente nel nostro Paese si importano più di 600 mila tonnellate di banane, con un consumo pro capite di 10,5 kg, equivalente a circa 60 frutti per individuo. Anche nell’Italia meridionale, tuttavia, possono crescere alcune varietà di banana, come la Comune di Sicilia, dai frutti piccoli e tozzi.
Dalla piantagione alla fruttiera
Sapete qual è il percorso che questi frutti compiono per arrivare sulle nostre tavole? Eccolo illustrato in sintesi.
- I caschi vengono staccati dalle piante quando i frutti sono ancora verdi, ma completamente sviluppati in termini di dimensioni.
- Dopo la raccolta, vengono trasportati nei punti di lavorazione, dove si effettua il lavaggio, la bollinatura e il confezionamento. Le banane restano nei magazzini per un massimo di 24 ore a 13 gradi centigradi.
- I frutti vengono imbarcati sulle navi, in container alla medesima temperatura, per bloccare la maturazione. Servono quattro settimane per raggiungere i porti europei dal Centro America.
- Sbarcate sulla terraferma, le banane vengono stivate in celle con condizioni climatiche idonee per riprendere e completare la maturazione, dopodiché sono pronte per la distribuzione e la vendita.
La Cavendish e il rischio di epidemie
A dominare il mercato globale e ad arrivare sulle nostre tavole è la Cavendish, una varietà originaria della Cina e del Vietnam, diffusa commercialmente a partire dagli anni Cinquanta come sostituta della cultivar Gros Michel, decimata dalla cosiddetta epidemia di Panama, dovuta a un fungo (Fusarium oxysporum) che attacca le radici delle piante. I banani Cavendish hanno una struttura robusta, un’altezza ridotta (1,8-2,5 metri), foglie abbastanza corte e uno sviluppo rapido, aspetti che costituiscono importanti vantaggi per la coltivazione in piantagioni su larga scala, come abbiamo approfondito, con casistiche diverse, parlando dei frutti dimenticati. Ogni pianta genera un casco da circa novanta “dita”, termine utilizzato per definire le singole banane, per un peso complessivo che può raggiungere i 40 chilogrammi. I frutti sono lunghi tra i 15 e i 25 centimetri, con una buccia piuttosto sottile, aspetto che contribuisce a renderli più fragili e sensibili ai trasporti intercontinentali rispetto a quelli della Gros Michel.
Le piante di questa monocoltura sono moltiplicate per talea (frammento tagliato e piantato nel terreno), senza semi e riproduzione sessuale, aspetto che rende i banani geneticamente identici e quindi più fragili, un fattore di rischio notevole per la propagazione delle malattie, perché non consente l’evoluzione di una resistenza naturale. Una nuova epidemia in grado di resistere ai trattamenti chimici, perciò, potenzialmente potrebbe distruggere intere coltivazioni, tanto che gli esperti sono in guardia contro il pericolo di estinzione della Cavendish. Le piantagioni, quindi, sono particolarmente suscettibili a patologie, funghi e parassiti, che possono compromettere irrimediabilmente le piante e i frutti.
Pesticidi nelle banane
Alla fragilità genetica delle piante, si aggiungono altri fattori di rischio tipici delle zone tropicali, come la maggiore presenza di insetti dannosi e funghi, dovuta al clima caldo-umido tropicale. I lunghi viaggi in nave, dal Sud al Nord del mondo, possono pesare ulteriormente sulle condizioni dei frutti, la cui produzione, peraltro, dev’essere veloce e costare poco, obbedendo a standard specifici riguardo all’estetica e alle dimensioni.
La somma di questi aspetti fa sì che l’uso di pesticidi sulle banane sia elevato, generalmente superiore rispetto a molte altre coltivazioni. Negli ultimi anni le spese per i fitofarmaci in questa industria sono cresciuti notevolmente, tanto che, secondo Fairtrade International, una piantagione nell’America centrale arriva a impiegare 70 chilogrammi di sostanze per ettaro, un quantitativo superiore di oltre dieci volte rispetto a quelli usati per altre colture in Europa e negli Stati Uniti. Ecco alcuni dei fitofarmaci più utilizzati.
- I Benzimidazoli sono una categoria di fungicidi impiegati sia per i trattamenti in campo sia dopo la raccolta, di cui fanno parte il Tiabendazolo (TBZ, E233), il Tiofanato-metile (TM) e il Benomyl, che rapidamente si trasforma nel Carbendazim (MBC), un suo derivato. Il TBZ è usato anche per preservare l’aspetto della buccia e bloccare la maturazione prima della spedizione. Ad alte dosi risulta tossico per l’essere umano e l’esposizione può causare nausea, capogiri, inappetenza e vomito, fino provocare danni al fegato e all’intestino, ritardo della crescita, alterazioni del sangue e del midollo osseo. Questa sostanza è stata recentemente vietata nell’Unione europea, negli USA, in Australia e in Nuova Zelanda, anche se continua a essere consentita la vendita di vegetali importati da altri Paesi che la utilizzano.
- Il Mancozeb, il fungicida più utilizzato, può avere effetti sul sistema nervoso e interferire negativamente sull’azione della tiroide.
- Il Clorpirifos (CPF) è un insetticida in grado di interferire negativamente sul sistema nervoso, sullo sviluppo cerebrale e sull’equilibrio ormonale. Nei bananeti si utilizzano involucri di plastica trattati con questa sostanza per coprire i caschi ancora attaccati alle piante, per evitare la presenza di insetti che potrebbero peggiorare l’aspetto dei frutti.
- L’Imidacloprid è un insetticida neurotossico neonicotinoide.
Un’inchiesta di Indovina chi viene a cena ha mostrato il ciclo produttivo di questi frutti in Ecuador e in Guatemala, dove gli agrofarmaci vengono diffusi per mezzo di piccoli aerei. I lavoratori e gli abitanti che vivono nei pressi delle piantagioni sono quotidianamente esposti alle sostanze. Alcuni trattamenti chimici vengono impiegati solo per rendere le banane perfette sul piano estetico, pur essendo nocivi. L’indagine di Rai3, inoltre, ha evidenziato lo sfruttamento della manodopera locale, così come le storture e i conflitti d’interesse che legano i principali marchi e gli enti di certificazione ecocompatibile, usati soprattutto per migliorare la reputazione delle aziende. La questione del danno ambientale e della presenza di pesticidi nelle acque si aggiunge alle tematiche già coinvolte, specialmente in aree del mondo caratterizzate da foreste pluviali con ecosistemi delicati.
Suggerimenti per l’acquisto e il consumo
A oggi non sono state rilevate contaminazioni dovute alla presenza di pesticidi nelle banane commercializzate nell’Unione europea, anche se, chiaramente, non si può parlare di assenza totale delle sostanze, perlomeno sulla buccia. La professoressa Fiorella Belpoggi, direttore di ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna, intervenuta nell’inchiesta di Indovina chi viene a cena, ha sottolineato i rischi dovuti alla presenza di agrofarmaci sulla superficie dei frutti. L’impatto degli agrofarmaci sulla salute umana, peraltro, è ancora poco studiato e la scienza deve progredire molto nell’identificazione di queste reazioni, come abbiamo già ricordato nei nostri approfondimenti. Ad ogni modo, possiamo proporre alcuni consigli sull’acquisto e sul consumo di banane.
- Un prezzo troppo basso, in genere, cela cattive condizioni produttive e di lavoro. Una banana coltivata dall’altra parte del mondo può costare meno di una mela a chilometro zero? Informiamoci sulla filiera della frutta tropicale e scegliamo la qualità.
- Pur non essendo una garanzia assoluta di sicurezza e qualità, preferiamo le banane con marchio Fairtrade (equosolidale), che certifica migliori condizioni per i lavoratori, vieta l’utilizzo di sostanze chimiche bandite dall’Organizzazione mondiale della Sanità e stabilisce l’impiego della lotta integrata in agricoltura. Il regime biologico potrà essere una garanzia in più sull’assenza di residui di pesticidi sulle banane.
- I frutti vanno sempre lavati all’esterno con acqua calda prima di essere mangiati, ancor meglio se prima di essere riposti nella nostra dispensa, per limitare il rischio di contatto con altri alimenti e superfici dove poggiano i cibi.
Avevate già sentito parlare di pesticidi nelle banane?
Fonti:
FAO
Insidermonkey/WTEx
Atlante delle coltivazioni arboree
Indovina chi viene a cena
BananaLink
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