Giornale del cibo

“Orient Experience”: il ristorante di Venezia che racconta i viaggi dei migranti attraverso il cibo

Foto di Carlo Manzo

 

Questa è una di quelle storie che merita di essere raccontata. Più delle altre, sì. Perché Hamed Ahmadi, regista cinematografico, è arrivato dall’Afghanistan a Venezia solo con un film in mano, anzi due. Da quel momento in poi, inaspettatamente e con pazienza, ha costruito un impero nel mondo del cibo e della ristorazione a partire dal niente, tant’è che oggi possiamo definirlo un vero e proprio imprenditore. In questo articolo vi raccontiamo la sua storia, il progetto di Orient Experience e la sua cucina che mescola culture diverse, racconti, viaggi e che si può gustare nei suoi ristoranti a Venezia, per molti tra i più interessanti della città.

Chi è Hamed Ahmadi? 

hamed ahmadi
Foto di Carlo Manzo

Bella domanda! Ma ancora più bella è la risposta. Hamed Ahmadi nasce e cresce in Afghanistan, a Kabul, fino a quando nel 2006 viene invitato come regista alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per presentare i suoi lavori, prodotti dalla Kabul Film. “Uno era un documentario sulla difficoltà di reperire acqua potabile, l’altro un corto a tema religioso, in cui una bambina pregava e leggeva il Corano per far sì che la nonna non morisse, ma alla fine questo accade. Il senso che volevamo trasmettere è che Dio non può tutto, ma questo non è stato ben recepito”. Il suo secondo corto, infatti, viene fortemente criticato da alcune radio iraniane e afgane, perché travisato e visto come un messaggio contro la religione, per cui gli viene intimato “che è meglio che per un po’ non torni in Afghanistan”. 

Così Hamed, che era arrivato a Venezia con uno zainetto e con l’idea di fermarsi solo per i giorni del Festival, si trasferisce in Italia, di cui per altro si innamora subito. Da questo momento in poi vive in un centro di accoglienza e fa tutto quello che può: dal giardiniere al museo Guggenheim al mediatore linguistico e culturale, fino all’animatore alle feste… “Ho avuto sempre l’umiltà di accettare qualsiasi tipo di lavoro, soprattutto all’inizio, anche se nel mio Paese ero un regista”. Ed è proprio durante queste feste che si accorge di quanto il cibo sia un elemento centrale, “difficile da coniugare quando ci si trova ad avere a che fare con tantissime nazionalità differenti, in cui ognuno ha gusti, usanze e esigenze differenti” ci racconta. “Ma allo stesso tempo è una fonte di un’inesauribile ricchezza”. Ecco come, di fronte a tutte le  ricette che ogni volta gli proponevano i vari migranti presenti al centro, pensa a un modo per valorizzare questo patrimonio culinario. “Siamo nel paese più bello del mondo, per cui se facciamo qualcosa dev’essere per forza bello”. E il progetto di Hamed è più che bello: è unico e prezioso. 

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Il progetto “Orient Experience” a Venezia, il cibo come forma di racconto

Tutto nasce dall’idea di voler raccontare i viaggi dei migranti grazie ai piatti cucinati nei paesi attraversati durante le rotte, che poi li hanno portati a Venezia. Infatti, si tratta spesso di tragitti lunghi, in cui appunto si trascorrono anche mesi in Stati che non sono il proprio: “ad esempio, è molto probabile che prima di arrivare in Italia, un migrante abbia trascorso un periodo in Turchia o altrove, dove quasi sempre ha cucinato o fatto l’aiuto cuoco per mantenersi. In questo senso volevo raccontare i viaggi attraverso il cibo, che si rivela essere sempre un elemento primario, quotidiano”. 

Foto di Carlo Manzo

Hamed inizia quindi a organizzare feste e cene al centro di accoglienza, in cui ognuno prepara un piatto non per forza del suo paese d’origine, ma che faccia parte della sua storia personale, cioè del percorso che ha fatto per arrivare lì, che rendesse il tragitto fatto e le tappe attraversate. Ad esempio, ci racconta Hamed, un ragazzo pakistano cucinava sempre specialità greche perché aveva trascorso un lungo periodo in Grecia prima di arrivare in Italia. O un nigeriano che ancora oggi prepara un’ottima cucina afgana. “Insomma, tutto ha iniziato a mischiarsi, perché questa è la cucina! E forse anche la vita”. 

Visto il successo delle serate, Hamed si accorge di avere un gioiello tra le mani: l’insieme di tutti quei piatti sono il frutto di un’esperienza personale, ogni volta unica, e allo stesso tempo sono anche buonissimi! Così, seppur nel bel mezzo della crisi economica (tra il 2009 e il 2011), Hamed inizia a ventilare l’ipotesi di aprire un ristorante, in modo da trovare una casa per queste ricette e restituirle anche agli altri. Per un paio d’anni bussa alle porte in cerca di aiuto e di un posto adatto, che trova proprio nel meraviglioso sestiere di Cannaregio, in un locale che vendeva kebab. Non senza una grandissima paura, il 14 gennaio 2012 inaugura finalmente Orient Experience.

Foto di Carlo Manzo

“Tutti mi dicevano che ero pazzo, perché la cucina italiana è ritenuta da sempre la più buona del mondo in assoluto. Ma io ci ho creduto tantissimo, perché la conoscenza delle altre culture è fondamentale e passa prima di tutto dal cibo. Il successo è stato immediato: nel giro di poco tempo sono usciti 200 articoli e non so quante persone sono venute e, soprattutto, sono tornate”. Il primo menù conta di quindici piatti, tutte rielaborazioni personali, in un mix di storie, origini differenti e viaggi. E più o meno sono gli stessi che trovate ancora oggi, ovviamente con qualche modifica, anche grazie all’arrivo di nuove figure.   

Da Orient Experience in poi: nuovi progetti per favorire l’integrazione

Da questo momento in poi, Hamed non si è più fermato: oltre ad attività quali concerti, catering, eventi culturali, anche alla Biennale, nel 2013 ha aperto Orient Experience 2, in un’altro sestiere di Venezia. “L’idea è anche quella di generare lavoro, di creare posti e possibilità concrete ai migranti di restare”. Per questo va avanti: nel 2014 è la volta di Orient Experience 3, questa volta a Kabul che per suo volere è diventato un luogo di riferimento per chi decide di lasciare l’Afghanistan ed emigrare. “In quella sede per me è molto importante che si faccia informazione sul viaggio che li aspetta, in modo che si sappia a ciò cui si va incontro”. 

Foto di Carlo Manzo

E pensate che Hamed non è mai più tornato a casa dal 2006, da quel giorno che era partito per presentare i suoi film, pensando di partire dopo qualche giorno. Sempre nel 2014, anno in cui è scoppiata la Seconda guerra civile in Libia, apre Africa Experience, questa volta in collaborazione con ragazzi africani e alcuni centri di accoglienza attorno a Venezia. “Ci sono moltissimi africani in Italia, perché dall’Africa la prima destinazione è quasi sempre l’Italia, a differenza del Medio Oriente dove spesso si migra anche verso altri paesi”. Vista la crescita esponenziale del progetto, Hamed ha bisogno di personale, per cui si inventa una sorta di MasterChef per rifugiati (Refugees Masterchef): inizia a collaborare con varie scuole per scegliere cuochi e personale, favorendo così formazione e integrazione lavorativa. Ma non è ancora finita: l’ultima idea è stata Sud Est, un ristorante all’interno del museo russo V–A–C Foundation di Venezia, che richiama ancora nuovamente a questioni migratorie, questa volta dal Sud Italia e dall’area balcanica. Ma siamo sicuri che ha ancora qualcosa che bolle in pentola, come ad esempio una nuova sede a Catania, ora ferma a causa della pandemia. Per fortuna che oggi non è più solo, ma ha altri due soci, uno afgano e l’altro del Bangladesh, Hussein, re dei fornelli in cucina. Infatti, a tal proposito, che cosa si mangia nei suoi ristoranti? 

I piatti-storie dell’Orient Experience

Come anticipato, si tratta di una cucina difficilmente identificabile (finalmente!), poiché legata alle persone, alle loro storie, ai loro viaggi, ai loro percorsi e alle loro personali scelte e rielaborazioni. Così, proprio come le persone, anche i piatti spesso cambiano o la stessa ricetta subisce delle variazioni nel tempo. Ma vediamo quali sono alcune costanti che si possono trovare sempre.

Foto di Carlo Manzo

Sicuramente, per ovvie ragioni, non mancano mai le specialità afgane come il kabuli, un delizioso riso basmati con carne di agnello, uvetta, carote e mandorle; il maripol, una treccia di pasta sfoglia con pollo, cipolla, panna e spezie; il bolani, una pasta ripiena di porro, patate e spezie; poi i ravioli sia in versione vegetariana (aashak) che con carne di mano (mantoo). Dalla Siria, invece, ecco il mujaddarah, un riso con lenticchie e cipolla caramellata, i malfouf, involtini di cavolo ripieni di carne e riso, e dajaj, cosce di pollo con patate e limone. Dalla Palestina arriva invece il delizioso maqloubeh, un riso rovesciato condito con melanzane, pollo e spezie, mentre dall’Iran il Sabzi polo, piatto per eccellenza del Nowruz, il capodanno iraniano. Poi sempre presenti sono falafel, borek, hummus, babaganoush, mutabhal, tzatziki, samose e kofta, le polpette diffuse in tutto il Medio Oriente. Non mancano anche specialità come il pollo pakistano o pakora, ossia le verdure pastellate del Bangladesh. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, ma ricordate che si tratta sempre di versioni personalizzate, molto legate a chi le pensa e poi cucina. 

Infine, è importante sottolineare un altro aspetto. Al di là del lodevole progetto sociale, in questi ristoranti si mangia benissimo: una vera cucina autentica di casa, con i sapori al posto giusto, fatta con il cuore sì, ma anche – e soprattutto – con competenza e professionalità. Tutti i piatti sono cucinati in modo sublime e a dir poco squisiti, per altro anche con un’ampia scelta per vegetariani e vegani. Il tutto rigorosamente accompagnato da fiumi di Spritz (meglio se con Campari o Selecta), perché “siamo pur sempre in Veneto!” conclude Hamed.

 

Dunque, appena si potrà tornare a viaggiare, vi abbiamo fatto venire voglia di andare a trovare Hamed e di visitare una delle (per ora cinque) meraviglie che ha creato? 

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