Ogni giorno, su scala globale, si consuma il doppio dell’apporto quotidiano di sale consigliato per evitare di correre rischi. Infatti, sebbene molto spesso si senta dire che il sale fa male, si tratta di una questione più spinosa: questo minerale di per sé, infatti, non crea problemi, purché se ne consumi la corretta quantità che si assesta, secondo quanto rilevato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, attorno ai 5 grammi al giorno. Il problema è, per l’appunto, l’eccesso, ragion per cui l’OMS ha posto l’obiettivo di ridurre del 30% il consumo globale di sale entro il 2050.
Un obiettivo realistico? Non mancano le istituzioni e le realtà che hanno risposto all’accorato appello sia prendendo parte alla “Salt Awareness Week”, promossa in Italia dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), sia promuovendo un consumo consapevole di sale nella ristorazione. È il caso anche di CIR food, azienda italiana che opera nel settore della ristorazione collettiva che ha scelto di mettere in atto delle azioni specifiche in particolare proponendo un menù a basso contenuto di sale nell’ospedale Maggiore di Bologna.
Per un consumo consapevole di sale in ospedale
Abbiamo intervistato, dunque, la dietista Gloria Guerra, che opera proprio all’ospedale Maggiore di Bologna, e la dottoressa Irene Marangoni, responsabile Ufficio Qualità Prodotto e Sicurezza Area Emilia Est di CIR food che spiegano come, nella cucina centralizzata che serve non soltanto il nosocomio ma anche l’hub di Bologna, vi sia un’attenzione peculiare a questa tematica, attraverso la promozione di un menù a basso contenuto di sale.
“Ogni giorno vengono preparati e serviti più di 5.000 pasti, metà dei quali destinati ai dipendenti e agli operatori dell’ASL, e metà ai degenti – spiegano le intervistate – trovare una soluzione per ridurre l’apporto di sale nella dieta è, dunque, fondamentale sia perché il vassoio del paziente possa contribuire alla terapia a cui è sottoposto, sia, come nel caso dei dipendenti, perché possa diventare un fattore di promozione di corrette abitudini alimentari in un’ottica di prevenzione rispetto alle patologie connesse ad un consumo eccessivo di questa sostanza.” Infatti, mangiare troppo salato può condurre all’aumento della pressione arteriosa, ed esporre al rischio di ictus, infarto e al peggioramento delle patologie renali.
Menù a basso contenuto di sale: come nasce
Il progetto del menù a ridotto contenuto di sale nasce da CIR food in collaborazione con l’U.O.C Dietologia e Nutrizione Clinica dell’AUSL di Bologna e U.O.C.Igiene Alimenti e Nutrizione – Dipartimento di Sanità Pubblica dell’AUSL di Bologna: insieme si è scelto di investire in questo senso per promuovere la prevenzione e l’acquisizione di corretti stili alimentari e di vita di vita e alimentazione. “Sappiamo che introdurre costantemente cibi con elevato tenore di sale abitua il gusto, e di fatto ci si abitua induce assuefazione a questo tipo di sapore. Se non invertiamo la rotta si innesca un circolo vizioso per cui cerchiamo sempre cibi salati, mettendo a rischio la salute.”
Un processo che, dunque, va interrotto anche a costo di far storcere qualche naso. “Iniziare a ridurre il sale può educare al gusto e abituare l’utente a non ricercare più quei sapori ad elevata concentrazione di sale, riscoprendo il sapore naturale dell’alimento.”
In pratica, questo obiettivo si concretizza in un’attenzione peculiare alla quantità di sale che viene aggiunta nelle preparazioni proposte in ospedale: “per ogni ricetta – spiegano le intervistate – siamo andati a definire una quantità precisa da utilizzare, in maniera tale da evitare la discrezionalità soggettiva del quanto basta.”
Inoltre, vengono proposti contorni cotti al vapore o verdure fresche senza aggiunta di sale, durante la preparazione, lasciando poi alla discrezionalità dell’utente l’eventuale aggiunta di tale condimento. “Non viene integrato nelle gratinature del pesce, per esempio, inoltre, viene servito pane che ha un quantitativo di sale ridotto all’1,5%. Scegliamo, infatti, di rifornirci dai fornai panifici che aderiscono al programma “Pane Meno Sale” della Regione Emilia Romagna in cui viene promosso l’utilizzo nella ricetta di un contenuto massimo di sale del 1,7% rispetto al peso di farina.”
L’esperimento del menù per la settimana SINU e alcune alternative
Le erbe aromatiche, come salvia, rosmarino o basilico, sono i principali ingredienti che vengono impiegati per sostituire il sale, utilizzato comunque sempre iodato, come indicato sempre dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
“Durante la settimana mondiale di sensibilizzazione, inoltre, aderiamo proponendo un menù a ridottissimo apporto di sale: tutti i primi piatti quali zuppe, minestroni, passati di legumi e/o ortaggi vengono infatti predisposti omettendo completamente l’aggiunta di questo insaporitore e, due volte alla settimana, facciamo viene proposto un sugo di pomodoro rigorosamente salt-free.” Alle proposte gastronomiche vengono poi abbinate iniziative di sensibilizzazione e l’apposizione, nelle mense, di materiali informativi divulgati dal SINU che forniscono suggerimenti concreti per contenere il consumo di sale anche in ambito domestico: si tratta di “cartoline e poster che naturalmente vengono lasciati alle pareti tutto l’anno affinché siano un richiamo costante.”
Quali sfide per il futuro?
Per raggiungere l’ambizioso obiettivo posto dall’OMS è, dunque, necessaria un’azione capillare e diffusa, tenendo in considerazione alcune criticità: “se il menù a ridotto utilizzo di sale che proponiamo tutto l’anno è ormai accolto e assodato – spiegano da CIR food – la proposta della settimana SINU raccoglie qualche lamentela” che viene vista, però, come naturale proprio perché il gusto è abituato a sapori ben salati.
“La soluzione arriva sperimentando e compensando, laddove è possibile impiegare spezie, erbe aromatiche e alternative sane e naturali.” È necessario che questa visione sia condivisa: questo progetto parte proprio da Bologna perché qui c’è una convergenza di intenti e di sensibilità tra CIR Food e l’AUSL stessa .” È più che importante che si condivida la visione tra tutte le realtà coinvolte, perché l’abitudine e la percezione del sale è anche molto soggettiva, si entra in un ambito che potrebbe scontentare alcuni utenti per cui questi progetti sono esportabili laddove c’è una certa compliance perché sappiamo che in alcuni casi possono apparire impopolari.”
L’auspicio futuro è che questo progetto possa estendersi, crescere ed incontrare sempre maggior successo. Per farlo – immaginano le intervistate – potrebbe essere utile partire da una indagine, con successiva valutazione approfondita, dell’effettiva risposta degli utenti all’iniziativa.
“Ad oggi il progetto sul Maggiore – commentano a conclusione dell’intervista – rappresenta un tentativo virtuoso e concreto per sensibilizzare su questa tematica e approntare piccole ma reali azioni di cambiamento delle abitudini alimentari. L’intento è quello di non sottostimare gli effetti dell’aggiunta di sale e agire sul contributo che, in qualità di azienda di ristorazione possiamo fornire in fase di preparazione. Garantire uno standard che coniughi appetibilità e salute è un obiettivo alla portata. La sfida di questo progetto è, dunque, non sottovalutare il sale, non ritenerlo innocuo, e non pensare che sia solo il sale a rendere gradevole un alimento che di per sé può avere una sua gradevolezza organolettica che prescinde dall’aggiunta di questo ingrediente: occorre quindi ricercare il giusto equilibrio tra salute e sapore.”
Per approfondire l’argomento, consigliamo la lettura di questo articolo a proposito di come vengono realizzati i menù negli ospedali. Sapevate come funzionano?