Panissa piemontese

Panissa piemontese, storia e curiosità di una delizia tipica

Angela Caporale
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    Una ricetta che unisce le storie contadine di una intera regione, e che nasce dalla tradizione povera delle campagne. E che proprio dall’usare ciò che si aveva in casa prende il suo nome, diventando però nel corso dei decenni esempio di cucina italiana, portato in tutto il mondo dagli emigranti. È la Panissa piemontese, il risotto mantecato povero negli ingredienti ma ricchissimo di storia, che sveliamo e scopriamo insieme. 

    Panissa piemontese, una ricetta dal nome incerto

    La Panissa piemontese è solo uno dei tanti piatti che rappresentano la ricca tradizione culinaria di questa regione, affiancata da altre delizie come la Bagna Cauda, il Bollito e il Vitello Tonnato, che sono parte integrante della cultura gastronomica locale, ricca di piatti tipici regionali molto apprezzati anche fuori dal Piemonte. 

    L’origine del nome è incerta, probabilmente derivante dal panigo, una varietà di miglio che è progressivamente scomparsa, soppiantata dal riso. Proprio il riso è l’ingrediente principale di questo piatto povero tipico della tradizione piemontese, a cui venivano aggiunti gli ingredienti che i braccianti agricoli avevano a disposizione. 

    Nelle case contadine non mancavano i legumi, di cui il fagiolo è il principe, la cipolla, con magari un sedano, qualche carota, sale e pepe e il salame. In particolare il salame della duia, o in piemontese, salame d‘la doja, un insaccato di maiale fatto maturare nello strutto fuso, che gli permette di restare morbido e non seccare. Se la situazione lo permetteva,  si poteva aggiungere del lardo, o della cotica, e magari anche qualche verdura. Ciò che però non poteva mancare e non mancava nelle cucine contadine era il vino rosso, usato per colorare e sfumare il riso.

    Da dove ha origine la panissa?

    Panissa in cottura

    IsabellaO/shutterstock

    Se l’origine del nome è incerta, sappiamo qualcosa di più a proposito dell’origine di questo piatto. La Panissa, infatti, nasce nelle campagne di Novara e di Vercelli, da qui è stata poi importata in tutto il Piemonte dai lavoratori stagionali, e da lì in tutto il mondo. 

    Nasce nelle risaie dove i braccianti venivano spesso pagati soltanto con un pugno di riso. Una volta rientrati a casa, avevano bisogno di far fruttare al meglio la paga di giornata e quindi hanno iniziato a cucinarlo con quello che c’era a disposizione. Una ricetta povera, ma che doveva essere sostanziosa poiché spesso rappresentava l’unico pasto della giornata e doveva dare energia sufficiente per affrontare le dure giornate di lavoro nelle risaie. 

    Se il luogo della nascita della panissa è ben chiaro, molto meno è la sua datazione. Sappiamo che il suo sviluppo è strettamente legato alla diffusione della coltivazione del riso nelle aree del vercellese e del novarese, territori resi fertili grazie all’opera di canalizzazione dei monaci cistercensi che fondarono anche l’Abbazia di Santa Maria di Lucedio. Questi, stabilitisi nella zona nel XII secolo, contribuirono all’introduzione delle prime colture di riso, che trovò un terreno ideale nella Pianura Padana, dove c’era ampia disponibilità di acqua e un clima umido.

    Le prime documentazioni scritte che menzionano l’uso del riso nelle ricette piemontesi risalgono al XVI secolo, nonostante ciò, la Panissa come la conosciamo oggi potrebbe aver avuto origine solo più tardi, nel corso del XVII o XVIII secolo, quando l’uso del riso divenne più accessibile anche tra le classi popolari. Un aspetto interessante è che, mentre altre pietanze a base di riso come il risotto, erano spesso considerate piatti ricchi riservati alle classi più abbienti, la Panissa è rimasta a lungo un pasto delle classi contadine. 

    Come si prepara la panissa piemontese?

    Panissa vercellese, ricetta originale

    Fanfo/shutterstock

     

    Esistono ancora oggi delle differenze sostanziali nella ricetta tra la panissa vercellese e la paniscia novarese, e non c’è una ricetta ufficiale dogmatica tramandata ai nostri giorni. È ben chiaro però cosa non può mancare: un soffritto per il riso, di varietà Arborio, Baldo, Sant’Andrea o Maratelli, i fagioli, cipolla, vino rosso, preferibilmente Barbera o altre DOC dei colli piemontesi, e infine un prodotto della lavorazione del maiale.

    Poi quando è il momento di mangiare, poco importa degli impiattamenti: la Panissa era ed è un piatto conviviale, che scaldava il corpo e l’anima al termine di una lunga e fredda giornata di lavoro nella risaia. E questo si è tramandato fino ai giorni nostri tant’è che la Panissa è protagonista di molte sagre piemontesi, soprattutto nelle province di Vercelli e Novara, dove ogni anno si celebrano eventi dedicati al riso e ai piatti tradizionali. Una delle più famose è la “Sagra della Panissa” che si tiene a Vercelli nel mese di agosto, durante la quale i visitatori possono assaporare la ricetta originale preparata secondo la tradizione. Nelle trattorie locali, la Panissa viene spesso servita come piatto forte, abbinata a un bicchiere di vino rosso piemontese, mantenendo vivo il legame con la cultura contadina e la convivialità delle tavolate familiari.

     

    Conoscevi già questo piatto?


    Immagine in evidenza di: marco mayer/shutterstock

    Angela, con passaporto friulano e cuore bolognese, vive a Udine e si occupa di giornalismo e comunicazione in ambito culturale e sociale. Ha pubblicato due libri e dal 2016 collabora con Il Giornale del Cibo, dove scrive di sostenibilità, sociale e food innovation. Il suo comfort food sono i tortelloni burro e salvia, per i quali ha imparato a fare la sfoglia, condividendoli ogni volta che ne sente il bisogno.

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