Giornale del cibo

Viaggio gastronomico tra i migliori ristoranti di Milano

È forte il fermento gastronomico per l’unica città europea d’Italia, Milano. Un brio così continuamente rinnovato e propositivo è forse riscontrabile solo su Torino, ma che evidentemente non ha il medesimo bacino di utenza né la stessa internazionalità di spettatori ed onnivori. Milano è tanto propensa alla qualità quanto predisposta a sfamare chi vuol soltanto sfamarsi, però è chiaro che una capitale del genere deve pur accontentare più o meno tutti.

Tuttavia a differenza delle metropoli in cui la qualità media dei ristoranti subisce numerosi scompensi così che dal cielo è facile calarsi negli abissi, Milano è incline ad una proposta ristorativa cangiante, divertente, appagante, esauriente e volendo esclusiva. Il bello abita proprio nel poter stravolgere così facilmente la cena di inizio settimana con quella del week end (o del giorno successivo) in cui i propri danari acquistano maggior valore perché non mangi soltanto, puoi viaggiare e conoscere.
Come abbiamo già fatto per i ristoranti a Cagliari, vi suggeriremo dunque cinque indirizzi della metropoli milanese che dimostrano quanto appena scritto, in cui potrete trovare una qualità di menù alta e costante.

 

I Migliori Ristoranti di Milano: 5 tappe per un imperdibile viaggio enogastronomico

Pasta B

pasta B piatto

 

Noodles e ravioli fatti in casa.
 A disposizione la cucina singaporiana fusion a due passi dal Duomo. Molto informale la location, e spesso è quel che ci vuole, dislocata su due piani: l’ingresso presenta la cucina accanto alla quale è possibile mangiare respirando i (pro)fumi orientali, scendendo le scale si giunge nella sala più ampia dove verranno servite le specialità per cui si sceglie Pasta B, i ravioli, i noodles e le zuppe. I signori Han aprirono il Jing Hua Xiao Chi nel 1989 e dopo 25anni di esperienze ed enorme successo, la seconda generazione ha scelto Milano come unica (al momento) città europea dove proporre la proprie specialità.

Abilità in cucina e gusto nel piatto, a braccetto per squisiti ravioli al vapore Mushigyoza syorompo ripieni di brodo e carne di maiale, syumai con carne di maiale, gamberi, zenzero, pisselli e carote, o vegetariano ripieno di vermicelli di soia, cavolo cinese e funghi shiitake. E ancora i fratelli alla piastra Yakigyoza a base di carne di maiale, polpa di granchio, gamberi e cavolo cinese, farciti con carne di pollo e verdure o con carne di manzo, daicon (ravanello asiatico) e zenzero. Ma soprattutto concedetevi i noodles saltati o in brodo, con verdure, pollo o maiale. I migliori vengono preparati con bocconcini di pollo marinati in salsa teriyaky, serviti con scaglie di katsuobushi (pesce affumicato ed essiccato). Non manca la selezione di tè e di sake con cui pasteggiare e chiudere. Ah no, dimenticavo il tiramisu al tè matcha.

 

El Gaucho

Puf! Eccoci arrivati in Argentina. Chi conosce questo paese sa che non è affatto semplice riuscire a trovare in Italia una realtà che incarni la sua più vera alma. El Gaucho di Via Carlo D’Adda ce la fa, certamente non siamo a Cordoba assistendo alla preparazione di una asado, ma il buon Daniel Stremiz sa come lavorare. E sa bene che al principio conta la forma, che sia del suo staff affabile e cordiale o della piacevole sala che accoglie gli ospiti e trasmette tranquillità e calma. Non perdete tempo, se optate per El Gaucho è per mangiare tagli di carne argentina “come maestro asador comanda” e provare alcune delle tipicità locali.

Se non d’obbligo, consigliato è cominciare con le empanadas (fagottini di pasta ripieni) di manzo, verdure, pollo, jamon y queso (prosciutto e formaggio), mozzarella e pancetta: dopo aver assaggiato le empanadas di ogni angolo d’Argentina, e non solo, chi scrive ammette che sono ghiotte e gustose, molto vicine alle originali ma mangiarle in loco è un’altra storia. In ogni caso rimangono con ogni probabilità le migliori in circolazione. Costate, costine, costata con filetto, controfiletto, filetto, entrecote, sottopancia: carni di eccellenti Angus argentini di cui sporadicamente è anche possibile mangiare il diaframma, taglio fine e degno. L’asado, nonché la grigliata all’argentina, è un vero e proprio rito che sfamava e accomunava i gauchos delle pampas. Oggi rappresenta una delle più radicate espressioni della cultura argentina e dietro ogni asado c’è la conoscenza e l’esperienza del saggio asador che si occupa di ogni singolo aspetto, e anche El Gaucho ha il suo.

 

Al mercato

Due cuochi giovani e simpatici a cui piace cucinare. È scontato che ad un cuoco piaccia cucinare? Dovrebbe. Comunque a loro piace ed è chiaramente percepibile. Il sodalizio di Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni prende vita nel 2010 con la nascita del ristorante Al Mercato. Formazione geograficamente e concettualmente opposta: il primo orbita nei Paesi Baschi con Martin Berasategui, mentre il secondo si dedica alla vita dei ristoranti californiani di San Francisco sotto le influenze transalpine di Janine Falvo, Michael Tusk e Angelo Garro, assimilando così la Francia ma lavorando negli Stati Uniti.

Nel loro locale milanese giungono colmi di idee e forza, scelgono il contatto quasi diretto del cliente con la cucina e propongono piatti sperimentali e tradizionali con ciclopica attenzione ai sapori e alle materie prime lavorate. In sostanza c’è da divertirsi e da provare. Dedizione per piatti centrati soprattutto sulla carne (tagli per due), dall’oca, lavanda, brunoise di tuberi, salsa ai frutti rossi, all’animella di vitello, verdure baby, salsa Bernese, dal controfiletto di Sergio Motta, salsa di pomodori verdi, patate rosse, alla coscia di agnello, tzaziki, lattuga baby al timo, fino ad uno goduriosissimo rognone, salsa olandese alla senape, cipolline borretane e scalogni.


Ancora le “piccole porzioni” da provare tra cui galantina, frattaglie, foie gras, carpaccio di tonno e primo su tutti un maestoso piccione dal  petto scottato, coscia ripiena di tartufo, porcini, finferli, trombette della morte, cardoncelli, jus (salsa di origine francese) corposa ed incisiva. Valore aggiunto di Al Mercato non è cenare tra la dozzina di coperti a disposizione e neanche la buona scelta dalla carta dei vini, ad ornare ci pensa la coppia di sala,
Ida Calandro con gentilezza e garbo e il sommelier Giacomo Gironi, uno spasso d’uomo a cui non dare troppa confidenza.

Spice Bistrot&Bar

 

L’importanza del viaggio e della contaminazione che ne deriva con tutti i suoi poteri. La mia idea alla base delle origini è che siamo stati creati per scorgere il mondo, tutto. E se a trentacinque anni ne hai già calpestato una bella fetta, hai qualcosa da dare agli altri. Misha Sukyas dà con la cucina, una collezione di esperienze e cammini intorno alla Terra. Milanese di origini armene, la sua pelle tatuata pare quella di un ex galeotto e racconta di una vita folta e sazia ma mai abbastanza: comincia giovanissimo nel ristorante di famiglia a Cabo San Lucas, a diciottoanni è a Londra dove comincia a mantenersi lavorando come “cuoco saltuario” prima di incontrare Antonello Tagliabue, chef del ristorante Bice, grazie al quale l’approccio alla cucina cambia e si fa più virtuoso. Esperienze lavorative importanti anche in Olanda, Sidney, e ancora Indonesia, Cina ed India dove viaggia con se stesso per circa un anno.

Da ottobre 2015 Misha imbocca uno nuovo tragitto che lo vede al comando dello Spice Bistro&Bar, un progetto dinamico e innovativo che sembra aver saltato il periodo di rodaggio entusiasmando subito Milano. Coadiuvato dal sous chef Matteo Simonato, propone un menù divertente, trasversale, privo di regole, categorie e portate come antipasto, primo e secondo, che varia quotidianamente e ritrae la qualità della selezione dei prodotti e dei produttori.

Esempio ne è il merluzzo cotto in un fornelletto composto da cenere di eucalipto, sale vulcanico, farina di manitoba e coriandolo, il risotto e n’duja con latte di bufala, la bistecca di totano gigante, spuma di bieta e guancetta, il guancino di porco bollito e salsa verde tropicale o il surf&turf nonché spuma di bisque di astice e polpette di salsiccia. Un approccio alla buona cucina, alla sua scoperta come valore fondamentale, alla portata di molti. Pranzo e cena ma anche sede di buone bevute.

 

Tokuyoshi

 

Finalmente varchiamo la soglia di quella che è per molti, e per il sottoscritto, la più piacevole novità milanese: il ristorante Tokuyoshi. “Il gesto è giapponese ma non la cucina, creo i sapori che offro e voglio abbinare la parte liquida a quella solida, non richiamando gusti o tecniche giapponesi ma omaggiandone i gesti e le tradizioni”, precisa lo chef Yoji Tokuyoshi. E pensare che stavamo per perderlo perché non riuscendo a trovare un impiego soddisfacente nei ristoranti italiani, aveva deciso di tornarsene a casa. Il biglietto di ritorno per il Giappone era stato già acquistato quando il suo ultimo tentativo, provato giorni addietro con l’invio del proprio cv, ha segnato vittoria: ha ricevuto una chiamata da Massimo Bottura proprio il giorno in cui sarebbe dovuto partire per casa. Il giorno della sconfitta diventò il giorno della vittoria, e da lì per nove anni lavorò al fianco di chef Bottura diventando il sous chef di brigata.

 

Il 2014 segna la svolta, Yoji lascia l’Osteria Francescana e sceglie Milano per il suo ristorante: i battenti aprono con l’inizio del 2015 al termine del quale la Guida Michelin presenta l’edizione 2016 e gli assegna la prima stella, tutta sua. Un ambiente dal grande bancone immaginato come il centro ed il cuore del nuovo ristorante che seppur Italiano vuole il diretto contatto con lo chef, proprio come avviene nei grandi ristoranti del Giappone. Parola d’ordine è “Cucina Italiana Contaminata” edificata sulle migliori ricette, tradizioni, ingredienti italiani ma frutto delle antiche tecniche di preparazione giapponesi personalissime della cultura dello chef, capaci di trasmettere esperienze, ricordi ed emozioni.

Cuore giapponese, amore italiano, cucina di Yoji Tokuyoshi. Un’esperienza enogastronomica notevole rivelata da alcuni piatti come il risotto Furikake abbinato al latte di Pinoli: riso giapponese di Niigata mantecato all’extravergine di Noto, guarnito con furikake di faraona arrosto, patate rosmarino aglio.

Lo sgombro Gyotaku (la cui presentazione è un omaggio al Giappone) ripieno con mousse di Capasanta, limone e erba, cotto in padella con olio e carbone vegetale, accompagnato dal brodo di faraona. Il Cacciatore e Pescatore “Il Faló nel Bosco“ con estratto di frutti di bosco come  parte liquida: carpacci crudo di ricciola e cervo con fave sbriciolate di cacao Claudio Corallo e radici di porro bruciate. Forse occorre dedicare tempo e attenzione alla prima volta in cui si incontra la sua cucina ma l’esito sarà ammaliante. I piatti sono disegnati da Yoji Tokuyoshi, la sua umiltà be quella ce l’ha innata.

E per voi quali sono i migliori ristoranti di Milano?

 

Crediti foto:
Aromi Creativi
Chefs4Passion
Davide Bernardi

 

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