Immergere la mano in una cesta colma di riso e afferrarne un pugno può essere un’esperienza curiosamente piacevole. Scoprire quale percorso ha compiuto il riso prima di arrivare in quella cesta, nel nostro pugno, nella nostra minestra, sulla punta della nostra forchetta e per finire nelle nostre bocche, può esserlo ancora di più. Ed è proprio questa sensazione curiosamente piacevole quella che si prova leggendo il libro di Ina Ghisolfi “Per un pugno di riso”, Blu Edizioni, un dettagliato e interessante viaggio nel mondo dei chicchi di riso con prefazione di Alberto Sinigaglia.
Come nasce il riso? Com’è arrivato sulle nostre tavole? Perché cresce nell’acqua? A quali processi di lavorazione è sottoposto? Quali le varietà più diffuse? Quale il modo più appetitoso, più veloce, o più semplice per prepararlo? Una breve ed efficace presentazione del cereale più chiacchierato, più di cento appetitose ricette per imparare a gustarlo.
Il libro ripercorre ad ampie vedute la storia e la geografia del riso, dai luoghi che ne furono la culla ai paesi che attualmente detengono il primato della distribuzione, dai popoli che lo producono a quelli che effettivamente lo consumano, evidenziando come spesso, questo cereale, abbia influenzato la cultura e la vita di quelle genti. Seguendo le fasi della coltivazione, si spiegano la struttura della pianta e le caratteristiche del chicco, si racconta il processo di lavorazione, si esaminano gli aspetti nutrizionali del riso e le sue proprietà organolettiche. Tutto ciò facendo grande compendio del prezioso bagaglio di tradizioni popolari che al riso sono legate.
A fare da cornice a questa ossatura del libro, prettamente tecnica ed esplicativa, la densa nebbia del ricordo. Seguendo la trama delle parole intessute dall’autrice, vi sembrerà quasi di trovarvi immersi nella campagna lombarda, accanto a lei ancora bambina che indaga con occhi attenti l’avvicendarsi dei lavori nella cascina di famiglia. Proprio il ricordo di questo mondo dal sapore un po’ arcano, funge da collante nella sezione del libro dedicata alle ricette, ognuna delle quali è preceduta da una breve introduzione che spiega il particolare momento della stagione a cui era legata la preparazione di quel dato piatto. Poi una cospicua rassegna di ricette a base di riso tipiche delle varie regioni: dai risotti alle minestre, dai tortini alle frittelle, dal salato al dolce. E ancora consigli, curiosità, storie, aneddoti. Poco più di trecento pagine che mettono tanto appetito e una gran voglia di preparare un risotto anche solo per poter utilizzare quello avanzato nella preparazione di crocchette e frittelle.
Due brani tratti dal libro:
Le mondine
Le mondine, chiamate anche mondariso, erano lavoratrici stagionali impegnate nelle risaie in occasione del trapianto e della monda del riso. Con il verbo “mondare” s’intende l’attività di pulire la risaia dalle erbacce (giavone, gramigna, riso crodo, erba cipollina…) che la infestano e impediscono alle pianticelle di riso di crescere. Il lavoro delle mondine iniziò alla fine del settecento per concludersi negli anni Sessanta del Novecento, in concomitanza con l’introduzione di pesticidi e della meccanizzazione del lavoro.
Si trattava di un lavoro faticoso, perciò effettuato da donne di umile estrazione sociale, locali e forestiere, che si trasferivano lontano da casa per circa quaranta giorni per prestare opera nelle risaie del Vercellese, del Novarese, del pavese.
La monda si svolgeva con la schiena curva e con le mani immerse nell’acqua per intere giornate, con l’acqua a volte fino alle ginocchia e con i piedi scalzi affondati nel fango: calze di filanca spesse a protezione di sanguisughe, rane e bisce d’acqua e fazzoletto al collo contro le zanzare, calzoncini o mutandoni per avere movimenti liberi, cappello di paglia (caplina, capela) a larghe tese contro il sole.
Era compito delle mondine anche il trapianto del riso: toglievano le piantine giovani, seminate fitte fitte nel semenzaio, e le trapiantavano nel fango di un campo prosciugato con le chiuse. I cavallanti, con le slitte tirate dai cavalli, “servivano” le donne gettando loro mazzetti di piantine già pronte per il trapianto. Nelle loro divise multicolori, le mondine lavoravano in squadre sino a cento, centocinquanta sullo stesso fondo, sempre controllate dal padrone, il “siur padron da li beli braghi bianchi”, o dal fittabile.
Le dure condizioni di lavoro, con orario inizialmente anche di dodici ore e paga inferiore a quella degli uomini, generavano il malcontento che sfociò nei tumulti del 1906, con i quali le mondine ottennero, con le famose otto ore, anche l’uso obbligatorio e gratuito del chinino per la prevenzione della malaria.
Perché il riso cresce nell’acqua?
Innanzitutto perché nell’acqua il riso è nato, quindi la memoria storica della coltivazione millenaria ha mantenuto questa tradizionale tipologia di coltivazione. Poi perché in passato si sono sfruttati i terreni paludosi, prima incolti, che con la messa a dimora del riso sono diventati più produttivi di altri, quindi più redditizi. Infatti la rete idrica di canalizzazione nelle regioni risicole ne ha incrementato moltissimo la produzione, anche per l’esportazione. Infine, e soprattutto, perché l’acqua esercita un’importante funzione di protezione: è un isolante termico contro le escursioni diurne e notturne e assicura una migliore crescita del riso a temperatura costante, mentre soffoca le erbe infestanti. Il riso, coltura di origine tropicale, è infatti molto sensibile alle variazioni di temperatura e alle irruzioni di aria fredda che possono verificarsi nel periodo che precede la prefioritura a medie latitudini. Per questo motivo i risicoltori utilizzano da sempre la “gestione dell’acqua di sommersione”, che tende a mitigare le differenze di temperatura, quindi assicura protezione termica alla pianta. Inoltre nei campi con poca acqua si diffonde di più il giavone rosso, mentre nell’acqua si moltiplicano insetti e animaletti che giovano alla pianta e assicurano l’equilibrio dell’ecosistema.
Due ricette tratte dal libro:
Risotto con le noci
Che il risotto alle noci abbia proprietà afrodisiache? Fatto sta che era proverbialmente indicato come il piatto ideale per le coppie di sposi (ris e nus, mangià di spus, riso e noci, cibo degli sposi). Forse le noci, magari unite all’uva, erano segno di abbondanza e prosperità? Oppure di cibo eccellente, degno di un pranzo di nozze? O ancora, più semplicemente, era solo questione di assonanza? Sta di fatto che le noci con il riso si sposano davvero bene, il loro è un connubio felice, specie se si ha fretta e in casa non c’è molto altro.
Ingredienti
- • 350 g di riso (Arborio o Vialone Nano IPG)
- • 30 g di burro
- • Un cucchiaio di olio extravergine d’oliva
- • 1,5 l di brodo
- • 3 cucchiai di mascarpone
- • Almeno 12 gherigli interi di noci (circa 200 g di noci col guscio)
- • Una manciata di parmigiano grattugiato
- • Un bicchierino di vino bianco o brandy (facoltativo)
- • Sale e pepe
A piacere:
- • 2 pere decana
- • 100 g di gorgonzola dolce
In una casseruola fate fondere il burro con l’olio. Quando il condimento sarà ben caldo, aggiungete il riso, continuando a mescolare con un cucchiaio di legno in modo che si insaporisca bene. a piacere, dopo aver fatto tostare il riso, potete spruzzarlo con vino bianco o con un bicchierino di brandy. Versate poco per volta il vino bianco mescolando spesso. Mentre il riso cuoce, tritate grossolanamente i gherigli. Dopo circa 15 minuti di cottura, regolate di sale, aggiungete le noci e una manciata di pepe. Per variare potete aggiungere anche le pere (una a tocchetti, l’altra frullata) e il gorgonzola in pezzettini. Finite di cuocere facendo sciogliere il formaggio, mantecate con il mascarpone e servite con parmigiano grattugiato.
Salame dolce di riso
Il salame dolce di riso e la variante del classico salame a base di cioccolato e biscotti. Il riso ha la prerogativa di punteggiare di bianco il cacao, come se fosse il grasso del vero salame. È una ricetta facilissima, che ho imparato da bambina.
Ingredienti
- • 250 g di biscotti secchi tipo gallette sbriciolati finemente
- • 200 g di burro
- • 200 g di zucchero
- • 180 g di riso Balilla
- • 2 uova
- • 100 g di cacao amaro in polvere
- • 2 cucchiai di liquore ratafià o rum o acqua di fiori d’arancio
Lessate il riso nel latte molto lentamente, fino a che quest’ultimo sarà completamente assorbito. Fate poi fondere il burro a bagnomaria oppure nel microonde, lasciatelo intiepidire e unitevi i biscotti sbriciolati e a seguire lo zucchero, il cacao, le uova e il liquore, mescolando fino ad amalgamare bene il tutto. Aggiungete il riso cotto nel latte solo quando sarà freddo (facendo attenzione che non si formi la pellicola) e mescolate tutto Rapidamente. Stendete il composto su un foglio di alluminio o di carta forno e dategli la forma di un salame. Avvolgetelo stretto e lasciatelo rassodare in frigorifero per almeno 3 ore. Al momento di servire, eliminate la copertura e tagliatelo a fette, come se fosse un vero salame.
di Caterina Maddi