Il panificio a conduzione familiare si trova a Esporlatu, politicamente in provincia di Sassari ma come usi e costumi figli della provincia di Nuoro, azzarderei a dire molto vicini come indole e vivere quotidiano ai Barbaricini, in questo villaggio che sorge col confinante Burgos ai piedi della collina aguzza sovrastata dal castello del Goceano , le tradizioni grazie a Dio resistono, e tra queste quella di produrre il pane in casa.
Titolare del panificio che ho visitato è la signora Efisia Carta che aiutata dai due figli maschi, e da qualche volenterosa ragazza del paese producono una delizia sana e genuina impagabile.
Il loro è un lavoro duro che comincia molto prima dell’alba e si protrae ben oltre il tramonto, nel forno il fuoco più o meno alto è acceso 24 ore su 24 in modo tale che resti in temperatura.
Il lavoro più faticoso, come impastare lavorare la pasta e trafilare, è affidato a macchine modernissime, ma per le fasi delicate come la cottura e la tostatura solo la perizia e l’occhio umano possono decidere i tempi e i movimenti.
Si parte alle ore piccole impastando rimacinata di grano duro con acqua sale e lievito.
La pasta ottenuta dopo il riposo dovuto, viene trafilata in nastri larghi 50 cm. Da questi nastri, manualmente con un taglia pasta, vengono tagliati dei dischi di 40 cm di diametro.
Questi dischi vengono fatti lievitare a due a due affiancati tra due strati di tessuto di lino o di cotone, questo tessuto si presenta come un nastro largo 50 cm e lungo anche 10 metri, e tra le sue pieghe trova riparo la pasta che lievita al riparo da spifferi.
Ora arriva il lavoro più difficile che richiede esperienza e colpo d’occhio visto che la cottura dura pochi secondi: quando i dischi sono lievitati a puntino vengono con una paletta di legno introdotti nel forno, posati sul fondo caldo, e immediatamente a opera del calore e del vapore acqueo che si forma, i dischi di pasta si gonfiano.
L’operatore smuove il disco con la paletta facendo in modo che la cottura sia uniforme da tutti i lati, com’è pronto viene bello gonfio estratto dal forno e lanciato nella postazione dove una ragazza con le mani d’amianto lo taglia tutto attorno alla circonferenza ricavando due dischi, che vengono impilati uno sull’altro.
Quando tutto il pane previsto ha superato la prima cottura, si passa alla seconda parte: i dischi vengono ripresi uno per uno e a 5 o 6 alla volta stesi sul pavimento del forno con la parte non tostata sopra.
Pochi secondi di calore e l’occhio esperto e vigile dell’operatore giudica quando e ora di estrarlo e lanciarlo ancora una volta nella postazione della ragazza che farà delle pire del peso finale convenuto che verranno fatte raffreddare gravate da un peso, affinchè i dischi siano il più possibile piani. Basta guardare i pesi usati in questa operazione che la dicono lunga per capire come la lavorazione oltre che casalinga è casareccia!
Quando il pane è completamente freddo verrà impachettato e venduto (vista la qualità del prodotto) a un prezzo irrisorio al di sotto dei 4 euro al chilo, per questo pane viene data una scadenza di 6 mesi, ma si conservato in modo ottimale lontano dall’umidità o odori estranei e buono ancora dopo un anno.
Questo pane vista la salubrità, la mancanza di mollica, la conservabilità e leggerezza digestiva, non dovrebbe mancare mai nelle scorte di casa. Lo si può consumare friabile e croccante, o inumidito sotto un filo d’acqua, e allora si presta anche per fare la scarpetta nel sugo rimasto in fondo al piatto, o per arrotolare con salumi o altro dei deliziosi sigari che possono attentare alla linea ma non ai polmoni.