Ci sono viaggi e viaggi. C’è chi torna dal mare, chi dall’altra parte del mondo e chi, come me, da un viaggio in quell’infinito universo dell’olio. Mi sono unta sì, ma mai abbastanza, perché dell’olio extravergine d’oliva italiano non ci si stanca mai, tanto da essere invidiati (e acquistati) ovunque. Eppure, la cultura e la conoscenza in questo settore sono ancora un cammino da percorrere, anche se c’è chi ha già intrapreso la giusta direzione come Gabriella Stansfield e la sua Associazione Donne dell’Olio, o Luigi Caricato, tra le figure più importanti nel panorama oleario italiano. Lui, infatti, ha coniato nuovi lemmi quali “oleologo”, per indicare l’esperto nel settore dell’olio, o “olivagione”. I segreti per ottenere un buon olio sono da sempre ovunque gli stessi: ulivi sani su suoli fertili, frangitura immediata e frantoi puliti e all’avanguardia. Ma in Italia siamo anche avvantaggiati, visto che abbiamo il maggior numero di cultivar al mondo: ben 538 varietà censite. E pensare che l’utilizzo generalizzato dell’olio in cucina è recente; infatti si produceva sì già anche in epoca antica, ma in quantità ridotta e riservata per lo più a impieghi non alimentari: cardatura della lana, illuminazione di ambienti, realizzazione di saponi e in generale cosmesi. E ora partite con noi in questo lungo viaggio alla scoperta dell’olio extravergine italiano!
Olio extravergine d’oliva italiano: viaggio tra le eccellenze regionali
1. Sardegna, ancora tutta da scoprire
Forse, solo oggi, dopo esserci bagnati per anni solo nelle sue acque (seppur cristalline), iniziamo a renderci conto anche della ricchezza agricola e interna di questa regione, che tra un pecorino e un Cannonau, produce persino dell’ottimo olio. Il territorio del Sardegna DOP comprende tutta la regione e viene prodotto con cultivar autoctone quali Bosana, Cariasina, Cipressino, Corsicana, Semidana, Nera di Oliena, Pizz’ e Carroga, Semidana, Tonda di Cagliari o Nera di Gonnos. A tal proposito è lodevole il lavoro che sta svolgendo con costante passione da ormai quattro generazioni l’Accademia Olearia della Famiglia Fois, nelle terre di Alghero. Tra i vari oli prodotti, la Gran Riserva Giuseppe Fois rappresenta la loro massima espressione, disponibile solo in quantità limitata: un grande equilibrio di elevatissimo tenore (s!) sensoriale, con un profumo netto di oliva, dei richiami di mela e pomodoro e forti sentori vegetali, tanto che con solo qualche goccia sembra davvero di essere in Sardegna!
2. Veneto, Lombardia, Trentino, l’importanza del Consorzio
L’Olio del Garda è importante soprattutto per un motivo: sfata il mito che l’olio buono si produca solo al Sud. Infatti, senza nulla togliere alle lodevoli e imprescindibili varietà meridionali, anche al nord c’è un olio davvero notevole, ovvero il Garda DOP. Qui la coltivazione dell’ulivo ha origini molto antiche, tanto che sono stati rinvenuti antichi frantoi romani. Oggi a far parte del Consorzio del Garda ci sono 67 comuni in Lombardia, Veneto e Trentino, da cui le tre denominazioni geografiche Bresciano, Orientale e Trentino. L’olio viene prodotto con varietà Casaliva (quella autoctona), Frantoio, Leccino e Pendolino (altre varietà presenti più scarsamente sono anche Miniol, Gargna e Grignano) e, come per magia, esce un olio che è armonia. Sarà forse il lago a rendere il clima gardesano simile a quello mediterraneo? Ebbene sì, poiché sono proprio i monti e il bacino d’acqua a creare le condizioni ideali per l’ulivo.
3. Campania, Cilento docet
Se in provincia di Napoli si distingue l’olio della Penisola Sorrentina DOP con Minucciola, Ortice e Ogliarola, a Avellino la cultivar Ravece, in quel di Salerno non ho mai celato una certa predilezione per il territorio cilentano, da cui tutta la regione avrebbe molto da imparare. Qui i protagonisti del mondo oleario stanno crescendo, soprattutto nell’area di Pisciotta, nota per la cultivar autoctona. Ma i pionieri storici sono stati due: Nicolangelo Marsicani, che ha scritto e continua a scrivere la storia dell’olio in Cilento, con bottiglie d’oro quali Algoritmo DOP Cilento di Frantoio, Rotondella e Pisciottana, Viride monocultival biologico di Coratina, o Ditirambo, monocultivar di Pisciottana; e Germano Pietrabianca, maestro invece di un’altra varietà autoctona, la Salella. Infine, non potevano che nascere giovani talenti che tutto hanno appreso dai loro maestri, come quella forza della natura che è Marco Rizzo di Felitto con i suoi piccoli gioielli in fase di crescita: Incipit, con l’antica e sconosciuta Nostrale di Felitto, Impronta di Rotondella o ancora Talismano di Carpellese.
4. Calabria, tutti in Aspromonte
Della Calabria se ne parla sempre troppo poco. Eppure è una delle regioni che preferisco, nel suo essere così un po’ defilata, con quella sua bellezza unica, storica. Ed è proprio in questa terra forte e potente che la coltivazione dell’olio ha origini millenarie, risalenti alle popolazioni Enotrie o Pelasgiche. Nell’alto Crotonese si produce per lo più la varietà Carolea, mentre il restante 30% comprende altre cultivar quali Pennulara, Borgese, Leccino, Tonda di Strongoli, Cassanese, o Rossanese. Ma se ci spostiamo un po’ più in giù, dove l’Italia finisce (o forse inizia, dipende dai punti di vista), troviamo altre varietà tipiche di quello straordinario pezzo di terra che è l’Aspromonte: un immenso bosco di ulivi secolari con cultivar tradizionali e autoctone quali Ottobratica, Sinopolese, Roggianella, Grossa di Gerace, Nocellara, Tombarello, Ciciarello, la Zinzifarica in via d’estinzione e le più recenti Koroneiki e Nocellare. Tra i produttori, l’Azienda Agricola Carbone.
5. Marche, Ascolane in estinzione
Vi abbiamo già parlato dell’importanza delle olive ascolane, sempre di più in via di estinzione. Tra le poche aziende rimaste si distingue quella del giovane Stefano Gregori, aiutato anche dalle donne della sua famiglia. Questa varietà dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP è destinata sia al classico piatto fritto che conosciamo tutti, sia alla produzione di olio: dagli stessi alberi, infatti, si raccolgono prima le cosiddette “olive da mensa” durante il mese di settembre; poi ad ottobre l’oliva inizia a maturare troppo, quindi si prosegue con la raccolta destinata alla produzione di olio. Il giorno stesso Stefano effettua la molitura a freddo con sistema continuo a due fasi in modo da ottenere un olio molto ricco di polifenoli, omega 3 e 6, delicato e fruttato, con sentori di pomodoro, carciofo e mandorla. Altre cultivar delle Marche sono: Olivastra di Montenero, Mignola, Piantone di Mogliano, Rosciola di Rotello e Sargano. A tal proposito sono da citare le sorelle Gabriella e Elisabetta Gabrielloni di Recanati, con il loro frantoio a macine e presse, da cui ricavano eccellenti extravergine, a dispetto dei tanti detrattori di un metodo di estrazione ritenuto vetusto (che invece basta saper usare).
6. Liguria, una regione unica
Anche quando si parla di olio in Liguria c’è Riviera del Ponente e del Levante, ma anche Riviera dei Fiori, nell’Imperiese. Sono queste le tre menzioni geografiche aggiuntive alla Denominazione di Origine Protetta Riviera Ligure DOP, un olio di Taggiasca, cultivar protagonista quasi assoluta, Lavagnina, Lantesca, Castelnovina, Razzola e Pignola o Pinola. Un gran operare come sempre quello ligure, che ha fatto delle disponibilità naturali del territorio una ricchezza in cucina; una cucina semplice, sincera, leggera, genuina, più di tutte ancorate alla sua terra. Infatti, qui, a dispetto del senso comune, sono molto più agricoltori che pescatori; solo che troppo spesso, come nel caso della Sardegna, avere delle splendide coste penalizza i territori interni. Da provare è l’olio del Presidente della DOP, Carlo Siffredi, che coltiva più di diecimila ulivi: davvero molti per essere in Liguria, ma d’altronde solo chi conosce bene un prodotto può esserne alla guida, no?
7. Abruzzo, dove non manca niente
Ho scoperto alcuni oli abruzzesi anche grazie a Farmer, un’iniziativa che finalmente permette di far dialogare in pratica e teoria produttori e cuochi della regione. E meno male, perché un posto come l’Abruzzo può solo spiccare il volo, visto che è, a mio parere, tra le regioni più belle e complete d’Italia. Qui, infatti, non manca niente: vini, zafferano, formaggi, prosciutti, salami, pastifici e, ovviamente, non poteva che esserci anche un grande olio. Oltre al Colline Teatine DOP Frentano e Vastese della provincia di Chieti, è degno di nota il caso del Aprutino Pescarese DOP, che comprende l’area Vestina e Casauriense nella Provincia di Pescara, con Gran Sasso e Maiella da un lato e mare Adriatico dall’altro, insomma che volete di più? Quasi 40 produttori in più di 30 comuni, uniti nella produzione di un olio con le tre cultivar autoctone, Dritta, Toccolana e Leccino, insieme ad altre quali Cucco, Castiglionese, Gentile del Chieti, Intosso, Intosso, Morella, Nebbia e Nebbio, per una delle espressioni più intime e preziose di un territorio così meraviglioso. Ma DOP a parte, ci sono anche aziende che non ne fanno parte, ma sulle stesse terre producono comunque olio strabiliante: è il caso della neonata Lunaria di Moscufo, dove Gerry, dopo aver venduto materassi per una vita in Campania, si è trasferito nelle campagne abruzzesi di Moscufo con le tre donne della sua famiglia e si è dato all’agricoltura, rigorosamente sinergica però.
8. Emilia-Romagna, oltre la Riviera Adriatica
L’Emilia Romagna è un’altra di quelle regioni che in quanto a produzione, soprattutto enogastronomica, lascia ben poco a desiderare. Troppo spesso oscurata dalla sua riviera, la parte interna della Romagna è ancora poca nota, ma tutta immensamente da scoprire, con mosaici, frutteti e colli di vigneti e ulivi. Qui si produce principalmente la Nostrana di Brisighella DOP, insieme a Correggiolo, Ghiacciolo e Orfana, in piccole aziende nella provincia di Ravenna e Forlì, come ad esempio l’Azienda Podere Il Monte di Matteo Menna o Tenuta Pennita di Alina e Gianluca, entrambi a Terra del Sole. Il passaggio da una produzione principalmente per l’autoconsumo ad una più destinata alla commercializzazione è dunque una storia recente qui, iniziata con la fondazione del frantoio sociale della Cooperativa Agricola Brisighellese nel 1970, proprio a Brisighella, più Romagna che mai.
9. Puglia, olio per eccellenza
Quando si parla di olio, non pensiamo forse tutti alla Puglia? Ogliarola prima fra tutte le autoctone pugliesi, che sia Salentina o Garganica, ma anche Cellina di Nardò, Coratina o Racioppa, Provenzale o Peranzana, Cima di Bitonto, Coratina fino a Frantoio, Leccino, Picholine, Bella di Cerignola, Giarraffa, Leccese, Marinese, Massafranese, Monopolese, Nasuta, Pisciottana, Pizzuta. Davvero tante le varietà in una sola regione, simbolo per eccellenza del mondo oleario che, seppur nelle loro differenze, restano tutte ben impresse; sarà forse per la loro comune nota persistente? Partendo da nord si attraversano gli ulivi secolari di Ostuni e Fasano, e si giunge a Brindisi, dove producono l’olio Collina di Brindisi, per lo più di Ogliarola salentina e Cellina di Nardò. Scendendo verso la fine della regione (e dell’Italia), in provincia di Taranto e Lecce, dalla Murge al Salento, è invece il luogo d’elezione delle DOP Terra d’Otranto: un olio eccezionale di Cellina di Nardò e Ogliarola, coltivato già sei mila anni fa, tanto che il nome alla zona di produzione glielo diedero i monaci Basilari. Ma la Puglia è molto vicina anche ad un’altra area molto interessante…
10. Basilicata, oil to oil
Trattasi della terra lucana, dove nel Vulture, oltre ad un Aglianico strepitoso, si produce un ottimo olio, il Vulture DOP appunto, con Ogliarola del Vulture e altre varietà autoctone quali la Cima di Melfi, Palmarola, Coratina, Rapollese, Ogliarola del Bradano, Fasolina e Farasana. C’è un solo gruppo di produttori, riuniti nel nome di Frantoiani del Vulture, presenti sul mercato con il loro olio Vù. Ma la Lucania è anche la terra della Majatica di Ferrandina: una varietà diffusa sulle colline materane e nella valle del Basento, dove segnaliamo un’azienda pugliese, Giardino Arcieri. La Majatica è un’oliva a drupa grossa, diffusa solo in questa zona del mondo, polposa di colore nero a piena maturazione, sia da olio che da mensa; a proposito, lo conoscete il Presidio Slow Food della Majatica di Ferrandina al forno?
11. Sicilia, olio sul podio
Poteva forse una terra come la Sicilia non darci anche tra i migliori oli d’Italia? Assolutamente no! È così che qui si compie un viaggio nel viaggio, cioè ogni parte della regione produce oli anche molto diversi tra loro: ad esempio, nella zona dell’Etna, si produce l’Etna DOP con la cultivar locale di Nocellara Etnea, insieme ad altre varietà autoctone come Tonda Ibla, Olivo di Castiglione, Moresca, Ogliarola Messinese, Brandofino e Biancolilla, Buscionetto Carolea, Calamignara, Giarraffa, Mandanici, Minuta, Nocellara Etnea e Messinese, Verdello, Santagatese; tutt’altro carattere, meno “vulcanico” ad Occidente, dove l’olio Valli Trapanesi DOP, ottenuto da Nocellara del Belice e Cerasuola, sa di storia, di tutti i popoli che vi sono passati, senza mai smettere di coltivarlo. Infatti qui la coltura dell’olivo è stata portata avanti da Fenici, Greci, Romani, Borboni e Spagnoli, da provare no?
12. Friuli Venezia Giulia, Tergeste sul confine
Dei prodotti friulani che dovete assolutamente assaggiare vi abbiamo già raccontato; ma non vi avevamo ancora svelato che in questa terra producono anche un piccolo tesoro: l’olio extravergine di oliva Tergeste DOP, in provincia di Trieste, con almeno il 20% di Belica o Bianchera, la cultivar autoctona più diffusa (a differenza di Gorgazzo, Drobniza e Buga che sono meno presenti), il restante di Carbona e Leccio del Corno, altre due varietà locali e poi Leccino, Frantoio, Maurino e Pendolino. Da provare assolutamente è quello dell’Azienda Parovel, che grazie alla giovane Elena è giunta ben alla quarta generazione, con oli davvero eccellenti quali UL’KA, un monocultivar di Bianchera anche Presidio Slow Food.
13. Lombardia, primo e unico frantoio della provincia di Bergamo
È questo un olio non invadente, ideale per chi non vuole sentirlo troppo nei piatti, per i non amanti di quel pizzico amaro in gola. Sono così gli oli del Garda e quelli dei Laghi Lombardi, con la loro varietà autoctona Sbresa, unita a Leccino, Frantoio, Pendolino e Casaliva (del Lago di Garda), sempre accompagnati da due menzioni geografiche: Lario per la provincia di Como e Lecco; Sebino per Brescia e Bergamo. Da citare è sicuramente il primo e unico frantoio di tutta la provincia di Bergamo, ovvero il Castelletto di Elena Lussana.
14. Molise, un’infinità di cultivar
Chi l’avrebbe mai detto che in un posticino così si nascondessero così tante cultivar, per altro di origini remotissime: All’acqua di Montenero, Aurina di Venafro, Cerasuolo, Cerasa e Olivastra di Montenero, Gentile e Saligna di Larino, Oliva nera di Colletorto, Olivetta nera, Paesana bianca, Rosciola, Sperone gallo e… Chissà che non ne debbano scoprire ancora!
15. Piemonte e Valle d’Aosta, sorpresa!
In entrambe queste regioni la produzione di olio d’oliva non è mai stata un’attività particolarmente rilevante, a causa di clima e terreno, tanto che per anni l’unico olio prodotto è stato quello di noci. Di recente, invece, qualcosa è cambiato soprattutto sul confine tra le due (dove per altro producono anche il Carema, un nebbiolo eccezionale Presidio Slow Food) con la nascita di un Consorzio nato proprio per la Tutela dell’olio extravergine di oliva di Piemonte e Valle d’Aosta.
16. Toscana, una questione già nota
Non è una novità che la Toscana sia tra le indiscusse e più antiche regine nella produzione di olio extravergine d’oliva di alta qualità, tanto che già nel XVII secolo raggiunse una produzione di 58.000 quintali. Che sia Chianti, Lucca, Terre di Siena DOP o semplicemente IGP Toscano, sempre di toscano con attestazione di origine si parla, con varietà uniche locali quali Pendolino, Frantoio, Leccino, Moraiolo, Correggiolo, Ciliegino, Leccio del Corno, Maremmano, Maurino, Melaiolo, Olivastra Seggianese, Pesciatino, Piangente, Quercetano, Raggiolo, Razzo e molte altre, visto che è la regione con più cultivar di tutte!
17. Umbria, tutta una DOP
Altro territorio particolarmente vocato alla produzione di olio è quello umbro, tant’è che tutta la regione fa parte della zona di produzione dell’Umbria DOP. Vitigni autoctoni quali Moraiolo, San Felice, Rajo e Dolce Agogia, Pendolino, uniti a Leccino e Frantoio fanno l’olio umbro DOP, ai quali va sempre specificata l’area di produzione tra i vari Colli: Orvietani, del Trasimeno, Martani, Amerini e Assisi-Spoleto. L’attività commerciale legata alla produzione olearia risale già al I secolo a.C., quando l’olio umbro raggiungeva Roma…
18. Lazio, olio capitale
Infine, in una regione così “romacentrica”, il territorio intorno alla capitale è sempre troppo oscurato, quando in realtà si tratta di un’area molto dinamica, produttiva e agricola (conoscete l’Agro Pontino?): dal conciato romano ai vari pecorini, fino a salumi come la Susianella di Viterbo o le telline sul litorale romano; e vogliamo parlare dei vini di Frascati? Anche nel mondo oleario questa regione non si risparmia con quattro DOP, Sabina, Canino, Tuscia, Colline Pontine e dieci varietà autoctone, Canino, Itrana, Carboncella, Rajo, Olivastrone, Salviana, Olivago, Rosciola, Minutella, Vallanella.
Chiediamo venia a tutte le cultivar che non abbiamo citato e vi preghiamo di darci il vostro contributo affinché il nostro viaggio nell’universo dell’olio extravergine d’oliva italiano possa continuare; ma che dite, magari prima facciamo una pausa con una bella schiacciata all’olio?