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Obesita’, Denutrizione E Sprechi Alimentari: Che Scandalo!

Andrea Segre'

di Andrea Segrè

Andrea Segrè (www.andreasegre.it) professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata, preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e presidente di Last Minute Market, spin off dell’Università di Bologna.

Il “peso” degli affamati sparsi nei quattro angoli del pianeta è in aumento anziché in calo, come vorrebbe invece il piano strategico dell’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione, la FAO. La contabilità, o più precisamente il triste censimento degli affamati, ci dice che quest’anno sono cresciuti di 105 milioni. Per la prima volta nella storia dell’umanità, le persone in condizioni di sottonutrizione hanno superato il miliardo: per la precisione sono 1 miliardo e 20 milioni.
Nel già ricco calendario delle giornate mondiali, ottobre è dunque il mese dell’alimentazione, anzi della malnutrizione. Che ha una doppia, altrettanto tragica, faccia: la denutrizione e l’obesità. Fame e sazietà, scarsità e abbondanza si incrociano, talvolta pericolosamente. Dove c’è denutrizione c’è abbondanza, dove c’è scarsità troviamo obesità. Determinando conseguenze altrettanto devastanti dal punto di vista economico, sanitario e anche sociale. Dappertutto si mangia male, che sia troppo o troppo poco. Mentre il cibo che si produce, si trasforma, si commercia, si distribuisce, e poi si consuma sempre seguendo lo stesso “modello” e soprattutto – dato che non emerge quasi mai – si spreca lungo tutta la filiera, corta o lunga che sia. Le eccedenze, i surplus si materializzano ovunque nel mondo, seppure in proporzioni diverse. Un quadro devastante, soprattutto in tempo di crisi come quello attuale. Una crisi che ha colpito indistintamente le fasce già povere tanto nelle città quanto nelle aree rurali dove vive il 70 per cento degli individui afflitti da malnutrizione. Ma cosa sta succedendo?
Tutti pensano la stessa cosa: i “magri” sono perlopiù concentrati nei paesi poveri mentre i “grassi” esplodono in quelli ricchi. Non è così invece. Ad esempio l’Africa è oggi colpita da entrambe le patologie. L’obesità ha raggiunto livelli elevatissimi anche in questo continente, ma non tutti ne hanno coscienza. Un numero significativo di africani ha lasciato le aree rurali per recarsi in quelle urbane, dove consuma molto cibo ma di scarsa qualità. Per questo motivo il sovrappeso è divenuto un problema non meno preoccupante della carenza di cibo.
Sia la denutrizione che la sua condizione opposta sono causa della povertà e dell’insicurezza alimentare, che colpiscono una larga porzione di popolazione urbana, la quale non è in grado di accedere ad alimenti freschi e nutrienti. In alcuni Stati del Nord e del Sud dell’Africa, le persone in sovrappeso hanno superato di numero quelle denutrite, ma in queste aree non vi è alcuna consapevolezza dei problemi che tale condizione comporta. Anzi, qui l’obesità non è vista come un problema ma come uno status invidiabile, simboleggiante un buon tenore di vita.
Seppure in proporzioni diverse questo trend è simile anche nei paesi sviluppati, Italia compresa. Secondo un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità, gli obesi nel nostro Paese sono in preoccupante aumento. Le persone in sovrappeso in Italia sono oltre due uomini su tre (67% ) e più della metà delle donne (55%) mentre assai più significativo è il dilagare del problema nei piùgiovani. I bambini italiani sono i più grassi d’Europa con uno su tre di età compresa tra i 6 e gli 11 anni che pesa troppo.
Il problema è che stiamo adottando tutti, paesi ricchi e poveri, gli stessi “modelli” di produzione-consumo: omogeneizzazione generalizzata, trasporti lunghi e inquinanti, bassa qualità, elevata quantità. Se anche i cinesi vogliono consumare come gli americani il mondo, le risorse intendo, non basteranno. È solo una questione di tempo. Dobbiamo tutti ridurre i consumi in quantità ed elevare la qualità favorendo la localizzazione e dunque la sostenibilità.
Il paradosso è legato invece agli sprechi alimentari, anche questi ubiquitari: l’offerta che non raggiunge la domanda. Solo un dato, frutto del lavoro di uno studioso inglese, Tristram Stuart (in uscita la traduzione del suo libro Waste): nel mondo si spreca il 50% del cibo prodotto, qualcosa come 20 milioni di tonnellate di cibo ogni anno che potrebbero nutrire 7 volte il numero degli affamati. Insomma lo spreco rappresenta anche un’opportunità, almeno per qualcuno (e non sono pochi). Anche nel nostro Paese i dati sono assai rilevanti: quasi 600 euro per famiglia, il 10% della spesa alimentare finisce nella spazzatura, buona parte ancora consumabile. Per non parlare di quanto si getta via lungo tutta la filiera: dal campo al supermercato. Secondo i dati elaborati da Last Minute Market – l’iniziativa antispreco dell’Università di Bologna – se si riuscisse a mettere in rete l’intero sistema di distribuzione del nostro Paese si potrebbe recuperare tanto cibo da mettere a tavola – colazione, pranzo e cena – quasi un milione di indigenti al giorno.
Com’è possibile che, a parte qualche iniziativa, si riesca a recuperare solo una frazione infinitesimale di questo cibo? Ed ogni giorno cresce il peso dei rifiuti e la quantità di merce buttata soltanto perché ritenuta non più commerciabile: montagne di prodotti alimentari ancora consumabili vengono distrutti. Uno spreco colossale di risorse, un danno ambientale gravissimo, un sistema a lungo andare insostenibile sia dal punto di vista economico che sociale.
Eppure lo spreco, ciò che si getta via, almeno in parte, può essere utile: almeno per qualcuno. Così, allungando la vita dei beni alimentari, allunghiamo anche la vita di chi li consuma: gettare i prodotti invenduti prima della loro fine ‘naturale’ è un po’ come ucciderli, e con loro fare morire anche le persone che invece potrebbero consumarli. Pensiamoci quando celebriamo le nostre giornate dell’alimentazione, anzi della malnutrizione e dello spreco alimentare.

 

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