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Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, un Presidio Slow Food da tutelare

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La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio rappresenta un patrimonio di tradizione e gusto che affonda le sue radici nel cuore dell’Abruzzo. Questa leguminosa è simbolo di un legame antico tra l’uomo e la terra, un esempio di prodotto agricolo d’eccellenza che racconta l’autenticità e la ricchezza del territorio da cui proviene. La produzione di queste lenticchie ha conosciuto un periodo di declino, per poi rinascere grazie all’impegno di agricoltori locali e ai riconoscimenti sia come prodotto DOP che come Presidio Slow Food, marchi che ne garantiscono la qualità e l’origine. Pronti a saperne di più?

Roberto Lo Savio/shutterstock.com

Le origini della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio e le sue peculiarità

Coltivata sin dall’antichità nella zona del Gran Sasso, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio si è affermata grazie alla particolare combinazione di clima, terreno e specifiche pratiche agricole, che si sono adattate alle peculiarità del territorio. Santo Stefano di Sessanio si trova infatti a circa 1200 metri di altitudine, in quella stessa area pedemontana in cui nasce il pecorino Canestrato di Castel del Monte, altra specialità della zona che ha ottenuto il Presidio Slow Food. 

Le sue proprietà e le peculiarità fisiche, chimiche e organolettiche la rendono davvero unica. Piccole – hanno con un diametro compreso tra 2 e 5 mm – ma ricche di sapore, presentano un colore più scuro rispetto ad altre varietà di lenticchie. Non richiedono l’ammollo prima della cottura, che è rapidissima, e mantengono la loro forma anche una volta cotte: sono quindi perfette per sperimentare in cucina con tantissime ricette.

Come nasce la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio 

Le lenticchie detengono un posto d’onore nell’evoluzione della gastronomia umana e del progresso della civiltà. Hanno infatti raggiunto la nostra tavola in un’epoca talmente lontana che non è facile per gli studiosi capire in che modo tutto ciò sia avvenuto. Negli anni ‘80 del 1800, diversi registri storici fornivano ulteriori dettagli sulle coltivazioni di legumi, tra cui ceci, lenticchie e fagioli, nell’aquilano. Importante volano per l’economia, questa coltura sopravvive fino ai nostri giorni.

Grazie ad alcuni documenti storici risalenti all’epoca medievale, provenienti dal Monastero di S. Vincenzo al Volturno (nella zona di Isernia), sappiamo che le lenticchie erano già parte integrante della dieta nel centro italia: un antico contratto datato 998 menziona proprio i legumi coltivati nei terreni di Tussio, Carapelle e Trita, nella Valle del Tirino. Questo fatto testimonia l’importanza centrale che le lenticchie e altri legumi rivestivano già un millennio fa nel tessuto socioeconomico della comunità.

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Da carne dei poveri a Presidio Slow Food: riscoperta della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio

Soprattutto nelle regioni montane, legumi e cereali rappresentano da sempre una risorsa preziosa. Le lenticchie, insieme ai fagioli, venivano considerate la “carne dei poveri”, un alimento fondamentale per coloro che non potevano permettersi altro, grazie al loro elevato contenuto di proteine, superiore addirittura a quello della carne. 

Il territorio dove nasce e cresce la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio è ricco di presidi Slow Food che proteggono e promuovono questi straordinari alimenti (ad esempio il cece di Navelli, il grano solina dell’Appennino, o i fagioli di Paganica) spesso tutelati anche dal marchio DOP, come lo zafferano dell’Aquila.

Sono tutti ingredienti di ricette semplici, ma incredibilmente nutrienti e gustose. Le piantine, cresciute in un habitat caratterizzato da inverni lunghi e rigidi e primavere brevi e fresche, maturano a ritmi diversi, consentendo loro di nutrire i propri semi anche dopo essere state sfalciate.

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Coltivazione e usi in cucina

La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, in particolare, cresce su terreni aridi e ha bisogno di poche cure. Ma la sua raccolta è impegnativa, poiché avviene interamente a mano: l’uso di macchinari, infatti, comporterebbe la perdita del 30-40% del raccolto a causa dell’impervio terreno montano. Questo processo tradizionale, che è rimasto invariato per secoli, risulta quindi molto laborioso: è purtroppo una delle ragioni per cui la produzione di lenticchie è in calo e i produttori locali, per lo più anziani, stanno lottando contro la presenza sul mercato di prodotti contraffatti. Fortunatamente, il presidio Slow Food, in collaborazione con il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e la Regione Abruzzo, ha permesso di creare un’Associazione per garantire l’autenticità del prodotto e tutelare i consumatori tramite un preciso disciplinare tecnico di produzione.

L’obiettivo è anche quello di incoraggiare la coltivazione di lenticchie, offrendo opportunità di sviluppo e incentivando i giovani a rimanere e lavorare in questo territorio straordinario. 

Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio si raccolgono nel mese di agosto, ma si consumano essiccate e quindi sono disponibili tutto l’anno. Come abbiamo accennato, non ha bisogno di essere messa in ammollo e risulta straordinariamente saporita. Per preparare la classica zuppa di lenticchie aquilana, basta coprirle con acqua, aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extra vergine di oliva, e portare ad ebollizione, a pentola chiusa.

Non solo: questo legume è perfetto anche come base per un ragù o per piatti vegani come i medaglioni di lenticchie

Se volete conoscere la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, è utile ricordare che come celebrazione del raccolto, ogni anno la prima settimana di settembre si organizza una sagra, durante la quale è possibile gustare piatti tipici come la zuppa di lenticchie con crostini.

Conoscevate questo prodotto speciale?


Immagine in evidenza di: Brent Hofacker/shutterstock.com

 

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