Sei settimane per portare in tavola cibo buono, pulito e giusto. C’è tempo fino al 18 gennaio per prendere parte a On My Plate, la challenge promossa da Slow Food che mira a coinvolgere giovani, e non soltanto, da tutto il mondo che desiderano mettersi alla prova e agire per migliorare ciò che mangiamo. Gennaio è mese di buoni propositi e di ripartenze, il momento ideale per unire le forze e, insieme, raggiungere obiettivi che hanno un impatto non soltanto sulle vite individuali, ma anche sull’ambiente e su chi lavora la terra.
Da sempre, Slow Food si batte per un cibo buono, pulito e giusto e investe sul coinvolgimento delle nuove generazioni attraverso le attività del network giovanile. Ne avevamo parlato in occasione della campagna #dietacaporalatofree che ha coinvolto ragazzi e ragazze in tutta Italia, ora con On My Plate ciascuno può fare la sua parte. Scopriamo come.
On My Plate, la challenge di Slow Food per la sostenibilità a tavola
On My Plate è un percorso di sei settimane, gratuito e in lingua inglese, che prenderà il via il 18 gennaio. Ogni giorno ai partecipanti e alle partecipanti verrà proposta un’attività diversa, da svolgere direttamente a casa o nella propria città, per aiutarli a compiere scelte di consumo sostenibili per l’ambiente e per chi lavora la terra.
Il primo step richiesto ai partecipanti è di iscriversi, entro la data di inizio, sul sito di On My Plate. In questo modo, si entra a far parte di una community che conta già oltre 1.000 iscritti da 80 paesi diversi. A partire dal 18 gennaio prende il via il programma vero e proprio che è suddiviso in tre fasi:
- due settimane dedicate al cibo “buono”;
- due settimane dedicate al cibo “pulito”;
- due settimane dedicate al cibo “giusto”.
Ogni sezione della challenge è, a sua volta, divisa in due parti: la prima settimana sarà sempre dedicata alla formazione. Si porrà l’attenzione su che cosa significa scegliere e portare a tavola cibo in maniera etica, come imparare a riconoscerlo. Attraverso podcast, documentari, approfondimenti e le storie direttamente dai campi di chi lavora la terra tutti i giorni, i partecipanti potranno conoscere meglio ciò che si nasconde lungo l’intera filiera del cibo.
La seconda, la quarta e la sesta settimana del programma vedranno, invece, il coinvolgimento attivo della community. Verranno proposte delle attività concrete come, ad esempio, fare la spesa in maniera consapevole, oppure visitare il mercato contadino più vicino o ancora firmare una petizione a favore di una causa legata all’equità della filiera del cibo in una specifica area del mondo.
Alla fine del programma, secondo l’intento di Slow Food che lo organizza e promuove, i partecipanti avranno sperimentato dei modi nuovi di relazionarsi alla filiera agroalimentare, avranno messo in atto azioni più etiche a portata di mano e, non da ultimo, avranno potuto conoscersi.
Come racconta in un video su Instagram, l’attivista Diletta Bellotti tra i testimonial della challenge per l’Italia: “On My Plate si rivolge a persone da tutto il mondo che già si impegnano o desiderano iniziare ad agire concretamente per migliorare il sistema del cibo ed essere sicuri che ciò che mangiamo sia buono, pulito e etico. (…) Inoltre sarà bello fare networking, conoscere altre persone con cui condividere gli stessi obiettivi.”
Cosa significa cibo “buono, pulito e giusto”
Promuovere la valorizzazione di un cibo che rispetti ambiente e persone è uno dei pilastri dell’attività di Slow Food, associazione internazionale no profit “impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali.”
È il manifesto stesso dell’associazione a definire che cosa si intende con questa locuzione. In sintesi, Slow Food spiega che si parla di cibo “buono” in riferimento alla qualità, al sapore e alla fatto che un alimento sia sano. Un prodotto è “pulito” se la produzione non danneggia l’ambiente e “giusto” quando è accessibile per i consumatori e, contemporaneamente, riconosce il giusto valore anche economico ai produttori.
Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana onlus interpellato da Slow Food, specifica meglio che cosa si intende per “pulito”: un cibo che “non ha lasciato una scia di sporco dietro di sé: è quindi prodotto senza eccessivo uso di combustibili fossili, non ha causato deforestazione, non è stato trasportato dall’altro capo del pianeta, è di stagione e non ha imballaggi eccessivi.” L’impatto dell’inquinamento sull’agricoltura e, contemporaneamente, le conseguenze drammatiche sull’ecosistema delle coltivazioni intensive, sono temi denunciati ormai da tempo sia dalle associazioni – come il WWF nel recente rapporto “Quanta foresta hai mangiato oggi?” – che dagli agricoltori stessi che, come racconta l’attivista Fabio Ciconte nel suo libro “Fragole d’inverno”, vedono distrutti raccolti e progetti a causa di eventi atmosferici che non si possono più considerare straordinari.
“Il cibo giusto” aggiunge Gian Carlo Caselli, magistrato e presidente del comitato scientifico della Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare “non è solo quello non contraffatto, non adulterato, non sofisticato. Un cibo giusto è quello ottenuto con un’equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera di produzione, che deve essere analizzata in ogni fase, denunciandone ingiustizie e affrontando i problemi del lavoro nero e della sotto occupazione.” Le azioni concrete di contrasto del caporalato vanno proprio in questa direzione come testimonia, ad esempio, l’inaugurazione della prima filiera etica promossa dall’associazione No Cap di Yvan Sagnet che, nel 2020, ha coinvolto anche un gruppo di braccianti donne guidate da Lucia Pompigna che abbiamo intervistato.
Questi sono, dunque, gli aspetti cardine di uno sviluppo e di un consumo consapevole che, attraverso la challenge On My Plate, Slow Food ambisce a portare concretamente nella vita dei partecipanti in Italia come nel resto del mondo.
Voi siete curiosi di partecipare?