Con la diffusione delle abitudini salutiste e del vegetarianesimo, forse nessun altro prodotto alimentare è diventato un tabù quanto lo strutto di maiale. Questo ingrediente, tradizionalmente impiegato per una vasta gamma di preparazioni, viene sempre più abbandonato e sostituito da oli di semi e altri grassi di origine vegetale, in realtà non sempre preferibili, sia in termini organolettici sia sul piano nutrizionale. Lo strutto fa male ed è giusto rinnegarlo? Approfondendo le sue caratteristiche e confrontandolo con gli altri grassi alimentari, proveremo a rispondere a questa domanda e vedremo come e perché è sbagliato disprezzarlo in modo categorico.
Strutto di maiale: cos’è e come si produce
Lo strutto è un grasso alimentare che si ottiene dalle parti grasse del maiale. L’estrazione avviene a caldo, e può interessare due depositi lipidici diversi dell’animale. Quello più pregiato è il tessuto adiposo esterno – dove è presente la cotenna e che si distingue per essere più fibroso e consistente – porzione utilizzabile anche per produrre lardo, previa salatura e stagionatura. Nella zona surrenale e viscerale, interna e senza cotenna, è invece presente la sugna, un grasso povero di tessuto fibroso e privo di impurità, con una consistenza molto meno solida e un gusto più tenue.
La produzione tradizionale dello strutto prevede la rimozione della cotenna e il taglio del grasso a cubetti, al quale viene unita la sugna e gli altri ritagli di recupero dell’animale. Il tutto viene messo a cuocere a fuoco lento, per ottenere la fusione, consentendo l’evaporazione dell’acqua contenuta nei tessuti. I cubetti gradualmente rilasciano lo strutto, che viene rimosso e versato ancora caldo nei recipienti che lo conserveranno. Dopo alcune ore i cubetti dorati, ridotti alla sola parte fibrosa dalla cottura, vengono levati dal grasso fuso, conditi in base alle usanze locali e pressati in un torchio, fino a ottenere quelli che sono noti col nome di ciccioli. Nella produzione industriale, in fase di estrazione spesso si impiega il vapore a temperatura elevata e possono essere aggiunti antiossidanti o sale per favorire la conservazione.
Lo strutto si presenta come una materia compatta, dal colore bianco caldo, mentre sul piano organolettico non risulta aggressivo. All’olfatto è chiara l’origine animale, soprattutto all’aumentare della temperatura, aspetto che rende la superficie traslucida e meno solida. Oltre i 40 gradi centigradi si avvia la fusione, con una consistenza progressivamente più oleosa e trasparente.
Se ben sigillato, lo strutto si può mantenere in frigorifero o nel congelatore per diversi mesi. Questo grasso si distingue per un’eccellente resistenza al calore, con un punto di fumo a circa 250 gradi centigradi, mentre è scarsa la resistenza all’ossidazione e all’irrancidimento. Pertanto, si rivela particolarmente adatto per friggere, ma non è idoneo per la conservazione a lungo termine, specialmente in ambienti non refrigerati, illuminati e a contatto con l’aria.
[elementor-template id='142071']Lo strutto fa male?
Prima di capire se e quanto lo strutto fa male, bisogna precisare che le caratteristiche nutrizionali di questo grasso variano notevolmente in base al regime alimentare del maiale. Come abbiamo visto nel nostro approfondimento sull’allevamento estensivo, il pascolo libero, l’alimentazione naturale e la maggiore attività fisica degli esemplari accrescono la presenza di grassi insaturi, rendendo il profilo lipidico più salutare per il consumatore.
Ad ogni modo, lo strutto contiene un’alta percentuale di grassi saturi e di colesterolo, con una concentrazione energetica elevatissima, fattori che lo rendono sconsigliabile per gli ipercolesterolemici e per i soggetti a rischio cardiovascolare.
Profilo nutrizionale
Più nel dettaglio, indicativamente ecco cosa contengono 100 grammi di questo prodotto.
- Energia 890 kcal
- Proteine 0,30 g
- Grassi totali 97,28 g
saturi 42,47 g; monoinsaturi 43,11 g; acido oleico 39,06 g; polinsaturi 11,70 g; acido linoleico 8,95 g; acido linolenico 0,92 g; colesterolo 0,95 g
- Acqua 0,50 g
- Vitamine
B6 2 mg; acido folico (B9) 2 mg; D 2 mg; E 1 mg
- Minerali
fosforo 3 mg; potassio 1 mg; selenio 2 mg; sodio 2 mg; zinco 2 mg
Grassi saturi e colesterolo, però…
Per il suo contenuto nutrizionale, verrebbe da dire che lo strutto fa male e che andrebbe usato con estrema parsimonia, specialmente per chi conduce una vita sedentaria. Tuttavia, questo prodotto vanta anche alcuni pregi da non sottovalutare, come ha evidenziato la dietista Jo Travers della British Dietetic Association, durante la trasmissione televisiva Food Unwrapped, considerazioni riprese in un articolo sul Daily Mail. Eccoli in sintesi.
- Dopo l’olio di fegato di merluzzo, lo strutto è l’alimento con la percentuale superiore di vitamina D, dato pressoché sconosciuto al grande pubblico. Rispetto al burro, questo grasso contiene ben il 50% in più di questo prezioso nutriente.
- Inoltre, va considerato attentamente il profilo lipidico dello strutto, che pur avendo un elevato tenore di grassi saturi presenta una percentuale notevole di monoinsaturi, nettamente superiore a quella riscontrabile nel burro. Può sembrare strano, ma anche lo strutto, pertanto, può essere una fonte di grassi “buoni”. In merito a questo aspetto, è importante sottolineare che la versione idrogenata si distingue in negativo da quella comune, a causa del suo contenuto di grassi trans, nocivi per l’organismo.
- L’alto punto di fumo dello strutto, come detto, lo qualifica tra i grassi migliori in assoluto per friggere. La grande resistenza alla temperatura – superiore a tutti gli oli vegetali, compresi l’olio di palma e l’olio di cocco – produce un fritto più sicuro rispetto al rischio di contenere sostanze tossiche, vantaggio che si aggiunge a una qualità gustativa peculiare.
Usi tradizionali
L’uso dello strutto di maiale in cucina ha una storia millenaria, che solo negli ultimi decenni si sta perdendo a favore degli oli vegetali e del burro. Fino agli anni Cinquanta, soprattutto nelle aree rurali, questo grasso rappresentava la possibilità più economica – talvolta l’unica – per realizzare un’ampia gamma di ricette e preparazioni.
Il primo ambito di utilizzo riguarda la panificazione, sia per gli impasti salati che per quelli dolci, essendo in grado conferire fragranza, friabilità e morbidezza, senza alterare troppo il gusto. Lo strutto, inoltre, aumenta il volume della massa, contrasta la perdita di umidità e aiuta la conservazione dopo la cottura. Per queste ragioni, risulta ottimale e pressoché insostituibile per la preparazione di molti prodotti da forno, come abbiamo visto nel nostro articolo sull’uso dei diversi oli. È tipicamente presente nell’impasto dei grissini, delle brioches, della piadina romagnola, delle tigelle modenesi, dell’erbazzone reggiano, della coppia ferrarese, del casatiello, dei taralli napoletani e dei cannoli siciliani, solo per citare alcuni esempi noti. Nel Nord Italia, inoltre, quello che viene chiamato “pane all’olio” in genere contiene strutto.
In passato e prima della diffusione dell’olio d’oliva, questo grasso si impiegava anche per condire l’insalata e molte altre pietanze, una forma di utilizzo diffusa nelle campagne padane, che oggi, oltre ad essere del tutto desueta, appare piuttosto repellente. Un’altra tipologia di utilizzo oggi pressoché abbandonata è la conservazione di altri prodotti alimentari, quando le salsicce e altri insaccati venivano messi in barattoli di vetro sotto strutto. Fra quelli citati, questo tipo di impiego risulta il meno consono per le peculiarità di questo grasso, che come abbiamo visto irrancidisce facilmente e teme luce e calore. Solo la cosiddetta sugnatura dei prosciutti, grazie alla presenza di conservanti naturali come il sale e le spezie, risulta davvero efficace in questo senso.
Particolarmente indicato rispetto alle caratteristiche del prodotto, è l’utilizzo dello strutto per friggere, tuttora praticato ma in progressivo calo. Le crescentine bolognesi e lo gnocco fritto modenese, così come i bomboloni, le sfrappole o frappe di carnevale e la milza del pane ca meusa palermitano, sono tradizionalmente fritti nello strutto. Anche per friggere le patate in passato questo grasso si utilizzava molto di più rispetto agli oli vegetali.
Oltre agli usi appena illustrati, lo strutto di maiale nel secolo scorso serviva per usi non alimentari. Ad esempio, veniva impiegato per la lubrificazione di ingranaggi e attrezzature agricole, per impermeabilizzare il cuoio e renderlo più morbido, nella produzione del sapone e come unguento per la pelle, contro le infiammazioni e le scottature.
Alla luce di queste considerazioni, per concludere, si può affermare che è sbagliato bandire completamente lo strutto dall’alimentazione, ritenendolo a priori peggiore rispetto agli altri grassi che comunemente usiamo in cucina. Come abbiamo visto nel nostro approfondimento sul burro vegetale, invece, sono le margarine con grassi idrogenati la scelta meno qualitativa e meno salutare. Il consumo di strutto va certamente limitato, ma non cancellato, in particolare per alcuni usi tradizionali che lo richiedono, senza dimenticare che anche i lipidi rientrano fra i nutrienti essenziali per l’organismo.
E voi ogni tanto usate lo strutto in cucina?
Altre fonti:
Daily Mail
The Independent
Food Unwrapped