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Ttip: il fronte della protesta avanza contro le lobby

Un grande punto interrogativo avvolge l’iter che dovrebbe portare all’approvazione del Ttip, agitato dal vento della protesta e minato alla base da un dissenso che da strisciante si è fatto ora più rumoroso. Il Transatlantic Trade and Investement Partnership, cui da ormai due anni lavorano Ue e Usa, deve sempre di più fare i conti col movimento no Ttip, molto forte anche in Italia, capace, se non di bloccare la procedura, perlomeno di creare imbarazzo a Bruxelles. Non solo: perché anche negli Stati Uniti qualcosa sembra essersi intoppato.

 

Un passo indietro: cos’è il Ttip?

Il Ttip è un trattato di libero scambio transatlantico: un accordo di liberalizzazione commerciale con l’intento, dichiarato, di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti rendendo più semplice il commercio da una parte all’altra dell’oceano Atlantico. Una piccola grande rivoluzione, insomma.

Il trattato coinvolge i 50 stati Usa e le 28 nazioni dell’Unione Europea, per un totale di oltre 800 milioni di cittadini. Inizialmente veniva chiamato Tafta, area transatlantica di libero scambio, e pur avendo ricevuto un’accelerata decisiva nel febbraio 2013 con l’annuncio del via alle procedure da parte di Barack Obama, il presidente della commissione Ue Josè Manuel Barroso e il presidente del consiglio europeo Herman Von Rompuy, è in viaggio ormai dal 2007.

 

A cosa serve?

Sostanzialmente a eliminare i dazi e le barriere non tariffarie fra Stati Uniti e Unione europea, semplificando la compravendita di beni e servizi fra le due aree, la crescita economica dei soggetti coinvolti con la creazione di nuovi posti di lavoro e la diminuzione dei prezzi. Si tratta del secondo step di un progetto che dovrebbe portare gli Usa al ripristino di un’egemonia sui commerci senza precedenti.

Il primo, in fase più avanzata ma ugualmente in stallo, è il Tpp: il Trans-Pacific Partnership è un accordo commerciale tra alcuni Paesi dell’area del Pacifico (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Singapore, Vietnam) con gli Stati Uniti. Uno snodo fondamentale nel secondo mandato di Barack Obama, oltre che un prologo al secondo accordo, quello con l’Europa.

 Commercio alimenti


Gli intoppi: i ritardi dell’Unione Europea

In teoria, il percorso del Ttip si potrà dire compiuto solo quando i rappresentanti degli Stati membri e il Parlamento europeo approveranno l’accordo. Ma per ora, nonostante l’iter sia in procedura avanzata e i negoziati ormai pressoché terminati, (il prossimo incontro è a metà luglio, ma non sarebbe decisivo) è proprio Bruxelles a latitare, non facendo sentire il suo potere e confermando il sospetto che le decisioni in realtà vengano prese altrove.

Lo scorso 10 giugno la dimostrazione: la seduta che avrebbe dovuto discutere il Ttip neanche si è tenuta, per decisione del presidente Martin Schulz. Iscritti ai lavori c’erano ‘appena’ 200 emendamenti: troppi secondo Schulz, e così la pratica bollente è tornata alla commissione commercio internazionale.

 

Un rinvio tattico per guadagnare tempo

Di sicuro sull’arenarsi dell’iter hanno inciso le proteste della società civile, ma la mancata discussione non è parsa un buon segnale: ai sostenitori dell’accordo sarebbe mancata la maggioranza, ma ai detrattori sarebbe piaciuto un confronto. Alla commissione ora il compito di rivedere un testo che non convince.

Dagli Stati Uniti, intanto, ecco la conferma che qualcosa è cambiato: nei giorni scorsi il Senato non ha ottenuto la maggioranza per discutere del Trade Promotion Authority, il documento che conferirebbe a Barack Obama di negoziare in prima persona. Impallinato anche dai democratici, il presidente potrebbe veder slittare i tempi nei quali sperava, ossia la fine dell’anno per il Tpp e a ruota il Ttip.

 

La protesta che monta: Greenpeace e gli altri

Secondo Greenpeace, che conduce una delle battaglie più combattive contro il trattato, i motivi per schierarsi dalla parte del no-Ttip sono quattro:

 

In campo centinaia di associazioni italiane no Ttip

Stop Ttpi, la campagna che in Italia ha trovato il sostegno di centinaia di associazioni e decine di migliaia di persone, sostiene che “questo trattato, che viene negoziato in segreto tra Commissione Ue e Governo Usa, vuole costruire un blocco geopolitico offensivo nei confronti di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile creando un mercato interno tra Europa e gli Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità non verranno più determinate dai nostri Governi e sistemi democratici, ma modellate da organismi tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi transnazionali”.

Nel mirino anche due organismi tecnici potenzialmente molto potenti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini: il primo, un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor State Dispute Settlement, Isds), consentirebbe alle imprese di citare gli opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri.

 

 

Il disinteresse dell’opinione pubblica

Però, bisogna essere onesti. Di Ttip in Italia si è parlato veramente pochissimo, nonostante sia un provvedimento destinato a cambiare radicalmente le nostre abitudini alimentari (e non solo). Sul versante politico, l’unica opposizione a far sentire la propria voce è quella del Movimento 5 stelle, che fa notare tra l’altro come “uno degli aspetti fondamentali dell’accordo è che l’incentivo all’esportazione di beni e le due parti si fonda non sull’individuazione di barriere fiscali da eliminare, che già esistono, bensì sull’eliminazione di quelle regolamentari”.

Il problema principale, però, starebbe nella totale segretezza delle informazioni. Secondo il M5s, inoltre, le lobby americane avranno libero accesso a tutti gli appalti pubblici indetti negli Stati membri dell’Unione europea distruggendo le piccole medie imprese e danneggiando la qualità dei servizi.

A protestare sono ovviamente anche consumatori, ambientalisti, piccoli agricoltori che continuano a vedere in questo accordo, un rischio sui controlli delle tutele ambientali, etichettatura e tracciabilità dei prodotti. Tra i vari soggetti che si oppongono all’accordo – lo abbiamo già visto nell’intervista a Carlo Petrini sul Ttip c’è anche Slow Food.

La più ricorrente tra le critiche ai negoziati è la loro segretezza e mancanza di trasparenza, ma non mancano quelle sulla prospettiva di una diminuzione di diritti per i lavoratori, sulla possibile crisi dell’agricoltura europea, che si ritroverebbe frantumata in milioni di aziende, sulle conseguenze per chi non è una multinazionale, e dunque per le piccole e media imprese. Infine, ineluttabile, la privatizzazione dei servizi pubblici.

 

Il fronte del sì

C’è naturalmente anche chi sostiene l’accordo, con tanto di numeri e previsioni mirabolanti. In particolare, secondo i vertici Ue, una volta concluso il Ttip porterebbe nelle casse europee 119 miliardi di euro all’anno e 95 miliardi di euro in quelle degli Stati Uniti. I fan del libero mercato vedono nel trattato una possibilità di creare nuovi posti di lavoro, rilanciare la crescita e ridurre i prezzi dei consumatori. Diversi studi hanno concluso che l’accordo avrà benefici sia per gli Stati Uniti che per l’Ue, con un aumento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti. Il Pil mondiale aumenterebbe, così come i benefici generali sull’innovazione e il miglioramento tecnologico.
E voi, che opinione vi siete fatti a riguardo? Siete a favore dell’accordo o popolate le schiere dei no Ttip?

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