L’Emilia-Romagna è forse la terra dei salumi per eccellenza: basti pensare alle numerose DOP e IGP in fatto di prosciutti, come il Prosciutto di Parma DOP o quello di Modena, e come non citare la profumatissima Mortadella di Bologna IGP? Nella patria della cultura del maiale, però, c’è anche un’altra zona in particolare, quella del piacentino, che vanta una triade a Denominazione Originaria Protetta, ossia salame, coppa e pancetta. In questo articolo, ci occuperemo proprio dell’ultimo prodotto: andremo alla scoperta della Pancetta piacentina DOP, della sua antica storia e delle sue caratteristiche.
Storia della pancetta, “roba de Piasenza”
La cultura del maiale sta all’Emilia-Romagna come la pizza a Napoli. Le prime tracce degli allevamenti suini nella zona di produzione riconducibile a quella della nostra pancetta si fanno risalire circa a un millennio prima dell’era cristiana. Sono poi stati ritrovati reperti archeologici di epoca romana, come un ciondolo di bronzo, conservato al Museo Civico di Piacenza, raffigurante un maiale, segno che ci fa comprendere quanto rappresentasse un bene prezioso per le popolazioni. A conferma di questo, anche un mosaico del XII secolo all’interno dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio, in Val Trebbia (Piacenza), che mostra proprio la macellazione del maiale, considerato un vero e proprio rito “sacro”.
Insomma, una cultura ben radicata che ha portato dal far necessità virtù alla creazione di una serie di salumi e insaccati d’eccellenza, al punto che già all’inizio del XV secolo, erano apprezzati anche al di fuori dei confini del Ducato e si distinguevano per qualità da quelli provenienti dalle altre zone della pianura padana. Pare che i negozianti e i commercianti lombardi, infatti, si vantassero di vendere queste specialità qualificandoli, a mo’ di marchio, come “roba de Piasenza”. L’arte della macellazione dei suini e della trasformazione della carne in eccellenti salumi diventa, nella zona, un vero e proprio mestiere: gli esperti norcini – chiamati in dialetto “massalein” – durante l’inverno scendevano dalle aree montane e si recavano di casa in casa per macellare gli animali dietro compenso.
Ma la fama della pancetta (e degli altri suoi compagni) è destinata a crescere: nel ‘700, conquistarono anche gli ambienti elitari di Francia e Spagna, e tutto per merito del diplomatico Cardinale Giulio Alberoni, che, a quanto sembra, usava la bontà dei salumi piacentini per “facilitare” la risoluzione di delicati conflitti geopolitici.
Pancetta piacentina DOP: caratteristiche e disciplinare
Da allora a oggi, di strada ne ha fatta la pancetta piacentina. Tuttavia, nonostante già dal secolo scorso sia iniziata la produzione semi-industriale, le aziende hanno continuato a produrla con i metodi tradizionali, tramandati di generazione in generazione: procedimento che, nel 2007, le ha fatto meritare il più alto dei riconoscimenti, la DOP. A tutelare non solo la pancetta ma anche gli altri due salumi DOP, nello stesso anno, è stato istituito il Consorzio Salumi DOP Piacentini per garantire il rispetto delle tecniche di produzione antiche e l’eccellenza dei prodotti. Ma vediamo insieme quali sono le caratteristiche di questa pancetta, e cosa le ha permesso di distinguersi dagli altri prodotti.
In primis, la forma: cilindrica, dal peso compreso tra i 4 e gli 8 chili. Al taglio, invece, la fetta è caratterizzata da un’alternanza di strati circolari, dovuti all’arrotolatura della carne: presenta infatti un colore rosso vivo nelle parti magre, inframmezzato dal bianco rosato delle parti grasse; grazie a queste ultime ha una consistenza morbida, che tende a sciogliersi in bocca. Il sapore, quindi, è gradevole, delicato e spiccatamente dolce, ma al tempo stesso anche contraddistinto dalla caratteristica sapidità data dalle note speziate.
(Quasi) come una volta: il metodo di produzione
Nonostante siano passati anni da quando i “massalein” scendevano dalle montagne e andavano a macellare i maiali, ancora oggi il metodo di produzione della pancetta piacentina DOP cerca di rispettare al massimo quelli che erano i metodi tradizionali “di una volta”, che sono stati tramandati negli anni. Tutto il processo mira a rispettare l’eccellenza del prodotto, a partire proprio da un’attenta selezionatura – e la successiva rifilatura – di un taglio specifico del maiale: è il cosiddetto “pancettone”, proveniente dalla parte centrale dell’animale, caratterizzato da una notevole adiposità. Una volta selezionato, rifilato e squadrato, è sistemato in una cella frigorifera così da garantire una conservazione ottimale in attesa della fase successiva. Si prosegue con la salagione, rigorosamente a mano e a secco, con una miscela di sale, pepe nero (o bianco) e altre spezie come chiodi di garofano, cannella, noce moscata e bacche di ginepro). L’obiettivo è massaggiare la carne così da permettere una buona e profonda penetrazione della miscela nelle carni e una limitata perdita di umidità nella fase di asciugatura.
Dopo aver lasciato riposare il tutto in cella frigorifera per almeno dieci giorni, si procede con la raschiatura (che permette di eliminare gli eventuali eccessi di sale) e con l’arrotolatura della pancetta, fase fondamentale che poi conferisce quella caratteristica alternanza di strati circolari nella fetta. A questo punto, arrotolate e cucite, le pancette sono lasciate asciugare per circa una settimana in un apposito locale e, infine, stagionare per un periodo non inferiore a tre mesi.
Zona di produzione
Come abbiamo detto all’inizio, il rapporto tra questo salume e il territorio è fondamentale. Durante la fase di stagionatura, infatti, le pancette vengono esposte alla luce e all’umidità naturale, e quindi sono proprio i fattori climatici delle vallate piacentine a rendere questo prodotto così speciale. Inoltre, tutte le fasi del processo produttivo devono avvenire all’interno di aree a un’altitudine inferiore ai 900 metri s.l.m., proprio per le particolari condizioni climatiche del territorio. Per queste ragioni, è lavorata soltanto nell’area della provincia di Piacenza, mentre per quanto riguarda la materia prima, i suini provengono da allevamenti presenti lombardi, oltre che emiliano-romagnoli.
Pancetta piacentina, una gioia per la cucina
Buona è buona, provare per credere. Si può mangiare anche così, cruda come antipasto, insieme ovviamente alla coppa e al salame piacentino, in accompagnamento a una buona fetta di pane, meglio senza sale come quello Toscano per bilanciare la sua sapidità. Oltre al gusto, però, è anche estremamente versatile in cucina. Cotta, infatti, è perfetta per creare alcune ricette squisite e piatti raffinati: avete mai provato, ad esempio, ad arrotolare i gamberi in una fetta di pancetta? Un abbinamento azzardato che saprà senz’altro stupirvi. Se croccante, poi, è perfetta nei risotti, o per realizzare contorni di verdure appetitosi, come questi cavoletti gratinati con pancetta croccante. Il sapore spiccatamente dolce e delicato di questo salume, poi, si presta per creare spiedini prelibati, o per accompagnare i sapori più intensi dei formaggi.
Conoscevate la pancetta piacentina? Come la preferite: cruda, sopra una bella bruschetta o in mezzo a una torta salata?
Fonti:
salumipiacentini.it