Non sembra trovare ancora una soluzione condivisa il caso del panino libero. Doveva essere questione di giorni e invece l’attesa per le linee guida nazionali promesse a fine ottobre dal Ministro all’Istruzione Giannini non sono arrivate e, ora che la prima carica del MIUR è stata sostituita, i tempi potrebbero dilatarsi ulteriormente. Alla guida del dicastero sale Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, sindacalista e paladina dei diritti delle donne, chiamata dal premier incaricato Paolo Gentiloni a dare completa attuazione alla Buona Scuola. La macchina scolastica intanto funziona a pieno regime e, in un modo o nell’altro, le richieste del “pasto da casa” devono essere accolte secondo quanto stabilito dal tribunale di Torino la scorsa estate.
In attesa del pronunciamento della Cassazione
La vicenda è ormai ben nota: in giugno di quest’anno 58 genitori torinesi esasperati dal caro-mensa vincono una battaglia legale e ottengono il diritto di far rimanere i figli a scuola per il tempo pieno senza però usufruire della mensa. A settembre i giudici rigettano il reclamo presentato dal MIUR ribadendo che il “diritto al panino libero” è esteso a tutti, non solo a chi ha intrapreso l’azione legale. La sentenza assume dunque valore su tutto il territorio nazionale, almeno fino alla discussione del ricorso in Cassazione. Poi si vedrà. Ma come si stanno comportando nel frattempo Comuni, Istituti scolastici e genitori?
I Comuni mettono le mani avanti e chiedono intervento del MIUR
Dopo la sentenza di Torino l’Anci ha subito chiesto ai ministeri di Istruzione e Salute di fare chiarezza riguardo alle linee guida da adottare. L’Associazione dei comuni italiani ha ritenuto necessario ribadire i confini delle competenze comunali, che riguardano esclusivamente “la messa a disposizione di locali adeguati […] e la fornitura di un servizio di refezione collettiva che garantisca, unicamente per gli utenti iscritti al servizio, un pasto di qualità, equilibrato e servito nel rispetto di tutte le norme igienico sanitarie”. Che è come dire: prendiamo atto della sentenza, ma se saranno necessari frigoriferi, forni a microonde e addetti alle pulizie per gestire il pasto da casa non venite a battere cassa in Comune, perché queste sono responsabilità dell’istituto scolastico.
Vietato introdurre cibo domestico nei refettori
La sentenza ha preso tutti alla sprovvista e i problemi si sono presentati all’avvio dell’anno scolastico. Perché, sentenza o non sentenza, quando suona la campanella i bambini devono mangiare e l’unico diritto su cui non si discute è quello dei più piccoli ad un pasto sano ed equilibrato, da consumare in un ambiente sereno e di pari accesso per tutti. Ha fatto notizia il caso di una bambina allontanata dalla mensa in una scuola elementare di Milano. Secondo la madre, la bimba sarebbe stata accompagnata in un’altra aula e lasciata da sola a consumare il pasto portato da casa. La decisione del dirigente scolastico, che tante proteste ha suscitato, era tuttavia in linea con la circolare inviata dal Comune a inizio anno, in cui veniva disposto il divieto a introdurre cibo dall’esterno nei refettori.
L’effetto domino della sentenza di Torino
Il caso di Milano è stato il primo segnale dell’effetto domino provocato dalla sentenza di Torino e ha evidenziato la confusione normativa e l’impreparazione degli attori coinvolti nella gestione delle mense ad affrontare le richieste del pasto da casa. Come ha fatto notare Nicola Puttilli, vicepresidente dell’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici, in un’intervista rilasciata al Giornale del Cibo, la situazione poco chiara e la mancanza di disposizioni coordinate tra Ministero e istituti scolastici rischia di ripercuotersi sui bambini.
Serve una nuova legge che includa normative per il pasto da casa
Fino all’anno scorso i genitori potevano decidere se iscrivere i figli alla mensa o riportarli a casa per il pranzo. Le disposizioni ministeriali in materia non si sono ancora adeguate alla possibilità della “terza scelta”. Nel decreto legislativo che regola l’erogazione del servizio nelle scuole dell’infanzia e primarie (Dlgs 59/2004) si legge che “i servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche […], vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente”. Non c’è evidentemente alcun riferimento alla provenienza del pasto e, così come è formulata, la normativa demanda la gestione alle scuole.
Il rimpallo delle competenze tra Scuole e Comuni
Per legge la scuola deve quindi prevedere un organico adeguato a coprire l’orario della refezione fino alla ripresa delle lezioni pomeridiane. Ma, come abbiamo detto più volte, la mensa non è né obbligatoria né gratuita e vi si accede per domanda individuale. Dovrebbe dunque la scuola accollarsi anche il costo della sorveglianza (e infine delle pulizie) per i bambini che consumano il pasto da casa? Dovrebbe farlo invece il Comune? Come ha fatto notare Cristina Giachi, vice-sindaco di Firenze e presidente della Commissione istruzione dell’Anci, “A Firenze si parla di 23mila pasti al giorno. Se sono solo 100 a prendersi il panino cambia poco ma se diventano otto mila cambia la dimensione del servizio”. E cambiano naturalmente anche i costi da sostenere.
A Torino le iscrizioni alla mensa calano del 10%
Non c’è legge o circolare comunale che possa giustificare la decisione di allontanare una bambina dalla mensa e lasciarla da sola a mangiarsi il suo panino. I bambini vanno tutelati in ogni caso. La vicenda impone delle riflessioni simili a quelle emerse nel caso di Corsico e del servizio negato dal Sindaco alle famiglie morose. Ma anche le ripercussioni che il diritto al “panino libero” sta avendo sulla gestione del servizio mensa non sono di poco conto. A Torino, dove è nata la protesta, il Comune ha rilevato un calo delle prenotazioni del servizio dell’ordine del 10%, per un totale di 3.300 famiglie che hanno chiesto di consumare il pasto domestico. Sono numeri che, come segnalato dalle aziende di ristorazione, hanno “evidenziato problemi di ordine organizzativo, di sicurezza e di ricaduta occupazionale”.
Emilia Romagna: l’Urs dice no
In una nota dell’Usr Piemonte si legge che i bambini devono “poter consumare il pasto domestico nei locali adibiti a refezione scolastica, anche attraverso l’individuazione di apposite aree dedicate. Il servizio di pulizia, laddove necessario, sarà assicurato dal personale ATA dell’istituzione scolastica negli spazi dedicati al consumo del pasto domestico”. Quasi tutti gli Uffici scolastici regionali si sono allineati e hanno dovuto riconoscere il diritto sancito dal tribunale di Torino. Fa eccezione il direttore dell’Urs Emilia-Romagna Stefano Versari: consumare il pasto domestico a scuola non si può, almeno finché non c’è «un accordo sull’aspetto organizzativo e igienico-sanitario tra gli enti locali, le Ausl e le stesse istituzioni scolastiche».
Le Scuole decidono in autonomia
Al di là delle note dei Provveditorati, l’autonomia riservata alle scuole permette ai dirigenti scolastici di gestire in modo “personalizzato” le richieste del pasto da casa. La maggior parte ha già autorizzato la “schiscetta” in locali di fortuna, ma c’è chi vieta l’ingresso a scuola di cibo preparato a casa. Si tratta di decidere se lasciare che i bambini mangino tutti assieme nello stesso refettorio; se provvedere a personale aggiuntivo per la sorveglianza e per la pulizia degli spazi utilizzati; se attrezzare le scuole di appositi frigoriferi e scaldavivande.
Panino libero: chi provvede alle pulizie?
Nel mirino delle proteste c’è anche la manutenzione e la pulizia dei locali. A Torino, dove le richieste sono state più numerose, un gruppo di lavoratrici delle mense ha segnalato un generale scadimento delle condizioni di igiene. Dei 44 addetti in più promessi dal Provveditorato ne sono arrivati solo quattro, e per pulire i locali adibiti al “pasto fai da te” è stato chiesto al personale mensa di svolgere del lavoro supplementare. Sulla questione è intervenuta anche l’assessore all’Istruzione Federica Patti, che ha provocatoriamente consigliato alle dipendenti di occuparsi esclusivamente “delle aree di loro competenza e di segnalare il disservizio ai dirigenti”, in modo da spingere il Ministero a risolvere il problema.
Denunce, raccolta firme e proteste: il fronte dei genitori
Anche il fronte delle famiglie è più che mai diviso. A Lucca sono partite tre denunce. Alcuni genitori accusano Comune e scuola di ostacolare il diritto al pasto portato da casa e, in alcuni casi, di adottare modalità discriminatorie nei confronti dei bambini, costretti a consumare il proprio pasto in zone o in orari diversi da quelli della mensa. A Torino è in corso una raccolta fondi che permetterà al comitato caro-mensa di costituirsi in Cassazione e anche a Genova è stato depositato il primo ricorso per vedere riconosciuto il pasto libero a scuola.
Si tratta di casi isolati ma tuttavia emblematici di quanto il sistema delle mense scolastiche necessiti di una rivisitazione normativa da parte del MIUR, che indichi a scuole, famiglie e aziende di ristorazione quale linea di comportamento adottare. Non sempre, inoltre, il ricorso alle vie legali è indice di un’accusa alle mense tout court. Come spiega Silvana Alterio, portavoce di uno dei Comitati genitori: «Il nostro ragionamento è di più ampio respiro: noi non vogliamo la scomparsa della refezione scolastica, ma bensì una mensa di qualità”.
Per avere una visione più approfondita sulla situazione delle mense scolastiche all’indomani della Sentenza di Torino, leggi anche Se la scelta è fra il pasto da casa e una mensa equa, Pasto da casa. A San Donà nessuna richiesta, Pasto da casa: la salute ci guadagna?.