I lunghi mesi di lockdown in casa hanno modificato la spesa degli italiani, che hanno scoperto i “negozi di prossimità” e trascorso più tempo di prima in cucina. Ma l’interesse verso il settore “food” nella sua versione casalinga non deve trarre in inganno. Come abbiamo visto, i primi dati a proposito dell’impatto del Coronavirus sull’agroalimentare italiano non sono rassicuranti: a pesare, in particolare, lo stop alla ristorazione che soltanto ora sta, lentamente, riprendendo l’attività. Lo ricorda anche Luigi Scordamaglia, delegato di Filiera Italia, in un’intervista dedicata alla ripartenza: il 30% del fatturato del settore è legato al food service e, tra i più colpiti, i settori del vino, dei salumi e dei formaggi di qualità. Proprio dell’impatto del lockdown sulla filiera del formaggio, abbiamo parlato con Massimo Forino, direttore di Assolatte, l’associazione italiana lattiero casearia.
[elementor-template id='142071']Lockdown e filiera del formaggio: l’impatto del Covid-19 sull’intero comparto
“Le imprese del settore” spiega Forino, “hanno vissuto momenti molto difficili e concitati. In poche ore hanno dovuto rivoluzionare il proprio modo di lavorare: riorganizzando turni, definendo nuove procedure di sicurezza nelle fabbriche, spostando una parte importante del lavoro in smart working, adeguando le linee produttive.” Contemporaneamente, e sempre in maniera repentina, si è trasformata anche la domanda: nelle prime settimane di emergenza, per esempio, il fenomeno dell’accaparramento ha fatto registrare un forte aumento delle vendite di latte UHT, a scapito del latte fresco.
Il lockdown ha poi influito anche sull’export: “tra gli aumenti delle vendite nella GDO e le riduzioni negli altri canali e nell’export il differenziale è comunque negativo, con un calo della domanda stimato tra il 15 e il 20%” commenta il presidente di Assolatte, che sottolinea anche le conseguenze negative della chiusura di bar ristoranti, agriturismi e, in generale, del settore Ho.Re.Ca.
“Abbiamo contato migliaia di cancellazioni di ordini e di contratti, senza preavviso, senza alcuna possibilità di replica. La situazione si è evoluta molto in fretta con le chiusure imposte dal Governo per contrastare la diffusione della pandemia. Per il settore è stato un colpo durissimo. Per alcune aziende drammatico. Non dimentichiamo che sono strutture che hanno il proprio core business, o addirittura il totale per proprio mercato nel canale Ho.Re.Ca., canale che per tre mesi è rimasto chiuso o quasi.”
Fase 3: una ripartenza che non assomiglia alla normalità
A partire dalla metà del mese di maggio si è entrati nella fase 2, un percorso lento di ripartenza e convivenza con il virus. Un passaggio che ha segnato un cambiamento anche lungo le filiere lattiero-casearie, ma il direttore di Assolatte ribadisce che il ritorno alla normalità è ancora lontano. “I ristoranti, seppur aperti, sono semideserti, il distanziamento sociale impone una forte riduzione dei coperti, il turismo è fermo. Viviamo una quotidianità molto diversa da quella sulla quale il settore ha costruito la propria crescita.”
Dal punto di vista del lavoro, invece, la fase 2 non ha portato delle novità nella modalità di lavoro negli stabilimenti. Fiorino ci racconta che “per ridurre al minimo i rischi per chi lavora nelle fabbriche, strutture rimaste aperte anche nei momenti più difficili, sono stati messi a punto protocolli operativi complessi, modificati i turni di lavoro e si è lavorato per ridurre la densità. Tutto ciò ha avuto – e ha – un costo importante. Ma le aziende non sono certo disposte a scendere a patti con la salute degli operai e delle loro famiglie.”
La “riscoperta” del latte come chiave per il futuro?
Secondo quanto dichiarato da Confagricoltura in occasione del World Milky Day, durante il lockdown c’è stata una “riscoperta” e valorizzazione del latte e dei prodotti caseari che non sono mancati nelle tavole degli italiani. Dal suo punto di vista, Massimo Forino riflette sul fatto che “quando tutti siamo stati costretti a chiuderci in casa, tanti si sono riavvicinati a modelli di consumo più tradizionali e ‘consolatori’. E andando a fare la spesa, per limitare al minimo le uscite, tanti si affannavano a riempire i carrelli di generi di prima necessità. Ora siamo tornati a uscire, ma è forse prematuro per dire se la terribile esperienza che tutti abbiamo vissuto lasci traccia anche nei futuri trend di consumo.”
È presto, dunque, per capire se uno dei fattori chiave per la ripartenza sarà o meno la genuinità e tradizionalità di molti prodotti lattiero caseari che fanno parte della tradizione di molte aree d’Italia. Tuttavia, il direttore di Assolatte si sofferma sul fatto che, durante il lockdown, si è parlato con frequenza del tema delle fake news in ambito sanitario e della nutrizione. “Speriamo di aver imparato tutti la lezione. Il nostro settore ha subito attacchi vergognosi che hanno allontanato una fetta non trascurabile di consumatori” commenta l’intervistato che porta all’attenzione anche un’altra questione.
“Siamo famosi nel mondo per la qualità dei nostri prodotti. La crisi economica che stiamo vivendo e i problemi finanziari ne derivano hanno messo a dura prova le tasche di tante famiglie. Mi domando se questa ridotta capacità di spesa inciderà sulle loro scelte di acquisto.” Un altro tema che pone una chiave di lettura per quello che accadrà nei prossimi mesi che, secondo le previsioni di Assolatte, continueranno a essere molto difficili, come confermato anche da Leopoldo Resta, AD di CIRFOOD Retail intervistato a proposito delle prospettive per la ristorazione.
Gli elementi chiave per una ripartenza? Secondo Forino, bisogna stimolare la ripresa dei consumi interni e spingere sull’acceleratore dell’export. “Quest’ultimo capitolo” conclude l’intervistato, “per anni ha garantito crescita a tutti coloro che sono impegnati nella produzione e nella trasformazione del latte italiano. Può essere fattore chiave per la ripresa, dopo il brusco stop di questi mesi.”