Quale significato ha la pausa pranzo? E com’è quella degli italiani? Dati, ricerche e articoli ci raccontano che si mangia di corsa, sempre più velocemente, facendo altro: dalle telefonate personali agli acquisti su Amazon. Eppure, nelle sue trasformazioni e nel rincorrere sempre un tempo che sfugge, la pausa pranzo degli italiani non perde mai di importanza e di valore, come ricorda la mostra “Pausa pranzo. Cibo, industria, lavoro nel ‘900”, prorogata fino a marzo 2019 e ospitata a Dalmine, in provincia di Bergamo, dall’omonima Fondazione, che dal 1999 si occupa di promuovere la cultura industriale.
Mostra “Pausa pranzo. Cibo, industria, lavoro nel ‘900”: dalla gavetta alle mense aziendali
Un tempo in Italia la pausa pranzo si differenziava a seconda della classe sociale, per cui c’era chi poteva andare al ristorante e chi si portava il pasto al lavoro. È il caso dell’ormai famosa schiscetta milanese, termine che pare faccia riferimento al portavivande in metallo che utilizzavano gli operai, i quali schiacciavano (“schisciavano”, in dialetto lombardo), il cibo, per farlo entrare nei contenitori e poterli chiudere. C’è poi il barachin piemontese, simbolo del cibo operaio e popolare, mentre è tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 che avviene una vera rivoluzione sociale, con l’introduzione delle mense aziendali, che possiamo definire “la livella” che voleva superare le posizioni di censo.
Questi passaggi storici e culturali, sono al centro della mostra ospitata da Fondazione Dalmine e curata in collaborazione con Fondazione ISEC nell’ambito del progetto Aggiungi PROmemoria, che ha ricevuto il contributo di Fondazione Cariplo.
Si tratta di un excursus storico nella cultura industriale del ‘900, attraverso materiali d’archivio, video d’epoca, oggetti e scatti di grandi fotografi, tra i quali Uliano Lucas, Bruno Stefani e Ugo Mulas, che ci mostrano abitudini e trasformazioni, luoghi, tempi e modalità della pausa pranzo degli italiani, dove la mensa aziendale nasce come spazio ricreativo, sinonimo di uguaglianza e di benessere, quello dei lavoratori.
Il diritto alla pausa pranzo
Uguaglianza, benessere, diritti. Con la mensa aziendale cibarsi diventa un atto politico, come sottolineato da Paolo Bricco, nell’articolo che IlSole24Ore ha dedicato alla mostra “Pausa pranzo. Cibo, industria, lavoro nel ‘900”. Del resto, se pensiamo alla cultura industriale italiana, l’immaginario collettivo ci mostra subito grandi imprenditori, come Olivetti, ma anche grandi scontri, divisioni sociali, lotte, scioperi, dove il tema della pausa pranzo è presente, in quanto considerato un diritto fondamentale, che va tutelato, ancora oggi. Non a caso, è argomento di battaglia politica, in particolare all’interno della formulazione del contratto degli statali e delle politiche di welfare aziendale.
E oggi? Nuovi modelli di pausa pranzo
Secondo dati recenti, la pausa pranzo degli italiani dura in media 30/40 minuti, e sembra avere smarrito l’originario senso di comunione, socialità e scambio, a favore di una pausa più solitaria. In questo senso, la mensa, rispetto ad altre modalità di fruizione, rimane uno spazio di incontro, reale, fisico e umano, oggi come ieri. Infatti, il suo percorso, l’ha vista prima come luogo chiuso, spazio, dove gli operai consumavano pasti freddi o portati da casa, per poi affermarsi come servizio, diventando un ambiente confortevole e accogliente, dove ci si prende cura dell’alimentazione dei lavoratori e del loro benessere. Oggi, inoltre, non esiste più un solo modello di mensa, ma le proposte della ristorazione collettiva tendono sempre più a diversificarsi, variando dalle mense, alle caffetterie, fino ai ristoranti aziendali e alla ristorazione veloce. Si tratta di formule diverse, che variano nell’offerta e nello stile e mirano ad andare incontro al mutare delle esigenze della società, delle famiglie e dei lavoratori. La base comune, tuttavia c’è ed è rappresentata dal calcolo costi-benefici, dove tra questi ultimi non troviamo solo la necessità di alimentarsi in modo vario e sano, ma anche e, direi, soprattutto, quella di risparmiare tempo.
Fiat, Olivetti, Pirelli: a Dalmine in mostra la cultura industriale italiana
Tra i tanti racconti documentati nella mostra della Fondazione Dalmine, le esperienze della Fiat, dell’Olivetti, della stessa Dalmine (oggi Tenaris) e poi ancora Pirelli, Barilla, Alfa Romeo, in un percorso multimediale, in cui la storia della pausa pranzo e delle mense aziendali spesso si intreccia con tematiche collaterali, come il boom economico italiano o l’architettura industriale. Qualche esempio? Il progetto di Giò Ponti per la sede della Montecatini a Milano, realizzato in tempi record – 23 mesi, dal novembre ’36 al settembre ’38 – e divenuto subito simbolo di efficienza.
E ancora, la mensa realizzata da Ignazio Gardella vicino alla fabbrica Olivetti a Ivrea, la cui descrizione sul sito dell’Archivio Storico Olivetti, ci offre uno spaccato dettagliato e potente della mensa come servizio e della cultura industriale dell’epoca: “Il servizio mensa, in funzione dalle sei del mattino fino alle nove di sera per 15 ore consecutive, dipendeva dalla direzione dei Servizi Sociali. Al Consiglio di Gestione era affidato il compito di seguirne l’andamento, segnalare eventuali inefficienze e suggerire i provvedimenti e le modifiche atti a migliorare il funzionamento. Alla mensa potevano accedere a determinate condizioni anche gli studenti, figli dei dipendenti.
In prossimità della mensa erano disponibili vari servizi sociali e culturali, allo scopo di trasformare la pausa pranzo (che durava un paio d’ore) in un’occasione di arricchimento culturale. Questo modello venne applicato in quasi tutti i siti produttivi Olivetti, in Italia e all’estero, divenendo un aspetto tipico dello “stile Olivetti”.
In attesa di raccontarci la vostra buona pausa pranzo, non perdetevi la mostra “Pausa pranzo. Cibo, industria, lavoro nel ‘900”, visitabile su prenotazione contattando la Fondazione Dalmine all’indirizzo mail segreteria@fondazionedalmine.org
Credits immagine in evidenza: Photo Studio U.V.