“Il cibo è al tempo stesso il rapporto più intimo e pubblico che abbiamo col mondo”. A dirlo è Nicola Perullo, filosofo, professore ordinario di Estetica all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare di una delle esperienze più interessanti che i bambini e le bambine di tre centri estivi di Reggio Emilia hanno sperimentato durante la “Settimana del Cibo”.
L’iniziativa – svoltasi nell’ambito dell’innovativo progetto Nutriamo la scuola promosso da CIRFOOD, Officina Educativa, servizio del Comune di Reggio Emilia, e Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – ha cercato di immaginare la “nuova scuola” del prossimo futuro e di sperimentare nuovi metodi didattici. Tra questi, ad esempio, le “mappe del cibo” presenti sul tappeto esperienziale METROQUADRO, per indagare il food da tanti e diversi punti di vista e metterlo al centro di alcune riflessioni.
Di questo e delle possibili sinestesie che il cibo può instaurare con i bambini abbiamo parlato con il Prof. Perullo.
Mappe concettuali del cibo: cosa sono e come funzionano?
Durante la “Settimana del Cibo” le bambine e i bambini della città emiliana hanno avuto modo di sperimentare strategie alternative di apprendimento. Cuore dei laboratori è stato proprio METROQUADRO, un tappeto esperienziale progettato dall’architetto Francesco Bombardi, insieme a Officine Educative – servizi educativi territoriali e diritto allo studio del Comune di Reggio Emilia – per far svolgere ai bambini delle attività ludico-educative, garantendo il distanziamento fisico. Durante le attività, quindi, i partecipanti hanno avuto modo di osservare attivamente la natura circostante, riscoprendola e riscoprendo anche inediti rapporti con il cibo, partendo dagli stimoli presenti sul tappeto. Tra questi, le mappe concettuali del cibo, basate sulle mappe del gusto e dell’olfatto ideate dal Prof. Perullo per il CIRFOOD DISTRICT, e per l’occasione riadattate e semplificate per i bambini della scuola Primaria.
Ma come sono strutturate le mappe realizzare dal Prof. Perullo? “Attorno ai due concetti di gusto e olfatto si creano una serie di cluster che vanno per gruppi e argomenti. Ad esempio, al centro della mappa troviamo il gusto, poi ci sono diverse aree che vanno dalla storia alla psicologia, dall’antropologia al marketing, all’economia, alla dietetica, che a loro volta si specificano in altri sottosettori” spiega l’intervistato. Come una sorta di grappolo, in cui da un nucleo centrale si ramificano una serie potenzialmente infinita di collegamenti, che vengono evidenziati graficamente. “L’idea è quella di far vedere che, quando si parla di gusto e olfatto, in realtà si sta parlando di un mondo che si apre ad aspetti che non si limitano al mettere un alimento in bocca o all’annusarlo”.
Pensate alle preferenze alimentari, che, come spiega Perullo, sono condizionate da una molteplicità di fattori tra loro diversi, ma strettamente connessi. “Tra questi, alcuni sono legati alla comunità intesa come società, e anche alla micro-comunità, quindi l’ambito famigliare; altri, ad esempio, al periodo storico in cui uno cresce, e infine ci sono fattori biologici e genetici. Le mappe, quindi, in modo sintetico e visuale, possono strutturare una serie di ragionamenti innovativi”, collegando dimensioni apparentemente lontane tra loro.
Mettere al centro i sensi: il rapporto tra cibo, multisensorialità e sinestesie
Giocando con le mappe concettuali del cibo e sperimentando questi collegamenti inaspettati, i bambini e le bambine che hanno partecipato all’iniziativa si sono così avvicinati alla complessità che ruota attorno al rapporto tra cibo e sensi. A questo proposito, è importante distinguere tra multisensorialità e sinestesia. La prima, precisa Perullo, consiste nell’importante scoperta che “tutti i sensi sono interconnessi. Anche il gusto non è un senso isolato; è collegato all’olfatto, al tatto, anche a ciò che vediamo (da qui il detto ‘si mangia anche con gli occhi’) e in parte anche all’udito”. Mentre si mangia, quindi, tutti i sensi sono sempre attivi. “L’esempio più famoso è quello delle patatine fritte in busta: il grosso della soddisfazione gustativa è data dal cosiddetto crunchy, e cioè dalla croccantezza. Se si elimina questa immagine uditiva, non si avverte nemmeno più il gusto”. Secondo l’intervistato, attraverso questi giochi è possibile far comprendere anche ai più piccoli che l’atto del mangiare va al di là di ciò che ci si aspetta, perché richiede la partecipazione di tutti i nostri sensi, non solo del gusto.
La sinestesia, invece, è quel processo che fa sì che, mentre si gusta un cibo o se ne avverte l’odore, ci venga in mente un colore, un suono, o un’immagine. “In altre parole, la sinestesia è la capacità di collegare un senso a un altro”, spiega Perullo. Secondo diversi studi, ne esistono di varie tipologie, non tutte presenti contemporaneamente nello stesso soggetto. Per Perullo, tuttavia, con i bambini “si può provare a sviluppare un percorso di educazione creativa che li porti a fare questo tipo di associazioni, cercando quindi di indurre loro un collegamento tra il cibo – inteso come gusto e olfatto – con altri sensi”. Oppure, si potrebbe lavorare anche nella direzione opposta, “non portandoli a fare questo tipo di associazioni, ma osservando semplicemente le loro reazioni, ad esempio attraverso i disegni. Vedere cosa disegnano i bambini quando mangiano un particolare cibo, osservando se ci sono delle linee o dei colori comuni tra questo tipo di segni”.
Essere consapevoli del cibo che si mangia per comprendere se stessi e il mondo
Di fronte a questa complessità, quindi, si comprende bene come il tema food assuma un significato ancora più importante, in quanto, secondo Perullo, è la relazione più intima e pubblica che si ha con il mondo. “Più intima perché il cibo è, in senso proprio, un pezzo di mondo solido e materiale (esterno) che portiamo dentro il nostro corpo. Per questo il rapporto che si ha col cibo è così personale. Ma contemporaneamente è anche uno degli aspetti più pubblici, perché è legato a tantissimi fattori esterni a noi, che riguardano, ad esempio, la produzione, l’economia, la pubblicità, l’educazione, e quindi quanto effettivamente ci viene anche imposto da altri. Il cibo è, quindi, qualcosa che scegliamo fino a un certo punto: siamo schiavi di cose che pensiamo di scegliere e che in realtà vengono scelte per noi”.
Tutti questi aspetti saranno ripresi nel CIRFOOD DISTRICT, il centro di innovazione dedicato ai temi della nutrizione e del futuro del cibo, che sorgerà presso la sede di CIRFOOD a Reggio Emilia. Secondo Perullo, per il futuro è importante insistere proprio su questa duplicità tra l’aspetto personale e pubblico (più che su quello meramente sensoriale), e “imparare a conoscere meglio il cibo per controllarlo meglio e per essere più protagonisti rispetto alle scelte di ciò che mangiamo. Più noi siamo consapevoli, più questa intimità diventa qualcosa non di subito passivamente, ma di vissuto attivamente”.
L’obiettivo futuro è quello di lavorare su una maggiore consapevolezza, senza però rinunciare all’elemento di gioco e piacere che riguarda il cibo. “Non deve essere tutto concettualizzato: il cibo deve mantenere una parte di libertà, di creatività e anche di privatezza”, tutti elementi fondamentali per i bambini e ragazzi.
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Le sfide per la scuola del futuro
Il cibo deve diventare il protagonista e un punto di ripartenza. “Mi piacerebbe che si concepisse l’importanza del cibo non come prevalentemente si fa oggi, intendendolo quindi come qualcosa che riguarda non solo l’aspetto della salute o quello culinario. Dovrebbe esserci un’educazione al cibo inteso come una parte integrante e fondamentale dell’esistenza; non bisogna relegarlo soltanto a un settore. Per il Prof. Perullo, nella scuola tutte le materie dovrebbero parlare di cibo, anche quelle apparentemente lontane. “La sfida dell’educazione del futuro nella scuola è di far entrare sempre più il cibo come prospettiva che allarga la visione di una vita più serena, consapevole e sana, intesa in senso globale, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale, ad esempio”.
Durante la “Settimana del Cibo”, a tal proposito, ai partecipanti è stato chiesto di immaginare il cibo del futuro, e per il Prof. Perullo tutte queste attività sono un “primo tentativo di andare verso questa nuova modalità educativa, soprattutto in questa fase storica. Quando ci sono dei periodi di difficoltà come quelli che abbiamo affrontato, ci si può reinventare e sfruttare la crisi per ripensare ai modelli attuali e cambiarli. Credo che in questa fase, sia nella scuola che nella ristorazione, ci sia una presa di coscienza e un tentativo di rimettere mano alle cose: in questo senso, penso che il progetto Nutriamo la Scuola sia stato molto giusto in questo momento di difficoltà, in cui le scuole sono chiuse”.