Ancora una volta, uno dei miei amici mi ispira una riflessione che forse può essere utile anche a voi. Questa volta si tratta di un cuciniero uomo di solito capace di buoni risultati. Durante un raro invito a cena (ormai non mi invita più nessuno…) mi pone la solita domanda (com’è?) alla quale rispondo nel solito modo (eccellente!). Anche lui si lancia nella seconda domanda (dimmi la verità!) e io gli rispondo che la sua focaccia di Recco è mangiabile ma non ha niente a che vedere della focaccia di Recco. Facendomi più pignolo di quello che sono, mi obietta che è impossibile trovare la formaggetta di Recco e l’ha sostituita con lo stracchino come fanno tutti. Ma l’inghippo era ben altrove. “Non ti sembra un po’ gonfia?” Gli ho chiesto. “Si ma non riesco a evitarlo, anche se la stendo sottilissima mi viene sempre gonfia” è stata la sua risposta.
Come al solito, il mio amico aveva eseguito in modo intuitivo una ricetta tradizionale che invece ha una formula piuttosto rigorosa. È così per tutte le specialità tradizionali. Pur presentando costantemente alcune varianti, hanno sempre dei capisaldi irrinunciabili e rispettati da tutti. Spesso gli ingredienti fondamentali sono invisibili, non intuibili oppure, come nel caso della focaccia di Recco, assenti benché ne presuma la presenza con certezza assoluta. Immaginando che in fondo si tratti di una focaccia simil genovese con dello stracchino, il mio amico ha fatto una focaccia con lo stracchino. Purtroppo per lui, quella di Recco è una focaccia molto sui generis che – udite udite – non ha il lievito nell’impasto. Pur chiamandosi focaccia e pur essendo conterranea della lievitatissima focaccia genovese, ha un impasto che assomiglia più a quello della piadina. Due mondi diversi, gastronomicamente parlando, altro che stracchino al posto della formaggetta. E si capisce benissimo perché gli si gonfi sempre malgrado tutti gli sforzi di stenderla il più sottile possibile.
Tutto questo per non consultare un libro o fare una ricerchina veloce in rete.
Se siete di quelli che non amano leggere le ricette e usano spesso la frase “mi piace improvvisare” evitate la cucina tradizionale e buttatevi sulla cucina improvvisata. Non chiamatela creativa, quella è ancora un’altra cosa.
Articolo di Martino Ragusa