L’olio di cocco alimentare si sta accreditando come uno dei principali sostituti dell’olio di palma. A causa dell’elevato contenuto di grassi saturi, tuttavia, anche su questo ingrediente pesano le questioni legate alla salute. Abbiamo trattato molto attentamente i temi relativi all’olio di palma, come nel nostro articolo sulle ultime considerazioni dell’EFSA. In una precedente intervista, invece, il professor Barbanti, agronomo dell’Università di Bologna, ci ha parlato della sostenibilità della coltivazione della palma da olio. In questo approfondimento di occuperemo dell’olio di cocco alimentare, cercando di capire se su scala industriale lo si può ritenere davvero una buona alternativa all’olio di palma.
L’olio di cocco fra le alternative all’olio di palma
L’industria ha individuato alcuni oli vegetali che, per costi e caratteristiche, sono ritenuti più idonei alle produzioni di cibo su larga scala. Fra questi, i più utilizzati sono l’olio di palma, l’olio di girasole, l’olio di colza e l’olio di cocco, che in ambito alimentare è sempre più diffuso. Sappiamo che l’olio di palma per mesi è stato protagonista di un caso mediatico, fino alle indicazioni dell’Autorità europea sulla sicurezza alimentare (EFSA), che lo hanno bocciato a causa dei procedimenti estrattivi e di raffinazione utilizzati per ottenerlo. Questa situazione ha favorito l’utilizzo degli altri grassi vegetali sopra citati. Fra questi, l’olio di cocco alimentare è probabilmente il più simile all’olio di palma, e soprattutto a quello di palmisto, il nocciolo dei frutti di palma. Ora vedremo quali sono le peculiarità che motivano questa somiglianza.
Olio di cocco alimentare: le proprietà
L’olio di cocco, come nel caso degli altri oli vegetali, presenta caratteristiche diverse in base al tipo di lavorazione alla quale viene sottoposto. L’industria alimentare in genere predilige alti livelli di raffinazione, che rendono l’olio trasparente, inodore, più resistente all’irrancidimento e alla alte temperature, ma anche più povero e meno salutare sul piano nutrizionale. A temperatura ambiente questo grasso si presenta solido e simile a un burro. L’olio di cocco alimentare si pone come una delle alternative più consone all’olio di palma, grazie a due aspetti principali che lo accomunano a questo ingrediente. Il primo è l’elevato contenuto di grassi saturi, ma altrettanto significativa è la resistenza all’irrancidimento, conseguenza della ricchezza di saturi e fondamentale per i prodotti della grande distribuzione, che devono restare per mesi nei magazzini e sugli scaffali. L’olio di cocco spesso è sottoposto anche all’idrogenazione, processo che aumenta ulteriormente la componente satura, la temperatura di fusione e il punto di fumo. Questo trattamento, però, peggiora il prodotto dal punto di vista nutrizionale.
I grassi dell’olio di cocco alimentare
Il profilo lipidico rappresenta la tipicità più significativa dell’olio di cocco alimentare. Fra gli oli vegetali, infatti, quello ricavato dalla noce di cocco è in assoluto il più ricco di grassi saturi, anche più dell’olio di palma. Questa peculiarità permette di conferire consistenza e rotondità ai cibi, senza ricorrere a grassi di origine animale, molto più costosi e impattanti nel gusto. Il contenuto calorico dell’olio di cocco supera le 850 kcal per 100 grammi, mentre i grassi saturi sfiorano il 90 per cento del totale lipidico. Nel valutare quest’ultimo dato è bene fare alcune precisazioni. I grassi saturi dell’olio di cocco, infatti, sono prevalentemente a catena media, meno problematici rispetto ai corrispettivi a catena lunga, come ad esempio l’acido palmitico. Fra questi grassi saturi a catena media a prevalere è l’acido laurico, un elemento che potrebbe favorire il livello del colesterolo HDL, quello considerato “buono”, a discapito dell’LDL, quello “cattivo”. Se però l’olio è sottoposto a idrogenazione il discorso si ribalta e l’impatto sul colesterolo diventa molto negativo, anche a causa della comparsa di grassi trans, considerati nocivi per la salute.
Dove lo troviamo?
Come per l’olio di palma, anche per l’olio di cocco l’uso alimentare non è prevalente. Entrambi, infatti, sono utilizzati massicciamente per realizzare cosmetici, detergenti e altri prodotti non commestibili. In ambito food lo si adopera per friggere – soprattutto a livello industriale – nella preparazione di margarine e di prodotti da forno e nel settore dolciario. Possiamo notare che gli utilizzi sono pressoché identici a quelli dell’olio di palma. L’olio di cocco grezzo, infine, è un ingrediente tradizionale in molte cucine orientali e africane.
L’uso nei cosmetici
Questo prodotto rappresenta circa un quinto degli oli vegetali impiegati nel mondo, ed è la cosmetica ad assorbire il grosso del volume. L’olio di cocco, al di là dell’ambito alimentare, si è rivelato ideale per realizzare creme, unguenti e saponi, grazie alle sue proprietà emollienti e lenitive che favoriscono il benessere della pelle e dei capelli. L’acido laurico, del quale questo olio vegetale è molto ricco, ha proprietà antisettiche, utili a contrastare la diffusione di microbi e funghi. L’olio di cocco, oltre all’uso alimentare e cosmetico, può essere impiegato anche per produrre biodiesel, anche se le quantità prodotte – non particolarmente elevate – non ne fanno la base ideale per questo scopo. Questa considerazione ci introduce al prossimo capitolo.
La produzione dell’olio di cocco
Nell’alimentazione dei popoli del Sud-Est asiatico e dell’Africa equatoriale l’olio di cocco è sempre stato presente, mentre nel mondo occidentale la sua introduzione risale alla seconda metà dell’Ottocento. I principali Paesi produttori oggi sono le Filippine, l’Indonesia, l’India e altre nazioni costiere dell’area equatoriale. Dal punto di vista quantitativo, la produzione di olio di cocco non è paragonabile a quella di olio di palma, aspetto che lo rende meno adatto per un impiego su larga scala rispetto a quest’ultimo . Il metodo estrattivo prevede la pressatura della polpa essiccata della noce di cocco, chiamata anche copra. A livello industriale, come si ricordava, l’olio ottenuto dalla copra viene raffinato, sbiancato e privato degli aromi caratteristici. L’eventuale idrogenazione, processo adottato per rendere i grassi vegetali chimicamente più simili a quelli animali, cambia ulteriormente le caratteristiche del prodotto, rendendolo anche molto meno salutare.
L’olio di cocco fa male?
Le principali organizzazioni sanitarie mondiali – l’OMS su tutte – sconsigliano un consumo elevato di olio di cocco alimentare, puntando il dito contro l’alto contenuto di grassi saturi. Gli effetti positivi dell’acido laurico sul colesterolo, potenzialmente interessanti sul piano della salute, attendono ancora conferme dalle ricerche. L’olio di cocco non va criminalizzato, ma sarebbe bene non ingerirne troppo, considerando la presenza di questo ingrediente in molti prodotti della grande distribuzione, come nel caso dell’olio di palma. Come abbiamo accennato, la raffinazione peggiora l’olio di cocco dal punto di vista nutrizionale, disperdendo alcune delle proprietà antiossidanti benefiche. L’olio di cocco idrogenato, come tutti i grassi vegetali sottoposti a questo trattamento, sarebbe da evitare.
Meglio dell’olio di palma?
Stabilire se l’olio di cocco alimentare sia davvero da preferire rispetto all’olio di palma non è scontato, e per avere indicazioni precise si dovranno aspettare i risultati di ulteriori ricerche. Se si esamina la questione in ottica industriale, per determinati usi l’olio di cocco può sostituire l’olio di palma, senza però raggiungere la stessa diffusione a causa di una produzione quantitativamente molto inferiore. In termini di sostenibilità ambientale, invece, non si sa molto sulle coltivazioni intensive di palma da cocco. Al netto di queste considerazioni, l’olio di cocco alimentare – come tutti gli oli vegetali di uso industriale – è comunque da ritenere un alimento di scarso pregio, adatto alla produzione di cibi che devono costare poco e conservarsi a lungo.
Dopo questo approfondimento sull’olio di cocco alimentare, può essere interessante leggere un articolo sul parere dell’EFSA in merito alla nocività dell’olio di palma, oltre ad alcune riflessioni relative alla sostenibilità delle produzione di questo ingrediente.
Fonti:
USDA – Food Composition Database
Organizzazione mondiale della Sanità
American Dietetic Association