Il cibo è un elemento fondante per la costruzione dell’identità, sia quella individuale, familiare e più intima, che quella collettiva e nazionale. Partendo da qui si può comprendere meglio la ostalgie – una forma di nostalgia per il passato comunista nell’ex Germania Est e nei Paesi che furono parte del blocco orientale – e in particolare la sua influenza sulle preferenze in fatto di acquisti alimentari.
Ma perché i prodotti legati a un tempo ormai lontano – dove le rinunce e la mancanza di libertà erano all’ordine del giorno – piacciono ancora e in molti casi sono diventati trendy? Trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca, infatti, i consumi “ostalgici” continuano ad avere mercato, attraverso le generazioni.
Dopo aver trattato il tema della gentrificazione del cibo e delle mode alimentari, con questo approfondimento speciale vedremo quali sono gli alimenti simbolo della ostalgie a tavola, cercando di capire un fenomeno discusso e studiato da anni, portato alla ribalta anche dal cinema e dalla letteratura.
Ostalgie: alle radici del fenomeno
Trent’anni fa cadeva il Muro di Berlino e iniziava il collasso di tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale. Meno di un anno dopo, il 3 ottobre 1990, la Germania tornava a essere un’unica nazione. Eventi di portata storica, che quest’anno si celebrano pensando ai muri e alle divisioni dei giorni nostri.
Nonostante la libertà acquisita, però, nell’ex DDR (Deutsche Demokratische Republik, Germania Est) l’euforia del 4 novembre 1989 ha lasciato presto il campo a smarrimento, disillusione e senso di perdita, sensazioni ancora oggi non del tutto superate, motivate non solo dall’aumento della disoccupazione e dagli effetti collaterali delle privatizzazioni. La riunificazione, di fatto, si è rivelata l’annessione dell’Est nell’Ovest, in una dinamica di vincitori e vinti. I cittadini dell’ex DDR – dove la separazione marcata dalla cortina di ferro era stata vissuta in maniera più netta – vivevano l’annullamento del proprio Paese originario.
Improvvisamente, la popolazione dell’Est si è dovuta adattare alla vita e agli usi occidentali, abbandonando per sempre le sue certezze. Oltre a un cambiamento totale e non indolore del sistema economico e del mercato del lavoro, anche la quotidianità più spicciola viene stravolta. I prodotti familiari scompaiono dai supermercati, gli spazi pubblici e la toponomastica vengono modificati, le serie televisive e i cartoni animati di ispirazione socialista sono presto rimpiazzati da quelli dell’Ovest. L’abbigliamento, l’arredamento e in generale tutti i prodotti dell’Est diventano simbolo di un passato da mettersi alle spalle, e persino molte espressioni tipiche della lingua orientale diventano desuete e identificative in negativo.
L’integrazione nella società della Repubblica Federale non è facile, e la transizione non di rado comporta discriminazioni e pregiudizi per i cittadini dell’ex DDR, ai quali si attribuiva uno status socio-economico inferiore. In quegli anni, inoltre, si diffonde per loro l’appellativo di “Ossi”, nato come dispregiativo, ma in seguito usato per rimarcare un’identità nelle differenze con i “Wessi”, i cittadini dell’Ovest.
Ostalgie: cos’è e come si diffonde?
In questo contesto, mentre il socialismo e i suoi simboli cedevano il posto al capitalismo – che la popolazione dell’Est era stata educata a disprezzare – montava la cosiddetta ostalgie, una particolare forma di nostalgia per la vita ai tempi della DDR. Questo neologismo tedesco – nato dall’unione fra Osten (Est) e nostalgie (nostalgia) – viene ideato nel 1992 dal cabarettista Uwe Steimle, che l’aveva usato per il suo show televisivo.
La ostalgie non esprime necessariamente un’idea politica e non si esaurisce con il rimpianto del passato comunista, o con il rifiuto e la protesta per gli sviluppi della storia. Si tratta invece di un fenomeno complesso, che non ha una definizione universalmente condivisa. Un’interpretazione interessante, però, è stata offerta da Svetlana Boym – letterata e artista nata nella Leningrado sovietica – che l’ha riconosciuta come una nostalgia riflessiva, a volte ironica, concentrata su un’intimità culturale e utile a cementare le esperienze quotidiane, in funzione di un’identità condivisa.
Da allora quel sentimento, insieme al termine che lo identifica, si diffonde nell’ex Germania Est, come negli altri Paesi un tempo parte del blocco sovietico, seppure con forme e modalità differenziate. L’allontanarsi nel tempo dall’epoca della DDR coincide con una sua idealizzazione: i ricordi sono sempre più edulcorati, in un’esaltazione dello stile di vita passato. Nel 2006, inoltre, nell’ex Berlino Est viene istituito il DDR Museum, un’operazione importante per la storicizzazione del passato recente, che offre anche l’occasione di riscoprire il valore della libertà nel presente.
Cade il Muro e i vecchi prodotti vengono dimenticati
Durante gli anni della DDR, l’offerta alimentare nei supermercati era molto ristretta, limitata alle produzioni nazionali, in parte integrata con quelle degli altri Paesi del blocco comunista, una condizione difficile da immaginare con lo sguardo dei giorni nostri. Per molte tipologie di cibi, erano in vendita solo i surrogati o le imitazioni che il regime socialista rendeva disponibili. Chi aveva parenti o amici oltrecortina, di tanto in tanto, poteva rifornirsi delle merci proibite dell’Ovest, a partire dal caffè, praticamente scomparso dal 1977 sugli scaffali dell’Est e venduto di contrabbando.
Dopo la caduta del muro di Berlino e le privazioni vissute, i cittadini dell’ex DDR si sono potuti concedere i tanto agognati marchi dell’Ovest, abbandonando quelli associati al passato comunista, che nessuno voleva più comprare. I prodotti dell’Est sparivano rapidamente dal mercato, annientati dal totem capitalista della concorrenza, per la quale non erano stati nemmeno concepiti. L’invasione delle merci occidentali non ha avuto scrupoli, e i nuovi supermarket hanno soppiantato Kaufhalle e cooperative, custodi dei marchi della DDR.
Ostalgie alimentari: la riscoperta dei cibi della DDR
Oltre a essere un fenomeno di ampia portata – approfondito e dibattuto in ambito sociologico, antropologico, politico ed economico – la ostalgie si è manifestata potentemente nel costume e nei consumi. Su queste basi è nata una sottocultura del recupero, fiorita nei primi anni Novanta, che si esprime nel revival dell’estetica e dei simboli del socialismo, come nell’acquisto di prodotti di vecchie marche dell’Est, specialmente quando si tratta di cibi e bevande.
La comparsa della ostalgie, infatti, offre una seconda vita alle vecchie marche dell’Est, tanto che sul finire del 1992 quei prodotti, frettolosamente dimenticati solo tre anni prima, cominciano a riaffacciarsi sul mercato, talvolta migliorando qualità e presentazione, pur restando riconoscibili come “quelli di una volta”. Un tempo venduti come surrogati di quelli occidentali, ritrovano così dignità e un fascino nuovo, rivalutandosi come genuini e inalterati rispetto all’epoca della DDR, anche grazie a messaggi pubblicitari pienamente inquadrati nelle logiche consumistiche del capitalismo. In questo contesto, gli ostalgie-party – feste a tema dove lo stile socialista è assoluto protagonista – diventano occasioni perfette per iniziare la riconquista del favore degli Ossi.
Il marketing punta con successo a proporli come “marche orientali riconosciute”, con una logica simile a quella delle moderne denominazioni di origine, delle quali ci siamo occupati nel nostro approfondimento sui prodotti tipici.
Quasi sempre non si è trattato solo di recuperare le radici legate alla DDR, bensì di sfruttare l’ideologia socialista come leva di marketing, evidenziandone i simboli e l’estetica, con un paradossale ma efficace ribaltamento valoriale, che sembra seguire una singolare legge del contrappasso.
Nei primi anni Duemila, il mercato ostalgico è ormai consolidato. Dopo un periodo di ripudio, la tendenza è completamente invertita e l’identità Ossi si rivela un forte valore aggiunto per la vendita. La pubblicità cavalca l’onda, scommettendo sulla memoria e sulle esperienze condivise dei tedeschi dell’Est.
[elementor-template id='142071']Ostalgie a tavola: perché questi prodotti piacciono ancora?
Tuttavia, per spiegare la seconda vita di queste merci – alimentari in primis – non basta la ostalgie. Bisogna considerare, infatti, il successo di alcuni di questi prodotti anche tra i cittadini dell’Ovest, a dimostrare quindi una qualità intrinseca, in grado di farli sopravvivere, fino a renderli competitivi nel campo ostile del libero mercato.
Sul piano strettamente commerciale, invece, della ostalgie hanno beneficiato alcune aziende private, che in gran parte, come vedremo, hanno acquisito i marchi statali della DDR, avviando piani commerciali ben strutturati. L’affermazione dei prodotti ostalgici, perciò, non ha potuto prescindere da una capacità di adeguarsi al nuovo contesto, alle modalità commerciali e soprattutto al “gusto” della Germania riunificata. In questo senso, ha avuto un impatto significativo l’agenzia pubblicitaria Zebra, oggi una delle principali di tutta la Germania, che ha contribuito a rilanciare brand come il caffè Rondo e la senape Bautzner. Nel complesso, pertanto, la ostalgie e i legami col passato hanno avuto un peso considerevole ma limitato.
Ad ogni modo, dopo il piccolo boom verificatosi tra la metà degli anni Novanta e gli anni Duemila, questi prodotti, rispetto ai volumi complessivi del mercato europeo, si sono attestati in una nicchia di ricercatezza, pur sempre di richiamo per chi vuole distinguersi, e rilanciata dalla moda hipster.
Per le nuove generazioni dei cittadini dell’ex DDR, questa tipologia di consumo oggi può essere figlia del desiderio di riscoprire la quotidianità dei genitori, mentre per gli stranieri e i turisti vale soprattutto il richiamo della tipicità, legata alla storia e all’unicità di determinati luoghi. I negozi e i mercatini vintage dell’Est continuano a essere in voga e ad attirare i giovani, che in genere vivono questa tendenza senza condizionamenti storici e politici.
I prodotti alimentari che descriveremo tra poco sono sopravvissuti alla caduta del muro di Berlino, talvolta con un notevole successo e diventando in, esempi di riqualificazione riuscita della merce orientale. Dopo aver attraversato una metamorfosi valoriale, infatti, sono diventati icone superstiti di un mondo scomparso. Ecco cosa ha superato la prova della storia.
I cetriolini Spreewälder
In cima alla lista non potevano che esserci questi cetriolini sottaceto aromatizzati, resi celebri, fuori dai confini tedeschi, da Good Bye, Lenin!. Nel film di Wolfgang Becker – che ha contribuito molto a far conoscere la ostalgie nel mondo – il giovane Alex si affannava alla ricerca del barattolo originale, anche se in realtà gli Spreewälder sono tra i pochi prodotti dell’Est a non essere mai usciti dal mercato. Amatissimi dagli Ossi, tuttavia, diventano beni rari già al tempo dell DDR, proprio perché così ricercati da rendere insufficiente l’offerta. Potevano essere consumati da soli, ma spesso affiancavano maiale stufato o altri piatti di carne non particolarmente pregiati, insieme a patate lesse, cavolfiori e carote, onnipresenti nelle cucine domestiche come nelle mense.
L’azienda conserviera più nota che tuttora li produce è la Spreewäldkonserve Golßen – Spreewäldhof – Golßener Konserve ai tempi della DDR – fondata nel 1946 e nazionalizzata cinque anni dopo. La produzione ha sempre beneficiato della qualità della materia prima dello Spreewäld, la valle paludosa del fiume Sprea a Sud-Est di Berlino, caratterizzata da suoli umidi e ricchi di minerali, perfetti per rendere gustosi i cetrioli, la cui coltivazione non a caso era una tradizione antica.
Con la riunificazione tedesca, l’azienda viene privatizzata, dovendosi cimentare con le nuove sfide imposte dall’economia di mercato, senza avere esperienza in condizioni competitive. La scommessa è vinta, tanto che il marchio riesce a consolidarsi e a crescere, divenendo uno dei primi poli occupazionali della regione, mentre gli Spreewälder in poco tempo diventano popolari in tutta la Germania.
Queste conserve estive, piccola leggenda per gli amanti dei sottaceti, oggi sono una Igp protetta dall’UE, nonché una delle principali esportazioni del Brandeburgo.
Le aziende presenti sul mercato sono tante, anche di tipo semi-artigianale come Rabe, e sono molte le ricette per produrli. La combinazione di aromi che crea il tipico equilibrio tra dolce, salato e acido può annoverare, con dosaggi diversi, l’utilizzo di zucchero, aceto, finocchio, senape, timo e aneto.
Vita-Cola e Club-Cola
Queste due bibite hanno storie distinte, ma accomunate dall’idea di essere la risposta socialista alla bevanda più famosa del mondo.
La Vita-Cola nasce nel 1956, in occasione del secondo piano quinquennale della DDR, quando il governo chiede di migliorare l’offerta nazionale di bevande analcoliche. Così la fabbrica chimica Miltitz viene incaricata per lo sviluppo di una bibita a base di cola, in grado di reggere il paragone con gli analoghi prodotti occidentali. L’anno successivo, mentre il lancio dello Sputnik glorifica l’Unione Sovietica, viene creato il gusto della nuova bevanda, combinando oli essenziali, vaniglia, noci di cola, caffeina e vitamina C. Nel 1958 il marchio Vita-Cola campeggia nella lista brevetti della DDR, e la bibita, prodotta a Lipsia, arriva sugli scaffali. I tedeschi dell’Est apprezzano la novità, che nel tempo si consolida e viene sempre più richiesta, fino a essere imbottigliata in ben 200 stabilimenti negli anni Ottanta.
La caduta del muro, però, segna la conquista delle cola americane, che surclassano la bibita socialista. Ma nel 1994, dopo quasi cinque anni di oblio, la Vita-Cola risorge, riportata sul mercato dalla Thüringer Waldquell, una società privata dell’Est che ne acquisisce nome, formulazione e diritti.
L’operazione dà i suoi frutti, tanto che nel ‘97 la bevanda raggiunge il secondo posto nelle vendite sul mercato di settore nella Germania orientale, e addirittura il primo posto nell’anno 2000 nella regione della Turingia. Nel 2006 torna in vendita una bottiglia retrò dalla forma bombata, tributo alla vecchia confezione usata ai tempi della DDR.
Nel gusto della Vita-Cola spicca un’aromatizzazione agrumata e fruttata, mentre il sapore è meno dolce rispetto alle cola più note. Come per gli omologhi del capitalismo, però, la ricetta resta segreta…
Sulla scia di questo successo e della crescente domanda di bibite, in occasione della Fiera di primavera di Lipsia del 1966, il governo avvia la produzione di un’altra cola, prodotta a Berlino Est. L’anno successivo la nuova Club-Cola fa la sua comparsa, fino ad affermarsi come bibita preferita nella DDR e a ricevere un riconoscimento alla Fiera di Lipsia del 1972. Miscelata insieme ad alcolici nazionali, come la vodka Adlershofer, o a rum cubani, era molto popolare tra i giovani. Come nel caso della Vita-Cola, l’apertura del mercato ne segna la fine, ma nel 1992 riprende la vendita, dopo che nome e marchio vengono acquisiti dalla Spreequell Mineralbrunnen GmbH di Berlino. Sull’onda della ostalgie, la Club-Cola diventa una bibita trendy, oggi apprezzata anche dai Wessi.
Nudossi e senape Bautzner
Anche oltrecortina era difficile fare a meno della Nutella, o almeno di qualcosa che ci assomigliasse, e a colmare questo vuoto è stata la Nudossi. L’azienda di Dresda che tuttora la produce, per la verità, esisteva dal 1923. Il marchio realizza dolciumi di vario tipo, ma il pezzo forte, apprezzato in tutta la Germania, resta la crema spalmabile al cacao con il 36% di nocciole, soprattutto considerando che la maggior parte dei prodotti analoghi non supera il 20%…
Un’altra storia interessante è quella della Bautzner Senf, la marca di senape oggi più popolare in Germania, nata durante l’epoca della DDR. L’impresa di Stato Lebensmittelbetriebe Bautzen (Aziende alimentari Bautzen) apre i battenti nel 1953, e la sua produzione domina incontrastata fino al 1989. La fedeltà a questo marchio resiste anche dopo la riunificazione tedesca, che addirittura favorisce la conquista del gradimento dei cittadini dell’Ovest.
Lo spumante Rotkäppchen
Un altro prodotto che ha avuto grande successo, in tutta la nazione riunificata, è il Rotkäppchen, un Sekt – lo spumante tedesco per eccellenza – riconoscibile per i cappucci rossi che rivestono i tappi delle bottiglie.
Fondata nel 1856, l’azienda viene sequestrata dai sovietici nel 1946 e nazionalizzata due anni dopo in forma di cooperativa, con il nome di Rotkäppchen Sektkellerei Freyburg. In pochi anni, divenuta una delle imprese modello della DDR, viene selezionata come fornitore ufficiale di vino dello Stato. Intanto, cresce rapidamente la produzione, alla quale si aggiungono spumanti insoliti, come quello al caffè o la versione per diabetici, per una gamma di 38 diversi marchi negli anni Ottanta.
In occasione del 125° anniversario, nel 1981, una cerimonia a Friburgo conferma Rotkäppchen come una delle aziende leader nella produzione vinicola fra tutti i Paesi socialisti membri del Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica, sciolto nel 1991). Questi spumanti vengono esportati anche nella Germania Ovest, e solo la carenza di bottiglie di vetro in fase di produzione frena le vendite. Nel 1988 il marchio viene fregiato per la venticinquesima volta del premio per la qualità, caso pressoché unico nel panorama produttivo della Germania Est.
Anche per Rotkäppchen i cambiamenti politici nell’autunno 1989 determinano un forte calo delle vendite, un crollo del fatturato e un drastico taglio del personale. Nel 1991 il marchio torna alla Fiera di Colonia, e l’anno successivo viene decisa la privatizzazione. Le vendite riprendono e la prova del ritorno al mercato libero viene superata, finché, nel 2001, Rotkäppchen diventa il primo produttore di spumanti in Germania.
La società cresce ancora e acquisisce altri marchi, entrando anche nel ramo dei liquori, fino a dominare il mercato tedesco. Dal 2006 inizia la produzione di vini fermi, bianchi e rossi.
Questa azienda, oltre a dimostrare la capacità di rinascere e resistere ai cambiamenti storici e politici, si distingue perché non ha mai voluto associarsi alla ostalgie, scegliendo di affrancarsi dal passato, senza sfruttarlo per fini commerciali.
La ostalgie è legata al consumismo?
È possibile che il riflesso commerciale dell’idealizzazione nostalgica di uno Stato comunista sia un’emanazione del capitalismo? In un certo senso, sì.
Come abbiamo visto, molto spesso il rilancio dei prodotti citati è partito grazie all’acquisizione di proprietà occidentali che avevano rilevato le vecchie aziende dell’Est, sfruttandone i marchi e il portato storico, con precise operazioni di marketing.
L’immagine della DDR, in qualche modo, si è scissa tra una ostalgie genuina – sia essa conservativa o riflessiva – e un’opportunità di guadagno per molte realtà commerciali. Si deve anche al ruolo dell’ex blocco occidentale, infatti, se questo sentimento è diventato un trend commerciale di merci e intrattenimento, che oltre a cibi e bevande annovera abbigliamento, vacanze, feste a tema, ristoranti – come il Pila di Berlino Est, inalterato dal 1989 – e icone pop – su tutte il celebre Ampelmännchen (l’omino del semaforo di Berlino Est) – ma anche libri, film e serie televisive.
Un’intera economia è nata sul mito di uno Stato sconfitto dalla storia – aspetto che probabilmente contribuisce a suscitare un’istintiva simpatia – il quale, con il filtro del tempo, è diventato espressione del nemico che voleva combattere. Valori e simboli di uno Stato anticapitalista sono stati ripensati, per essere immessi sul mercato: attraverso questa trasformazione, il fascino della versione socialista delle cose è tornato, mondato dai suoi aspetti più negativi.
Cibo e identità: un legame che non si scioglie
Tornando al concetto iniziale, il fenomeno della ostalgie ha palesato la ricerca di un indispensabile ancoraggio identitario, messo in discussione dal crollo di un mondo, a prescindere dai suoi pregi e difetti. In un certo senso, l’identità Ossi è nata solo dopo la fine della DDR, innanzitutto come spazio autodifensivo di resistenza alla cancellazione di un passato, poi come rivendicazione di una differenza. Al di là delle ideologie, infatti, i tedeschi orientali si sono sentiti disorientati da un processo di riunificazione che sembrava aggredire la loro identità collettiva, di conseguenza l’idea di mantenere dei punti di riferimento dello status quo perduto risultava rassicurante. Un senso di appartenenza che, evidentemente, si è rivelato molto più tenace di quanto la politica occidentale avrebbe potuto aspettarsi.
È in questo scenario che l’onda ostalgica ha investito alimenti e oggetti di uso quotidiano di un significato così importante. In queste dinamiche, peraltro, il cibo è probabilmente il bene materiale più intimo e primordiale sul piano dei valori culturali, storici e aggregativi. Nel suo essere sistema alternativo a quello oggi dominante, una DDR sognata e mai esistita, perciò, continua a vivere dopo la sua fine.
Avevate già sentito parlare della ostalgie e dei prodotti alimentari che la rappresentano?
Altre fonti:
Ahbe, T., Ostalgie, Erfurt, Landeszentrale für politische Bildung Thüringen, 2005.
Gislimberti, T., “Ostalgie, ovvero nostalgia del passato perduto. A proposito dell’identità tedesca orientale”, Metabasis, anno II, n. 4, 2007.
Grossman, V., Se si ravviva la ostalgie per la DDR qualche ragione c’è, Berlin89, 2019.
DDR Museum
Getraenkebetriebe – Archivio delle fabbriche di birra e delle bevande nella DDR
Spreewäldhof; Vita-Cola; Club-Cola; Rotkäppchen; Nudossi; Bautzner
Good Bye, Lenin! (film) di Wolfgang Becker, 2003.