di Martino Ragusa.
Se anche voi, come me fino a oggi, pensate al pane come a un alimento tipico del meridione, è sicuro che in Alto Adige cambierete idea. Il nord ha molto da dire a proposito di pane, e soprattutto in termini di varietà. Sapete quanti diversi tipi ne circolano fra queste valli e montagne? Più di sessanta! Credo proprio che si possa parlare di record.
Tanta fantasia è dovuta all’isolamento dei masi che ha portato ogni famiglia a personalizzare la propria ricetta variando le proporzioni tra le farine di frumento e di segale adoperate per la preparazione della maggior parte dei pani altoatesini. La percentuale di farina di segale era determinata dall’altitudine del maso, più alta era la quota montana e maggiore era la percentuale di farina di segale, un cereale più rustico del frumento e più adatto al clima montano. Nei masi situati oltre la quota di crescita del frumento, il pane era di segale integrale.
Altra fonte di varietà furono i condimenti, mai costituti da grassi come nel resto d’Italia (pensate ai pani all’olio, al latte, al burro) ma sempre e solo da spezie, erbe e semi. I più usati sono il cumino, il sesamo, il coriandolo, il finocchio, e poi ancora semi di papavero, dizucca, di girasole, di lino.
Un aroma tipico usato solo da queste parti è la trigonella o fieno greco. È a quest’erba che si deve il sapore leggermente amarognolo e fienoso di alcuni tipi di pane e soprattutto la sensazione di “sentirsi in Alto Adige” quando si assaggiano. Infine, nel gioco delle varietà entra anche la forma, diversa per ciascun tipo e non sempre dovuta alla fantasia della contadina-fornaia. L’altezza di un pane, per esempio, varia con la quantità di farina di segale adoperata, più è abbondante e più bassa sarà la pagnotta.
Il pane-simbolo di tutta la regione è lo Schüttelbrot, conservabile per un anno. È il più basso di tutti, non ha mollica ma è fatto di sola crosta ed è composto di farina di segale, lievito acido (Sauerteig) e semi di cumino. Ha l’aspetto di un disco color nocciola chiaro, ma se è stato fatto come si deve, cioè a mano, il centro sarà bruno e tendente al bruciacchiato.
Quello che al profano sembra un difetto, è invece la garanzia della fattura artigianale. Schüttelbrot significa “pane scosso”, e non potrebbe chiamarsi altrimenti visto il metodo di lavorazione. Quando il panetto di farina di segale raggiunge i tre quarti della lievitazione, viene posto su un tavoletta di legno rotonda, girato di qualche grado e battuto contro un piano rigido. La sbattitura continua per ogni frazione di giro e alla fine la pagnotta che prima era tondeggiante rimane appiattita sulla tavola. Cioè si trasforma in un disco più spesso ai bordi e più sottile al centro per via dei colpi ricevuti durante la rotazione. A questo punto è pronto per il forno dove, inevitabilmente, il centro più sottile si cuocerà prima del resto risultando più scuro.
Tutte queste cose le ho imparate da Johann Trenker, panificatore di Dobbiaco, dal quale, per la prima volta in vita mia, ho anche sentito usare il termine “stagionatura” a proposito del pane. Mi stava mostrando un altro pane tipico del Sud Tirolo, la Puccia Pusterese (qui si chiama Pusterer Breatl), un bel pane da mezzo chilo dalla crosta scura fatto con due terzi di farina di segale e uno di frumento, e aromatizzato con trigonella, semi di finocchio, cumino e coriandolo. Il pane era caldo e secondo me pronto all’assaggio, ma lui me ne ha somministrato un’altra fetta evidentemente più anziana.
“La puccia di un giorno non è neanche puccia – ha dichiarato con il suo accento sempre solenne per l’orecchio italiano – Migliora dopo ventiquattro ore che è uscita dal forno. E solo se la lasci stagionare due giorni diventa la vera puccia. Per questo teniamo i pani sulle rastrelliere e in posizione verticale, in modo che non si tocchino l’uno con l’altro e siano ben areati da tutte le parti. È un’abitudine che è rimasta dai tempi, neanche così lontani, quando il pane si faceva solo due o tre volte l’anno e doveva durare almeno quattro mesi se si trattava di puccia pusterese. Lo Schüttelbrot durava anche un anno. Quello sì che era pane stagionato!”
In un’Italia che va in crisi di astinenza da pane fresco la domenica, dovete ammettere che è un’affermazione stupefacente. La lista dei pani altoatesini, come avete capito è lunghissima, e non vi annoierò raccontandovi tutti e sessanta i tipi che potrete divertirvi a scoprire da soli. Però vi voglio raccomandare di assaggiare il Paarl originario della Valvenosta. È fatto con gli stessi ingredienti della puccia, ma ha un aspetto molto diverso, ed è risaputo che la forma e le dimensioni cambiano il gusto del pane. Paarl significa “coppia” e infatti è composto da due pagnottelle gemelle basse e unite fra loro.
Se le pagnottelle unite fra loro sono tre, vi trovate davanti a un Pindl, originario della Val D’Ultimo ma molto diffuso anche in Val d’Isarco con il nome di Dreierle. Non perdervi i Kletzenbrot, pani alla frutta arricchiti con pere secche, nocciole, uva sultanina, fichi, pezzettini di mela eprugne. Gli ingredienti sono legati all’area di produzione e alla creatività del panettiere.
E i Brezel, ciambelline di origine conventuale a forma di anello intersecato da una croce. Ce ne sono diversi tipi: di farina di segale, di grano tenero, di farine miste e sono variamente aromatizzate con semi di papavero, con cumino, eccetera. Tanta varietà è dovuta alla grande diffusione del Brezel, che è presente anche in Austria, Baviera e in Venezia Giulia. In Alto Adige fanno il Fastenbrezel con grano tenero, segale e cumino, e proprio a Dobbiaco potete trovare un tipo di Brezel che, al contrario della puccia, va mangiato appena sfornato. Anche in questo caso Johann è stato categorico. “Il morgenbrezel – ha sentenziato – Non deve sentire la campana del mezzogiorno.”
Per fortuna erano le undici e mezza del mattino!
Per il vostro pro-memoria:
Panificio Trenker
Zona Artigianale Grazze 21/22
I-39034 Dobbiaco (Bz)
Panetteria Maria di Trenker Maria Theresia
Via Maximilian 6
I-39034 Dobbiaco (Bz)
Tel. 0474/973266
http://www.trenker.com