di Andrea Lupo
Attenti al sale! Gli italiani consumano troppo sale, circa il doppio delle dosi giornaliere consigliate, con effetti preoccupanti sulla salute: ipertensione e malattie cardio-vascolari in primis. Lo confermano i primi risultati pubblicati dal progetto Minisal-Gircsi (Gruppo di lavoro Intersocietario per la Riduzione del Consumo di Sale in Italia) e raccolti in 9 Regioni italiane.
I dati mostrano un consumo medio giornaliero di sale maggiore tra gli uomini (11 grammi) che tra le donne (8 grammi), valori entrambi superiori ai livelli raccomandati di 5 grammi al giorno, con un consumo medio maggiore nelle regioni del Sud. E questa rilevazione riflette perfettamente i dati disponibili, suddivisi per macroaree, sulla frequenza dell’ipertensione nella popolazione generale e sulla distribuzione dell’obesità.
Il rapporto degli italiani con il sale è molto stretto, e risale all’antichità: le prime popolazioni del Salento (giustappunto) erano famose per il florido commercio del sale raccolto dalle conche delle scogliere. Importantissimo per la conservazione dei cibi, oltre che come esaltatore di sapori, per la sua relativa scarsità, il sale era anche moneta di scambio. Non è un caso che la parola “salario” abbia origine dall’abitudine romana di pagare i soldati con una certa quantità di sale.
Il problema non è solo italiano naturalmente, ma globale. In tutto il mondo il cambiamento delle abitudini alimentari e del gusto si riflette in un aumento dell’uso del sale, tanto che nel 2005 è stata istituita la World Action On Salt and Health (WASH) un’organizzazione attiva in 81 Paesi, che ha proprio l’obiettivo di migliorare la salute attraverso l’educazione ad un minor consumo di sale.
E anche governi e amministrazioni pubbliche corrono ai ripari. Lo scorso anno, a New York, ha fatto scalpore la terza crociata contro il sale del Sindaco Bloomberg, dopo quelle contro fumo e grassi, che prevedeva tra l’altro la riduzione in 5 anni del 25% del sale nei cibi confezionati e nei ristoranti, considerati responsabili di quasi l’80% delle dosi assunte giornalmente.
Anche lo studio Minisal-Gircsi mette in guardia sul consumo non discrezionale del sale. Solo poco più di un terzo dei consumi giornalieri di sale, infatti, sono sotto controllo diretto dei consumatori, mentre più del 50% deriva da prodotti trasformati e da cibi consumati fuori casa, cui va aggiunto un ulteriore 10% contenuto naturalmente negli alimenti.
Ma anche la ristorazione collettiva può fare la sua parte. E tutte le principali società italiane hanno collaborato con entusiasmo alla campagna di sensibilizzazione sul consumo di sale promossa dal progetto Minisal-Gircsi in coordinamento con la SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana), tra queste anche CIR food, editrice non a caso del Giornale del Cibo.
“CIR food è molto attenta all’utilizzo del sale nelle proprie cucine” spiega Maria Elena Manzini, Comunicazione & Marketing CIR food. “Alle strutture che gestiamo, ed in particolare alla scuole, diamo sempre indicazione di utilizzare il sale con moderazione, o di non utilizzarlo proprio per i bambini con meno di 12 mesi, anche in assenza di disposizioni particolari da parte delle AUSL o nei capitolati d’appalto”.
Scegliere di consumare meno sale e comunque preferire il sale iodato è anche il consiglio degli esperti della SINU. Usare meno sale, dicono, non è questione di gusti ma solo di abitudine.
Più che un consiglio, forse un invito, a sedersi a tavola, con più sale in zucca…e meno nei piatti.
Per sapere dell’impegno di CIR sull’assunzione controllata di sale leggi qui.