La nutria è un roditore di origine sudamericana, conosciuta in Europa per essere una specie infestante, che vive nei pressi di canali, fiumi e laghi. L’impatto e la prolificità di questi animali sul nostro territorio hanno spinto le amministrazioni pubbliche a mettere in atto piani per ridurne la presenza, tantoché, negli ultimi anni, da più parti si è proposto di utilizzare gli esemplari abbattuti per il consumo alimentare. Ma la nutria si può mangiare? Dopo aver approfondito il caso del gambero killer – altra specie che ha colonizzato le acque interne europee – ricostruiremo la vicenda di questo roditore, cercando di capire se l’idea di portarlo in tavola può essere presa sul serio e ha senso per limitarne la diffusione, o se invece è meglio mantenere la diffidenza e la repulsione che pervade la maggior parte degli italiani a riguardo.
Nutria: da dove viene e come si è diffusa?
La nutria (Myocastor coypus) non è un grosso ratto e nemmeno uno strano incrocio, ma una specie a sé stante, originaria delle pianure della parte centro-meridionale dell’America del Sud. Si tratta di uno dei roditori più grandi presenti in natura, che può raggiungere il metro di lunghezza dalla testa alla coda, con un peso fino a 15-17 chilogrammi per i maschi più grossi. Il corpo è robusto, mentre la grande testa è dotata di mandibole forti, dalle quali si notano grandi incisivi di colore arancione acceso, una delle peculiarità che contraddistinguono di più questo animale, vegetariano, prolifico e dal temperamento piuttosto aggressivo. In Sud America il numero degli esemplari è contenuto dall’azione di numerosi predatori, soprattutto dal caimano, ma anche da felini e uccelli rapaci di varie taglie.
La diffusione della nutria ha una storia travagliata, che dipende dall’opera umana. A partire dall’Ottocento, infatti, inizia a crescere la richiesta delle pellicce di questo animale, conosciuto commercialmente come “castorino”, per la somiglianza con il più noto roditore d’acqua. Nei primi anni del secolo scorso, nella zona d’origine la caccia stava rendendo le nutrie sempre più rare, aspetto che spinse all’apertura di numerosi micro-allevamenti in molti Paesi di tutto il mondo, dal Nord America, all’Europa, all’Asia. Alcuni esemplari riescono a fuggire, e talvolta vengono liberati volontariamente con la crisi di questa economia, favorendo la formazione di colonie allo stato selvatico, in zone anche molto diverse dall’habitat originario.
[elementor-template id='142071']La nutria in Italia
Nel nostro Paese il Myocastor coypus è presente dagli anni Venti, introdotto prima in Piemonte e in seguito in diverse altre zone. Com’è successo in molte aree del mondo, negli anni Ottanta il cessare della richiesta delle pellicce determina la chiusura degli allevamenti, con l’abbandono in natura degli esemplari superstiti, ignorando l’impatto ecologico che si sarebbe causato. L’adattabilità e la resistenza della specie, infatti, la rendono capace di popolare rapidamente ampie porzioni di territorio intorno alle acque interne, specialmente in assenza di predatori naturali, come avviene in Europa.
Oggi la diffusione interessa il Nord e il Centro Italia, ma anche il Sud e le isole, seppur in misura minore. Nella sola Lombardia, secondo Coldiretti e ISPRA, gli esemplari sarebbero circa due milioni, uno ogni cinque abitanti.
Per completare il quadro, si fanno registrare persino casi di addomesticamento per compagnia. Alcune persone, infatti, hanno adottato cuccioli di nutria, facendoli crescere fra le mura di casa o in stato semi-domestico, fornendo cibo e spazi fruibili.
Perché è considerata dannosa?
Per via del suo impatto negativo sulle colture (barbabietole, mais, patate, ecc.), sulla biodiversità e sull’equilibrio idrogeologico, la nutria rientra nella famigerata lista delle cento specie invasive più dannose al mondo, stilata dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN). Alla sua abitudine di scavare gallerie negli argini, viene attribuito un impatto negativo e pericoloso sulla stabilità delle acque, che può favorire gli straripamenti, ma non è facile calcolare il deterioramento effettivo in questo senso. Anche sui danni alle colture terrestri non c’è totale concordanza, perché in genere gli esemplari non si allontanano molto dai corsi d’acqua, pertanto solo le coltivazioni a ridosso dei canali sarebbero prese di mira. Nelle zone più popolate da nutrie, inoltre, è stato sollevato il problema del pericolo per la circolazione stradale, causato dalla presenza degli animali sulle carreggiate.
La nutria, per di più, è accusata di essere un vettore di contagio per la leptospirosi e altre patologie, tuttavia, gli esperti del Ministero dell’Ambiente hanno ampiamente ridimensionato questa possibilità. Il discredito che grava su questo animale, quindi, sembra sovradimensionato, pur essendo evidenti i problemi causati in alcune zone d’Italia, ai quali le amministrazioni pubbliche e le autorità sanitarie da tempo cercano di rispondere con programmi di eradicazione, finora non particolarmente efficaci.
Il piano adottato in Emilia-Romagna nel 2016, ad esempio, stabilisce le modalità e la titolarità per la cattura, la soppressione e lo smaltimento di questi animali, documentando nel dettaglio i danni da essi causati alle coltivazioni e alle aree protette. I programmi locali per limitare il numero delle nutrie si rifanno a normative europee o nazionali, e nella fattispecie il Regolamento UE n. 1143/2014 “raccomanda agli Stati membri di provvedere all’eradicazione rapida” delle specie esotiche invasive.
La nutria si può mangiare?
La necessità di contenere l’elevato numero di nutrie si associa quasi sempre al loro abbattimento, con uno smaltimento che determina la perdita degli esemplari uccisi. In termini strettamente economici, si tratta di un indiscutibile spreco, pensando sia alla pelliccia che alle carni degli animali. Questo aspetto ha stimolato la proposta di recuperare perlomeno la carne, un’idea che negli ultimi anni ha avuto alcuni sostenitori, sia in ambito amministrativo e politico, sia da parte scientifica. Parlando dei piani per limitare la diffusione dei cosiddetti gamberi killer, con la possibilità di utilizzarli proficuamente, anche il dottor Gianluca Zuffi, biologo specializzato nella fauna ittica d’acqua dolce, aveva espresso la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare questo roditore a tavola.
Pur conoscendo la repulsione della maggior parte dell’opinione pubblica verso questo animale, cerchiamo di saperne di più sulla sua reale commestibilità. In determinate circostanze, la nutria si può mangiare? Innanzitutto, vediamo chi, negli ultimi anni, si è espresso pubblicamente a favore di questa idea.
- In Italia il dibattito sulle nutrie in tavola cresce a partire dal 2014, quando Mirco Lorenzon, assessore all’agricoltura, alla caccia e alla pesca della Provincia di Treviso, inizia a organizzare cene a base di questo roditore. Con la collaborazione del gruppo “Quei dea nutria”, gli esemplari di castorino cacciati lungo il Piave vengono utilizzati per preparare ragù, risotto, stufato e altre ricette.
- Fra i più autorevoli sostenitori dell’idea c’è anche il veterinario Mauro Ferri, già a capo dell’Ufficio caccia e pesca della Provincia di Modena. In un articolo scritto con il collega Aldo Focacci e pubblicato nel 2013, Ferri sostiene l’uso alimentare del roditore, riportando le proposte avanzate al Convegno internazionale sulla nutria, tenutosi a Pavia nel 2011. Il primo passo fondamentale, in questo senso, sarebbe la riclassificazione dell’animale tra le specie cacciabili. Interessanti, inoltre, la bibliografia e gli studi citati nel testo, condotti presso l’Istituto zooprofilattico di Modena, che attesterebbero la sostanziale sicurezza delle carni di nutria, “se trattate igienicamente e sottoponendole al controllo sanitario”, come avviene per tutti i prodotti alimentari.
- Nel maggio del 2018 il tema torna in auge, quando Michael Marchi, sindaco di Gerre dei Caprioli, nel Cremonese, suggerisce di mangiare le nutrie per favorirne la diminuzione. Il primo cittadino, in seguito, si fa fotografare e riprendere mentre mangia di gusto il castorino stufato. Alcuni giorni dopo, durante una puntata de La Zanzara, il conduttore Giuseppe Cruciani segue l’esempio di Marchi, gustando lo spezzatino di nutria in diretta radiofonica, proseguendo provocatoriamente la battaglia mediatica che da tempo lo contrappone ai suoi detrattori animalisti.
- Era una bufala goliardica, invece, il volantino circolato su Facebook che pubblicizzava una sagra della nutria, in programma per il 20 aprile 2018 a San Giorgio di Livenza, in provincia di Venezia. Tuttavia, secondo l’Associazione italiana difesa animali e ambiente (AIDAA), sarebbero già una decina le sagre dove si cucina il castorino, notizia che però richiederebbe verifiche sul territorio.
Mangiare la nutria è legale?
Gli appassionati di castorino del Cremonese, La Gazzetta di Mantova e Mauro Ferri hanno citato due vecchie circolari del 1959, la 17 e la 144, che autorizzerebbero l’utilizzo delle carni di questo roditore. In quell’anno il Ministero della Sanità non era ancora stato istituito, e l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità, presso il Ministero degli Interni, consentì il consumo alimentare delle carni di nutria, se queste “fossero sottoposte a vigilanza veterinaria, messe in vendita ad animale intero e individuate con apposito bollino a cura dell’allevatore”.
Bisogna ricordare che nel 1959 l’allevamento del castorino era al suo apice, e in alcune trattorie della Bassa padana le pietanze a base di questo roditore trovavano posto nei menù. Sappiamo che oggi l’allevamento commerciale è vietato, gli esemplari sono abbattuti a fini ambientali e le abitudini degli italiani sono molto più snob rispetto a quelle delle generazioni precedenti. Pur ammettendo la validità delle due circolari del ‘59, questo animale non rientra fra le specie cacciabili, stabilite nell’articolo 18 della legge 157/1992. Di contro, però, come sostengono Ferri e Focacci, la nutria potrebbe far parte a pieno titolo della “selvaggina selvatica piccola”, nella quale, secondo il Regolamento CE 853/2004, rientrano indifferentemente “lepri, conigli e roditori”.
In sostanza, a oggi in Italia manca una normativa precisa sulla questione: è proibita la commercializzazione di queste carni, ma mangiare le nutrie cacciate e cucinate per uso personale non è esplicitamente vietato, pur essendo ai limiti della legalità. Come sottolineavano Ferri e Focacci, un passo importante per riconoscere la commestibilità e autorizzare la cessione al consumatore finale sarebbe l’inserimento della nutria fra le specie cacciabili.
Nutria nel mondo: dove viene mangiata?
Potrà sembrare strano, ma in diverse parti del mondo la nutria fa parte della tradizione alimentare ed è molto apprezzata. In altri luoghi, invece, sta trovando dignità sulle tavole proprio in seguito alla diffusione avvenuta nel secolo scorso, e alla volontà di limitare il numero degli esemplari, a causa dei danni descritti in precedenza. Ecco una breve panoramica.
- In Sudamerica, specialmente in Argentina, Cile e Uruguay, la nutria, qui chiamata anche coypu o coipo, è considerata una prelibatezza, non alla portata di tutti, come ha dichiarato l’imprenditore italo-argentino Abel Corigliani a La Gazzetta di Mantova. Nelle zone dove questo roditore è autoctono, le preparazioni più tipiche prevedono lente cotture a la parrilla (alla griglia), tipiche dell’asado argentino, oppure al forno.
- In Louisiana, la nutria, chiamata anche swamp rabbit (coniglio di palude), è arrivata recentemente sulle tavole, e la sua presenza in questo Stato meridionale degli Stati Uniti ha una storia analoga a quella europea. In questo caso, però, sono state le autorità locali a promuovere il consumo di questi roditori, al fine di ridurne la popolazione. Da tempo ingrediente della cucina popolare cajun della Louisiana, la nutria recentemente è stata valorizzata nelle ricette di chef professionisti, fra i quali Philippe Pavola, che oltre a proporre diversi piatti mostra come pulirla e prepararla. Negli Usa anche altre specie invasive, come la carpa asiatica, stanno gradualmente entrando nelle abitudini alimentari, con l’avallo delle autorità ambientali e pubbliche.
- In Europa la situazione è abbastanza diversificata e ancora normata dalle leggi nazionali. In Francia, dove è chiamata ragondin, Germania, Lituania e Romania la nutria è cacciata e consumata, e rientra fra i piatti della tradizione rurale, pur essendo attualmente marginale in termini di popolarità.
Proprietà delle carni e sicurezza
Chi ha sperimentato la nutria a tavola descrive queste carni come simili a quelle del coniglio e della lepre, rosate e persino più morbide, senza la necessità di frollature. L’alimentazione a base di erbe, radici, tuberi e frutta accomuna il castorino con questi due roditori, ben più riconosciuti in ambito alimentare. Una ricerca pubblicata sul Journal of Food Composition and Analysis, inoltre, evidenzia un profilo nutrizionale apprezzabile per la carne di nutria, che per ogni 100 grammi contiene:
- 22,1 grammi di proteine
- 1,5 grammi di grassi
- 36 milligrammi di colesterolo
Questi dati la rendono “un’eccellente fonte proteica a basso contenuto di grassi e colesterolo”, secondo lo studio.
Un discorso a parte merita lo spinoso tema della sicurezza alimentare. Sappiamo che, in ambito gastronomico, la selvaggina gode di un’ottima reputazione. Le carni di lepre, cinghiale, capriolo e altre specie sono valorizzati in ricette succulente, che stuzzicano l’appetito di chiunque apprezzi i piatti di carne. Pur essendo assimilabile a gran parte delle selvaggine, invece, la nutria è generalmente disprezzata e aborrita, per la vaga somiglianza con il ratto. In termini alimentari e di salubrità, tuttavia, ben poco divide questo roditore da una lepre, da un fagiano o da un’anatra, ad esempio.
Al di là dei pregiudizi, quando si parla di animali selvatici, ciò che in genere preoccupa sono le sostanze inquinanti presenti in natura – pesticidi usati in agricoltura, scarichi e rifiuti di vario tipo – che questi esemplari possono assorbire vivendo e nutrendosi in libertà. Nel caso del pesce di mare, ad esempio, sappiamo che l’inquinamento da mercurio colpisce soprattutto i grandi predatori, come il tonno rosso e il pesce spada.
A prescindere dalla specie, infatti, gli animali allevati sono sempre più sicuri, perché possono essere monitorati attentamente, per tutti gli aspetti di interesse sanitario. Nel caso della nutria, non esistono allevamenti controllati in grado di garantire la sicurezza delle carni, pertanto la vita nei canali, nei fiumi e a ridosso dei terreni coltivati espone questi animali alle contaminazioni ambientali, al pari di altre specie selvatiche.
Non la consigliamo, però…
Per concludere, in termini di sicurezza alimentare non può essere consigliabile mangiare la nutria, ragionamento che vale anche per tutta la selvaggina, specialmente quella che popola le campagne e le aree coltivate intensivamente, e che si spinge nei pressi delle aree urbanizzate. Come ha puntualizzato il dottor Zuffi nel nostro approfondimento sul gambero killer, inoltre, il consumo alimentare delle specie infestanti non è necessariamente una soluzione utile per limitarne la presenza, perché in caso di gradimento rilevante costituirebbe anche un’inevitabile spinta all’allevamento. Il consumo unicamente derivato da una caccia controllata, invece, non avrebbe questi risvolti controproducenti. Un’altra soluzione valutabile potrebbe essere quella di destinare le nutrie abbattute alla produzione di mangimi, come già avviene per i sottoprodotti del pollame e di altre filiere, però anche in questo caso emergerebbe la questione della mancanza di controllo sugli animali selvatici. Ad ogni modo, i problemi dello smaltimento, dello spreco di risorse e dei costi di gestione, associati agli attuali piani di contenimento, dovranno essere valutati attentamente e affrontati con misure razionali.
Avevate già sentito parlare dell’idea di mangiare la nutria?
Fonti:
Regolamento UE 1143/2014
Regolamento CE 853/2004
Unione mondiale per la conservazione della natura – IUCN
Piano della Regione Emilia-Romagna per il controllo della nutria
Associazione italiana difesa animali e ambiente – AIDAA
“Il coypu o nutria da carne e da pelliccia”, Eurocarni, n. 2, 2013
Coldiretti
Tg Treviso, Rete Veneta
Il Giornale
La Gazzetta di Mantova
La Zanzara
Il Fatto Quotidiano
Can’t beat ’em, eat ’em!
Journal of Food Composition and Analysis
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