Il latte crudo è latte non pastorizzato, ma perché si è deciso di pastorizzare il latte? La pastorizzazione è nata nel 1866 quando Louis Pasteur ha dimostrato che riscaldando il vino a temperature superiori a 60°C si riuscivano a eliminare funghi e batteri responsabili delle «malattie del vino» proteggendolo così dalle alterazioni. Al contrario di quanto si creda, Pasteur non ha mai utilizzato la tecnica da lui inventata sul latte, ma solo sul vino e sulla birra.
Perché la pastorizzazione venga applicata al latte bisogna aspettare altri 30 anni e arrivare al 1897 quando un uomo d’affari americano, Nathan Straus, decise di installare un pastorizzatore in un orfanotrofio. Nathan Straus aveva perso un figlio ed era convinto che il responsabile fosse proprio il latte. A quei tempi la mortalità infantile era un fenomeno molto grave e diffuso, soprattutto a causa della tubercolosi, e si sospettava che il latte fosse proprio il terreno di coltura adatto per la proliferazione del batterio. A Londra all’inizio del ventesimo secolo il latte veniva definito come il «veleno bianco». Dopo l’installazione del pastorizzatore in orfanotrofio Straus vide la mortalità passare in un anno dal 40% al 20%, arrivando al 16% nel 1904. Anche in Europa gli eventi seguirono un percorso simile e fu la Danimarca per prima a imporre la pastorizzazione per legge.
Oggi il latte viene pastorizzato a 71.7°C per 15 secondi, la scelta della temperatura e del tempo è un compromesso per uccidere il maggior numero di batteri patogeni senza alterare troppo le proprietàorganolettiche dell’alimento. Ma anche nel XIX secolo gli oppositori della pastorizzazione gridavano a gran voce il loro dissenso appellandosi a ragioni che, a ben vedere, somigliano molto a quelle presentate da chi oggi rivendica il diritto a bere latte crudo. I consumatori temevano di perdere il sapore del latte, i produttori si sentivano minacciati dall’aumento dei costi. Insomma, corsi e ricorsi storici, ma ovviamente il latte prodotto oggi non ha niente a che vedere con quello di un secolo fa. I controlli sono maggiori e più severi, i produttori di latte crudo per poter vendere direttamente ai consumatori devono rispettare standard sanitari ben più stringenti di quelli che invece producono latte da destinare alla pastorizzazione. I 10 casi di bambini affetti da seu con tutta probabilità non sono stati il segnale di un’epidemia ma sono piuttosto il campanello d’allarme dell’esistenza di un pericolo e di qualche defaillance del sistema produttivo. Lo conferma anche il presidente dell’ Associazione dei veterinari italiani(AIVEMP) Bartolomeo Giglio: «Bene fa il Ministero della Salute a tenere un atteggiamento di cautela verso un’iniziativa che nasce con legittimi presupposti economico-produttivi ma che va tenuta sotto stretto controllo».
È stato proprio il rapido proliferare dei bancolat dal 2004 (anno in cui è stata autorizzata la vendita diretta di latte crudo) a oggi che portato a una maggiore difficoltà nel tenere sotto controllo il fenomeno e a questo hanno contribuito anche linee guida regionali che non sempre si sono adeguate alle indicazioni contenute nell’intesa tra governo e regioni del 2007. «La qualità del latte italiano negli ultimi 10 anni è salita in modo straordinario – afferma Roberto Mattioli, dirigente del servizio veterinario dell’Usl di Bologna – abbiamo assistito a un fortissimo calo della carica batterica contenuta nel latte, ma le mastiti da E.coli sono sempre esistite. Il problema si è presentato perché la possibilità della vendita diretta di latte crudo ha attirato tutti i produttori, ma mentre alcuni si sono adeguati con responsabilità ai nuovi standard di sicurezza che questo tipo di vendita impone, altri non l’hanno fatto. Il produttore di latte crudo deve essere consapevole che non sta più realizzando un semplice prodotto, ma un alimento. E’ necessaria quindi più formazione del produttore e più informazione del consumatore. L’ordinanza ministeriale è, a mio parere, giustissima». In realtà il latte appena secreto dall’animale è praticamente sterile, le contaminazioni possono avvenire solo dopo in seguito al contatto con le mammelle e l’ambiente circostante e può succedere in qualunque fase, partendo dalla mungitura fino al momento in cui il consumatore beve il latte comprato. E.coli O157, inoltre, è un batterio del tutto asintomatico per il bovino e poiché la contaminazione con le feci è intermittente, se un campione di latte è negativo non è detto che lo sia anche quello derivante dalla mungitura successiva. È quindi il caso di controllare non solo l’alimento ma anche il bovino, anche se a prima vista appare sano. «Se l’animale non è malato il suo latte è assolutamente sano– afferma Santino Porsperi, preside della Facoltà di Veterinaria dell’Università di Bologna –Noi stessi qui in facoltà produciamo latte e abbiamo anche un piccolo caseificio ma a tutti io ho sempre consigliato di bollire il latte crudo». Il parere del prof. Prosperi è finito anche nell’interrogazione parlamentare presentata da Paolo de Castro, ex ministro del PD. «Io sono il primo a difendere i produttori di latte, non è giusto che chi commercializza il latte prenda più dei produttori – sottolinea il prof. Prosperi – Il latte crudo va benissimo, basta bollirlo».
È da dire che i casi di seu che hanno fatto scattare l’ordinanza ministeriale non sono certo i primi di cui si ha notizia. La Food and Drug Administration (FDA) e il Center for Desease Control (CDC) riportano sul loro sito segnalazioni che sconsigliano l’assunzione di latte crudo, anche l’Istituto Superiore di Sanità segnala una infezione da Campylobacter jejuni che ha colpito 12 persone in provincia di Pescara causata probabilmente da latte crudo.
Ma dal punto di vista nutritivo, cosa possiamo dire? «La pastorizzazione è un trattamento blando che elimina gran parte dei batteri patogeni – ci dice Giovanni Lercker, direttore del dipartimento di scienze degli alimenti dell’Università di Bologna – Di sicuro viene persa tutta la vitamina C, ma la nostra fonte di vitamina C non è mai stata il latte, potremmo berne litri e non basterebbe per raggiungere la dose minima necessaria all’organismo. La pastorizzazione inoltre denatura le sieroproteine e questo modifica la loro capacità di trattenere l’acqua, tutto questo però non altera la nostra possibilità di assorbimento di queste proteine. Anche altre sostanze possono essere alterate dalla pastorizzazione, ma in parte, mai del tutto». «Il latte crudo è più completo e più gustoso, ma bisogna sapere che può presentare dei pericoli», aggiunge Giovanni Ferri, professore di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università di Bologna e presidente dello Spin off Tinval, che si occupa di trasferimento di conoscenze e tecnologie al settore produttivo e valorizzazione degli alimenti. «L’unica alternativa casalinga alla pastorizzazione è la bollitura – aggiunge il prof. Ferri – A casa non abbiamo gli strumenti e le condizioni di sterilità che vengono rispettate nei laboratori che pastorizzano il latte portandolo a 70 gradi».
Ma alla fine, dal punto di vista delle proprietà complessive del latte, è meglio il latte pastorizzato o quello crudo bollito? «E’ meglio il latte pastorizzato», ci risponde il prof. Lercker.
Latte crudo sì, ma bollito, se non si vogliono correre rischi e soprattutto se si fa parte delle categorie più fragili.
Il risparmio c’è? Un euro al litro è un prezzo competitivo, se si acquista anche la bottiglia dai distributori si spendono in media 0.20 euro in più, se si decide di utilizzare sempre lo stesso contenitore di sicuro si contribuisce alla riduzione dei rifiuti, bisogna ricordarsi però di sterilizzare sempre la bottiglia prima di un nuovo prelievo di latte, come raccomanda lo stesso sottosegretario Martini.
Niente allarmismi quindi né pozioni miracolose, serve solo un po’ di buonsenso.
Cosa ne pensi del latte crudo? È più buono di quello tradizionale? Se sei un convinto estimatore o un critico consumatore di latte crudo, scrivi il tuo parere sul forum!