Il meat sounding è un tema che divide sia gli addetti ai lavori sia i consumatori. Se per questi ultimi utilizzare termini tradizionalmente associati alla carne per indicare alimenti vegetariani o vegani (per esempio, i burger o le polpette di soia) può apparire sbagliato e fuorviante – e un ragionamento analogo potrebbe valere per i vini dealcolati – per alcuni operatori del settore costituirebbe una concorrenza sleale e un danno economico. Recentemente, però, la Corte Ue ha ammesso a queste denominazioni, riaccendendo il dibattito. Ma gli italiani sono davvero contrari all’idea di usare nomi tipicamente legati alla carne anche per cibi a base vegetale? Approfondiamo le ultime notizie e i casi che hanno fatto giurisprudenza su questa vicenda a oggi irrisolta.
La Corte di Giustizia europea dice sì al meat sounding

Secondo la Corte di Giustizia europea, per i prodotti alimentari a base vegetale non si può vietare l’uso di termini tipicamente associati ai cibi di origine animale. E quindi via libera ad hamburger, bistecche e salsicce vegan, definizioni che a molti, produttori e consumatori, creano più di un fastidio. Nel merito, la Corte nel 2024 si è espressa sull’etichettatura degli alimenti, spiegando che: “L’armonizzazione espressa prevista dal diritto dell’Unione osta a che uno Stato membro emani un provvedimento nazionale che stabilisca tenori di proteine vegetali al di sotto dei quali resterebbe autorizzato l’utilizzo di denominazioni, diverse dalle denominazioni legali, costituite da termini provenienti dai settori della macelleria e della salumeria per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali”.
La sentenza Ue si deve a un caso che in Francia ha fatto discutere, quando alcune associazioni e aziende che producono e commercializzano cibi a base vegetale (Association Protéines France, Union végétarienne européenne (EVU), Association végétarienne de France (AVF), Beyond Meat Inc.) hanno contestano un decreto del governo francese, varato con l’obiettivo di tutelare la trasparenza delle informazioni sugli alimenti.
Il provvedimento, infatti, vietava tout court l’uso di denominazioni come “salsiccia” o “bistecca” per i prodotti trasformati contenenti proteine vegetali, con o senza l’aggiunta di precisazioni complementari quali “vegetale” o “di soia”. Secondo le aziende, però, questa norma violava il regolamento (UE) n. 1169/2011. Il caso è arrivato prima al Consiglio di Stato francese, con la richiesta di annullamento del decreto, e poi alla Corte di Giustizia europea, dove il giudice ha sottoposto varie questioni pregiudiziali sull’interpretazione del regolamento.
Meat sounding: la sentenza sull’etichettatura degli alimenti

Accettando le obiezioni dei ricorrenti, la sentenza della Corte ha stabilito che “Il diritto dell’Unione istituisce una presunzione relativa in forza della quale le informazioni fornite secondo le modalità prescritte dal regolamento n. 1169/2011 tutelano sufficientemente i consumatori, anche in caso di sostituzione totale del solo componente o ingrediente che questi ultimi possono attendersi di trovare in un alimento designato con una denominazione usuale o con una denominazione descrittiva contenente determinati termini”.
Si precisa, tuttavia, che uno Stato membro può adottare una denominazione legale, che consiste nell’associare un’espressione specifica a un determinato prodotto alimentare. Se, invece, una denominazione legale nazionale non è stata adottata, “Uno Stato membro non può impedire, mediante un divieto generale e astratto, ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere, mediante l’utilizzo di denominazioni usuali o di denominazioni descrittive, l’obbligo di indicare la denominazione di tali alimenti”.
In altre parole, per fissare un legame inequivocabile tra i prodotti a base di carne e l’utilizzo di specifiche parole (es. bistecca), uno Stato deve introdurre una denominazione legale. In caso contrario, non si potrà vietare di presentare in etichetta un alimento come “bistecca vegetale”.
In conclusione, la pronuncia comunitaria non risolve la controversia nazionale: spetta ai giudici dei singoli Stati dirimere la causa, in conformità con la decisione della Corte. Di conseguenza, il divieto italiano di meat sounding, introdotto nel 2023 con la legge che blocca la produzione e la commercializzazione nazionale della carne coltivata – e che vietava l’uso di “denominazioni (…) usuali e descrittive, riferite alla carne” – risulterebbe contrario al diritto europeo.
Meat sounding per la carne vegetale: 7 italiani su 10 sono d’accordo

Spesso la risonanza mediatica di un fatto non corrisponde al reale sentire dell’opinione pubblica, e il tema di meat sounding potrebbe essere un esempio di questa situazione. Un sondaggio pubblicato nel 2024, realizzato da YouGov e commissionato dal Good Food Institute Europe (GFI Europe), proverebbe che la maggioranza dei consumatori italiani considera appropriati termini come “bistecca, “hamburger” e “latte” per i prodotti a base vegetale. Nella rilevazione, il 69% degli intervistati ritiene queste denominazioni adeguate, mentre il 68% è convinto che le aziende possano usarli liberamente. Il 21%, invece, è favorevole a un divieto di utilizzo di tali termini, in quanto potrebbero confondere i consumatori. Il sondaggio, quindi, dimostrerebbe che il divieto di meat sounding non rappresenta una reale tutela, ma può a sua volta creare confusione e danneggiare la commercializzazione dei prodotti plant-based. La sospensione del Consiglio di Stato francese sopra citata, infatti, ha riconosciuto l’ostilità di tale misura per le aziende nazionali che producono e commercializzano cibi vegetali.
Un danno anche per le imprese italiane delle alternative vegetali alla carne?
Seguendo le valutazioni emerse in Francia, anche le aziende italiane del settore plant-based potrebbero denunciare un danno, per un mercato in crescita e che supera i 600 milioni di euro, come sottolinea Good Food Institute. Le imprese coinvolte al momento non sanno se e come dovranno modificare le proprie denominazioni, e questo ricade a cascata sulle strategie di promozione. Peraltro, secondo una ricerca del progetto UE Smart Protein, in Europa i consumatori italiani sarebbero tra i più aperti agli alimenti a base di proteine vegetali.
Coldiretti equipara la carne coltivata ai farmaci: la risposta della comunità scientifica

A rinfocolare la polemica, lo scorso 15 marzo 2025, ha contribuito una manifestazione organizzata da Coldiretti a Parma, davanti alla sede dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), per chiedere di regolamentare la carne coltivata alla stregua dei farmaci. In questa occasione, l’associazione di categoria ha invocato più scienza libera e indipendente sostenendo la necessità di studi clinici e preclinici per la carne coltivata, come avviene appunto per i farmaci. In questo senso, la richiesta fa seguito a un Tavolo tecnico interministeriale dei Ministeri di Salute e Agricoltura, che aveva proposto un percorso analogo, pur senza precisare rispetto a metodi adottati, argomentazioni e ricerche a sostegno di tale iniziativa. A stretto giro, ha fatto seguito una dichiarazione firmata da 16 ricercatori ed esperti italiani, che ritiene la richiesta di Coldiretti un tentativo preoccupante di delegittimare il lavoro della comunità scientifica indipendente e il quadro normativo europeo sui nuovi alimenti, tra i più rigorosi al mondo. I firmatari hanno affermato che il diritto UE, allo stato attuale, non presenta criticità e che la richiesta di studi clinici e preclinici non ha basi scientifiche: farmaci e alimenti seguono processi di approvazione distinti, poiché rispondono a esigenze diverse. La regolamentazione alimentare, evidenziano i ricercatori, segue peraltro un iter più rigido: se un farmaco può essere autorizzato anche in presenza di effetti collaterali noti, EFSA può approvare un alimento solo in assenza di rischi per la salute.
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