La sicurezza alimentare globale è strettamente legata alla capacità delle colture di base, come il grano, il riso e l’orzo, di resistere alle nuove e continue pressioni dovute ai cambiamenti climatici. Trovare soluzioni concrete a queste problematiche è oggi una priorità assoluta, e per farlo forse dovremmo guardare un po’ di più indietro, al nostro passato. Certo, la tecnologia è un alleato prezioso per rispondere a queste esigenze, come nel caso dell’agricoltura di precisione o del vertical farming. Ma un recente studio internazionale pubblicato dall’Institute of Economic Botany del New York Botanical Garden ha indagato i potenziali benefici del maslin, un’antichissima tecnica agricola portata avanti da migliaia di anni da piccoli agricoltori in alcune aree dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa. In cosa consiste? Nella semina di miscele differenti di cereali nello stesso appezzamento di terra.
Questa diversificazione, secondo i ricercatori, permetterebbe di aumentare la resilienza dei cereali e, quindi, contrastare la perdita agricola causata dai cambiamenti climatici. Ma capiamo meglio di cosa si tratta e cos’è emerso dallo studio.
Maslin: da dove arriva questa antica pratica di “policoltura”
Prima di concentrarci sullo studio, facciamo un passo indietro. O meglio, qualche passo indietro, perché dobbiamo tornare addirittura a circa 3mila anni fa. Pensate che la più antica prova archeologica di maslin include un mix di due tipologie di farro differenti risalente all’età del bronzo, sebbene ci siano anche prove limitate di una miscela ancora più antica risalenti al neolitico.
Il maslin consiste nel seminare una miscela di cereali – come segale, orzo, riso, miglio, avena e molteplici specie di grano – che vengono raccolti insieme e utilizzati per produrre farine multicereali. Storicamente, questa pratica è stata portata avanti in un’ampia area geografica che abbraccia l’Eurasia e l’Africa settentrionale e, successivamente, il Nord America, coinvolgendo ben 27 Paesi. Col tempo poi è stata via via abbandonata, ma ancora oggi alcune zone – come Eritrea, India, Georgia, Grecia ed Etiopia – continuano a praticarla.
Ad esempio, in Georgia sono documentate oltre dodici distinte semine di maslin che coinvolgono varie combinazioni di orzo, segale e nove specie di grano, mentre in India sono documentate miscele che coinvolgono riso, miglio e una varietà di altri piccoli cereali, includendo fino a quattro specie in una singola miscela.
[elementor-template id='142071']Lo studio dell’Institute of Economic Botany del New York Botanical Garden
Quando parliamo di sicurezza alimentare, parliamo anche della capacità delle colture di tollerare nuove pressioni abiotiche e biotiche. Abbiamo già visto, parlando della necessità di riscoprire colture antiche più resistenti, come la pratica monocolturale abbia reso le piante più vulnerabili ad attacchi di parassiti, alle malattie e agli effetti della crisi climatica in corso. Oltre a questo, gli autori dello studio pubblicato su Agronomy for sustainable development suggeriscono che il maslin possa essere una soluzione e hanno riportato due casi studio condotti in Etiopia.
Il primo è stato condotto a North Gonder. Intervistando diverse famiglie di agricoltori in 28 villaggi differenti del distretto di Debark hanno scoperto che molti di loro citavano – nell’elenco delle specie coltivate e delle varietà seminate nei loro campi – la “duragna”, che alcuni descrivevano come simile al frumento (sende), altri simile all’orzo (gebs), ma distinta da entrambi. Dopo diverse interviste, un agricoltore ha spiegato che la duragna è una miscela di grano e orzo – comprendente fino a tre varietà di grano e quattro varietà di orzo differenti – che vengono piantati, raccolti e utilizzati insieme, ed è quindi considerata una coltura distinta.
Il secondo studio è stato condotto nel distretto di Enderta nel Tigray meridionale: i maslin, localmente chiamati hanfetz, comportano varie combinazioni di farro, grano duro, fino a due varietà di grano tenero e fino a due varietà di orzo, nonché altre policolture. Gli agricoltori hanno espresso una preferenza per le miscele con maturazione sincrona e hanno segnalato una serie di benefici e vantaggi rispetto alle monocolture:
- rese più elevate dei raccolti;
- il grano impedisce l’allettamento dell’orzo, che consiste nel ripiegamento fino a terra delle piante erbacee, per l’azione del vento o della pioggia;
- la competizione tra le piante di grano e orzo si traduce in singole piante più forti;
- l’orzo, invece, riduce la fuliggine del grano, un’infezione fungina pericolosa;
- i prodotti alimentari realizzati con queste farine, secondo gli agricoltori, sarebbero qualitativamente migliori.
I vantaggi del maslin
Secondo le sperimentazioni effettuate dagli studiosi, i vantaggi del maslin sarebbero dunque notevoli in termini di produttività, controllo dei parassiti, servizi ecosistemici, efficienza nell’uso delle risorse e altre caratteristiche che possono essere importanti per l’adattamento ai cambiamenti climatici. In primis, i raccolti avrebbero una resa maggiore: in una prova sul campo con hanfetz (frumento e orzo) eritreo, i maslin hanno superato rispettivamente del 20% e dell’11% il frumento e l’orzo coltivati singolarmente. Uno studio separato di 3 anni sugli hanfetz eritrei ha rilevato che, in media, l’area coltivata in monocoltura dovrebbe aumentare del 50% per produrre la stessa resa delle miscele.
Ma non solo. Con il maslin si ottiene una resa sì maggiore ma anche più stabile, in grado quindi di fornire rendimenti costanti in diverse condizioni ambientali. A questo si aggiunge una maggiore resistenza a parassiti, infezioni ed erbe infestanti e, soprattutto, a fenomeni climatici estremi come la siccità, evento che colpisce aree geografiche sempre più vaste.
Queste miscele di cereali sembrano quindi possedere un potenziale davvero interessante per una varietà di caratteristiche – rispetto alle monocolture – che possono essere vantaggiose nell’adattare i sistemi di coltivazione ai cambiamenti climatici. Questi risultati suggeriscono quindi che l’introduzione in nuove aree di maslin giustifichi ulteriori sperimentazioni su più larga scala, sia da parte dei piccoli proprietari che di quelli industriali, specialmente nelle aree con condizioni di crescita marginali.
Insomma, come evidenziato anche dai ricercatori a conclusione dello studio, ci sono ancora alcuni aspetti da indagare riguardo questa pratica, che tuttavia potrebbe davvero costituire un’importante strategia di intensificazione agroecologica e di adattamento climatico in diverse parti del mondo. Perché l’obiettivo, lo ricordiamo, è procedere spediti verso un’agricoltura che sia più sostenibile e che garantisca la sicurezza alimentare mondiale.
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