Olio d’oliva contraffatto: quali sono le frodi più frequenti sull’extravergine e come riconoscerle?

olio contraffatto

 

Quando si pensa all’olio contraffatto, in particolare al mercato dell’extravergine di oliva, non sempre sono chiare le alterazioni che possono interessare il prodotto, come le modalità per individuarle. Del resto, il valore economico del più popolare tra i condimenti mediterranei – in primis, di quello italiano – è una forte tentazione per chi vuole lucrare indebitamente su materie prime di pregio inferiore. Come abbiamo visto nei nostri approfondimenti, inoltre, la crisi degli ultimi anni espone ancor di più le produzioni di qualità a forme di concorrenza sleale, che inquinano il settore, danneggiando produttori e consumatori. Ma quali tipologie di frodi minacciano l’olio di oliva? Come è possibile riconoscerle? Con questo approfondimento cercheremo di saperne di più.

Olio d’oliva contraffatto: alle basi del problema

Come è semplice intuire, le motivazioni che portano a produrre e commercializzare olio contraffatto sono essenzialmente di natura economica, in quanto le frodi su questo alimento nutraceutico sono tra le più remunerative, perlomeno in ambito gastronomico. L’olio extravergine italiano, in particolare, è colpito da questo forma di truffa, che può avere diverse tipologie di applicazione. Come evidenziano i dati di Ismea Mercati, infatti, il prezzo medio all’origine delle produzioni italiane è indicativamente il doppio rispetto a quello dell’olio spagnolo, greco e tunisino. Questa evidenza può spingere operatori malintenzionati a falsificare prima di tutto l’origine della merce, anche se, come vedremo, esistono vari tipi di frodi alimentari, con diversi livelli di gravità.

Produzione olio d'oliva
Sabino Parente/shutterstock.com

Prima di approfondire il tema delle frodi, è utile ricordare che oggi, in termini di quantità, l’Italia è seconda nella classifica degli Stati produttori, dopo la Spagna. Se si parla di biodiversità agricola sul territorio, però, il nostro Paese non ha rivali, con circa 500 varietà, oltre il 40% di quelle esistenti al mondo. Come abbiamo visto nel nostro articolo, un extravergine dev’essere prodotto solo con lavorazioni meccaniche e non può avere un’acidità superiore allo 0,8%, mentre l’olio vergine può raggiungere il 2%.

Olio e frodi: una prima distinzione

Anche se non esiste ancora una definizione condivisa a livello europeo, quella proposta da un report del Comitato per la standardizzazione identifica semplicemente la frode alimentare come un’azione volontaria che causa discrepanza tra le indicazioni di un prodotto e le sue caratteristiche, motivata dall’intento di aumentare i guadagni.

In questo primo quadro, si possono distinguere due principali categorie frodatorie, che interessano l’olio come tante altre tipologie merceologiche. Nelle frodi sanitarie, le più gravi e pericolose, vengono messi in vendita cibi potenzialmente nocivi per la salute umana. Per questa casistica, un esempio tristemente noto è offerto dallo scandalo del vino al metanolo, che nel 1986 provocò cecità, danni neurologici e persino la morte di decine di persone. Le frodi commerciali, meno rischiose e molto più diffuse, consistono invece in una descrizione del prodotto volontariamente errata, che causa una perdita economica per il consumatore, ma non un pericolo per la sua salute.

Come si possono classificare le frodi?

Per comprendere meglio le manipolazioni illecite dalle quali dipende l’olio contraffatto, è utile classificare ulteriormente le diverse tipologie di frode alimentare. 

Le frodi sanitarie interessano la qualità intrinseca dei cibi, e si possono suddividere in:

  • Adulterazioni, quando senza che sia dichiarato viene modificata la composizione di un alimento, in genere usando sostanze di qualità inferiore. Il valore nutrizionale e le caratteristiche igienico-sanitarie cambiano, costituendo un potenziale pericolo per la salute umana. Il già citato caso del vino al metanolo rientra precisamente in questa classificazione.
  • Alterazioni, se le modifiche della composizione e delle peculiarità organolettiche sono da attribuire a processi degenerativi spontanei, dovuti a una conservazione sbagliata o troppo prolungata. La commercializzazione di cibi deteriorati fa parte di questa casistica.
  • Sofisticazioni, quando le modifiche dipendono dall’aggiunta di sostanze estranee per migliorare l’aspetto del prodotto e farlo apparire più fresco o di pregio superiore, come avviene quando si aggiunge ammoniaca ai gamberetti, per ravvivare il colore.
Frodi olio extravergine
dominique landau/shutterstock.com

Nell’ambito della produzione e della vendita di olio di oliva extravergine, si ha a che fare soprattutto con le frodi commerciali, classificabili in:

  • Contraffazioni, se l’azione ha lo scopo di far sembrare un cibo differente e più pregiato rispetto al suo reale valore. Tipica, in questo caso, è l’attribuzione fraudolenta di denominazioni di origine controllata su merci prive dei requisiti.
  • Falsificazioni, quando un prodotto viene sostituito da un altro meno pregiato, come ad esempio la vendita di olio di semi spacciato per olio d’oliva.

Non di rado le manipolazioni fraudolente si sommano, con casi che presentano due o più tipi di irregolarità.

Le frodi più ricorrenti sull’olio d’oliva

Secondo i rapporti UE di controllo sulle frodi alimentari, l’olio di oliva rientra fra le merci più colpite da questo fenomeno, anche se altri cibi lo sono maggiormente, come le carni, i vini e soprattutto i prodotti ittici, in assoluto i più frodati. In Italia, però, a causa della grande popolarità di questo condimento – siamo i primi al mondo per consumo pro capite – e del valore economico del settore, il tema dell’olio contraffatto è particolarmente sentito. Se da un lato i consumatori vogliono giustamente tutelarsi, anche i produttori e i venditori onesti sono interessati a difendersi da queste forme di concorrenza sleale.

L’extravergine di oliva, avendo un valore superiore, è di gran lunga il primo della lista quando si parla di frodi sull’olio. Per di più, la relativa facilità con cui lo si può modificare, oltre alla difficoltà nell’individuazione delle manipolazioni, lo rendono assai vulnerabile in questo senso. Le casistiche più comuni hanno a che fare con:

  • miscelazione con altri oli vegetali meno pregiati, come gli oli di semi raffinati, soprattutto di girasole, oppure, ancor peggio, con l’olio di sansa (residuo di lavorazione delle olive) deodorato e deacidificato. Spesso si aggiungono coloranti per migliorare l’aspetto (tipicamente, betacarotene e clorofilla);
  • sostituzione con oli vegetali o con di oliva di categoria merceologica inferiore (es. olio vergine venduto per extravergine).

In questo ambito, negli ultimi anni, è risultata piuttosto comune la miscelazione con oli di costo più basso, provenienti da Paesi extraeuropei come Tunisia o Marocco.

La gamma di frodi che coinvolgono questo prodotto, tuttavia, è molto varia, e si può avere a che fare anche con:

  • produzione e commercializzazione di oli a denominazione di origine protetta (Dop) ottenuti da olive raccolte in zone esterne alla zona di riferimento e, più in generale, uso improprio dei marchi;
  • etichettazione scorretta nelle informazioni fornite, con descrizioni ingannevoli o non corrispondenti alle reali caratteristiche.

Come si scoprono le truffe?

Se modificare l’olio non è particolarmente complesso, invece lo è individuare le frodi, che richiede diverse verifiche tecniche e una prova sensoriale. Per avere la certezza di avere a che fare con un olio extravergine contraffatto, infatti, bisogna ricorrere a test di laboratorio, effettuati dagli organi ispettivi competenti, dove verranno analizzati questi parametri.

  • L’acidità è il valore di base per valutare un olio di oliva, e può dipendere dalla qualità delle olive, come dal trasporto e dallo stoccaggio.
  • Il numero di perossidi, se troppo alto, indica una bassa conservabilità, e dipende dal tempo trascorso tra raccolta e lavorazione delle olive, normalmente da effettuare entro 48 ore.
  • La spettrofotometria all’ultravioletto offre informazioni su origine della sostanza grassa, conservazione e le modifiche subite dall’olio. Questa tecnica permette di riconoscere una miscelazione tra un olio di oliva vergine e qualsiasi tipo di olio raffinato.
  • La composizione degli acidi grassi, di per sé non sufficiente per distinguere oli simili per questo parametro, deve essere abbinata ad altre analisi, come quella degli steroli, che invece evidenzia peculiarità proprie delle singole specie vegetali.

L’analisi sensoriale realizzata da un panel di assaggiatori debitamente formati, inoltre, potrà verificare la presenza e l’entità dei difetti principali associati agli oli (rancido, riscaldo/morchia, muffa/umidità, avvinato, olive gelate).

Leggere bene le etichette e diffidare dei prezzi stracciati

Etichetta olio d'oliva
j.chizhe/shutterstock.com

Il consumatore, dal canto suo, dovrà innanzitutto affidarsi all’etichettatura, strumento fondamentale per orientarsi, sia in positivo che in negativo, come abbiamo visto in un nostro articolo. In base al Regolamento UE n. 29 del 2012, l’etichetta deve obbligatoriamente riportare:

  1. denominazione di vendita (es. olio extravergine di oliva)
  2. designazione dell’origine (solo per l’extravergine e il vergine; es. “miscela di oli di oliva originari dell’Unione europea”)
  3. informazione sulla categoria di olio (es. “olio d’oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”)
  4. quantità netta (es. “0,75 litri”)
  5. termine minimo di conservazione (es. “da consumarsi preferibilmente entro …”)
  6. condizioni particolari di conservazione (es. “da conservare al riparo della luce e dal calore”)
  7. nome o la ragione sociale e indirizzo del responsabile commerciale del prodotto
  8. lotto (ovvero, la partita alla quale appartiene una derrata alimentare)
  9. dichiarazione nutrizionale (indicazioni obbligatorie: valore energetico in kJ e kcal, quantità di grassi e acidi grassi saturi, carboidrati e zuccheri, proteine e sale, da esprimere in grammi)
  10. campagna di raccolta (per l’extravergine e il vergine, solo se il 100% dell’olio contenuto nella confezione proviene da tale raccolta; es. “Campagna di raccolta olive 2019/2020”)
  11. sede dello stabilimento di confezionamento [località e indirizzo, secondo il D. Lgs 15 settembre 2017, N. 145; non si applica agli oli preimballati, fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’UE o in Turchia o fabbricati in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE)].

In etichetta possono essere presenti anche indicazioni facoltative regolamentate e volontarie non regolamentate, che non devono mai confondere o trarre in inganno. Ad esempio, diciture del tipo “Olio extravergine di oliva genuino”, “Previene le malattie cardiovascolari” o “Olive raccolte nelle colline toscane” non possono essere utilizzate.

Oltre a queste informazioni e alle sensazioni dettate dall’assaggio, il prezzo potrà essere un ulteriore indicatore di affidabilità, e se troppo basso dovrà insospettire. Tenendo conto dei costi di produzione, ad esempio, un buon extravergine italiano difficilmente potrà costare meno di 8 euro al litro.

 

Avete sentito parlare di casi di olio contraffatto?

 

Fonti:
Ismea Mercati
EU Monthly Food Fraud Summary Reports
European Committee for Standardization
Food Integrity

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