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Nuova Legge contro il Caporalato: il ddl 2217

Dopo aver toccato il fondo, l’Italia del lavoro nero, malpagato e dominato dai caporali è riuscita a non replicare il bollettino di guerra dell’estate 2015. Ve ne avevamo parlato facendo il punto della situazione: erano stati una dozzina, un anno fa, i morti di lavoro: uccisi dal caldo, dalla fatica, dallo stress, tredici braccianti, uomini e donne costretti nei campi e nelle serre a orari impossibili e con salari da fame, avevano fatto promettere alle istituzioni che la strage non si sarebbe mai più ripetuta.

E nel 2016, in effetti, è stato così. L’attività di controllo è diventata stringente e capillare, raggiungendo picchi importanti nelle regioni più calde (non solo quelle del sud, ormai tra i territori ad alto tasso di infiltrazione criminale ci sono Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna) e riuscendo a intercettare situazioni di sfruttamento pesante. Un decesso, però, nel bilancio definitivo lo si deve mettere in conto: sul finire dell’estate un ultrasessantenne rumeno è morto a causa del caldo in Franciacorta, nel Bresciano. Ma l’estate ha visto anche i progressi del disegno di legge 2217, quello tanto atteso sul lavoro nero. Proviamo a descrivere i passi avanti che potrebbe permettere questo provvedimento.

lavoro nero

La nuova legge contro il caporalato in agricoltura

Cos’è il ddl 2217

Si chiama “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, e vede ormai lo striscione del traguardo: approvato quasi all’unanimità dal Senato all’inizio di agosto, a metà settembre ha cominciato il suo iter alla Camera con l’esame nelle commissioni Giustizia e Lavoro. Sponsorizzato com’è dai più alti livelli istituzionali – anche il premier Matteo Renzi ha invocato un’accelerazione della pratica -, il ddl potrebbe essere definitivamente approvato entro la fine di ottobre. Un risultato raggiunto in tempi brevi, accelerato dalle croci nei campi del 2015 e chiesto a più livelli, dalle organizzazioni di categoria ai sindacati alle piccole imprese. Era stata l’istituzione, nel 2014 con la legge 116, della Rete del lavoro agricolo di qualità a sollevare ancor più l’esigenza di una legge che, parallelamente alla creazione di un’associazione di imprese virtuose, creasse un vero argine allo sfruttamento.

Le misure contro il caporalato

Pene più dure per i caporali, responsabilità penale per le aziende che sfruttano. Sono alcune delle misure previste dal ddl 2217, che ora dopo l’approvazione del Senato è al vaglio della Camera per diventare legge. Il testo, anzitutto, introduce inasprimenti delle pene per “colui che svolge attività di intermediazione illecita di manodopera”. Per questo è stato riscritto l’articolo 603-bis del Codice penale, che tratta proprio di intermediazione e sfruttamento: si prevede la reclusione da uno a sei anni più una multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore, pena che sale da cinque a otto anni in caso di minacce o violenze (la multa in questo caso è raddoppiata).

Ancora, sono previste aggravanti se il numero dei lavoratori sfruttati è superiore a tre o se tra i braccianti reclutati vengono individuati minori. Il provvedimento prevede anche la responsabilità penale per le imprese che si servono di lavoratori reperiti dai caporali, e come accade per i reati di associazione mafiosa la confisca obbligatoria dei beni.

Le imprese coinvolte, perché si scongiurino il blocco delle attività e la perdita di posti di lavoro, saranno affidate in gestione dal giudice ad amministratori da lui nominati. In favore delle vittime, i lavoratori sfruttati, sono poi previsti indennizzi, prelevati dal cosiddetto fondo antitratta. Il disegno di legge, infine, rafforza la Rete del lavoro agricolo di qualità, articolandola in sezioni territoriali e allargandola a enti locali, centri per l’impiego e parti sociali. Un ulteriore incentivo ad uno strumento che partì lento, un anno fa, ma oggi, secondo stime fornite dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, conta 2300 adesioni.

Cosa pensano i sindacati: sì, ma con riserva

Sì all’inasprimento delle pene, ma non fermiamoci qui. E’ in sintesi il pensiero sulla legge in arrivo espresso da sindacati e organizzazioni di categoria. Secondo Coldiretti l’impatto delle nuove norme sarà “positivo, ma ora occorre anche intervenire per rompere la catena dello sfruttamento che inizia dal sottopagare i prodotti agricoli pochi centesimi. Occorre combattere senza tregua il becero sfruttamento che colpisce spesso la componente più debole dei lavoratori agricoli, ma serve un’azione di responsabilizzazione di tutta la filiera”.

Per Confagricoltura “il provvedimento è assolutamente condivisibile ma gli strumenti previsti non centrano solamente l’obiettivo della lotta all’intermediazione illecita e allo sfruttamento, rischiando di far sentire i loro effetti anche sulle imprese che operano correttamente sul mercato del lavoro”. Le norme secondo l’organizzazione di categoria vanno a colpire in alcuni casi le aziende agricole “a prescindere dal collegamento con l’intermediazione di manodopera irregolare, con il risultato che potrebbe essere punito con la reclusione, con la confisca dei beni e con il controllo giudiziario dell’azienda, anche chi incorre accidentalmente in una trasgressione meramente formale e spesso marginale”.

Recuperare le filiere dell’agroalimentare interrotte dalle infiltrazioni della criminalità è una strada che passa anche per una nuova legge. Una via difficile, perché i legami con le mafie sono stretti e spesso difficili da individuare, ma negli ultimi anni con l’informazione su queste tematiche è cresciuta anche la consapevolezza che caporalato agricolo e agromafia sono realtà vicine e da debellare. Un lavoro importante è stato fatto nell’ultimo quinquennio da Flai Cgil, che ha raccolto una mole di dati mai divulgati in passato.

Ne abbiamo parlato più volte, in questo articolo il punto sulla diffusione del caporalato nel centro-nord della penisola. Inoltre, tra le varie analisi che abbiamo proposto, ecco anche quella del giornalista e attivista Peppe Ruggiero sulla diffusione dell’agromafia e le buone pratiche per provare a eliminarla.

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