Sono molti i motivi per cui alcuni cibi, prodotti e preparazioni si perdono nel corso del tempo. Spesso, semplicemente, ci si dimentica come si fa. Cambiano le abitudini, le persone si spostano e le ricette non si preparano più. Anche il riscaldamento globale sta trasformando la cucina e accelerando la progressiva “estinzione” di alcuni cibi: cioccolato, caffè, vino sono solo alcuni esempi di colture che, nei prossimi anni, potrebbero trovarsi in difficoltà.
Come salvare queste produzioni e proteggere un patrimonio collettivo di grande ricchezza? A Serra de’ Conti, nelle terre del Verdicchio tra il mare e l’Appennino marchigiano, esiste una cooperativa che si occupa proprio di preservare quei prodotti della tradizione marchigiana che altrimenti sparirebbero. Si chiama La Bona Usanza e abbiamo intervistato uno dei soci, Marco, per scoprire come si tutelano nella pratica.
La Bona Usanza, una cooperativa agricola con le Marche nel cuore
Quella delle Marche è una regione ricca di una cultura gastronomica che purtroppo è poco conosciuta nel resto d’Italia. E proprio nella zona dove viene prodotta un’eccellenza, il Verdicchio, ha trovato casa la cooperativa agricola La Bona Usanza. Ci troviamo a Serra de’ Conti, un paesino di poco meno di 4000 abitanti in provincia di Ancona, luogo forse noto ad alcuni per la Festa della cicerchia.
Non tutti sanno, però, che questa leguminosa era quasi perduta fino agli anni Novanta. Oggi è tornata a essere un prodotto richiesto in tutta Italia e all’estero, anche grazie al lavoro dei soci de La Bona Usanza. “Torniamo indietro a metà degli anni Novanta” ci racconta Marco, “eravamo un gruppo di appassionati e cultori della gastronomia, soci della prima ora di Slow Food. Ispirati proprio da alcuni incontri con Carlo Petrini, presidente di Slow Food, abbiamo voluto fondare una realtà con l’obiettivo di recuperare prodotti della tradizione enogastronomica contadina marchigiana che erano a rischio di estinzione.”
Nasce così, nel 1996, prima come associazione e poi come cooperativa, La Bona Usanza, diventata nel corso degli anni un punto di riferimento proprio per l’attività di ricerca e recupero di quanto era andato quasi perduto.
Cicerchia, da legume dimenticato a eccellenza
Il primo prodotto su cui i soci de La Bona Usanza hanno lavorato è stato la cicerchia. Marco spiega che si tratta di una leguminosa molto antica di origine mediorientale portata nel Mediterraneo agli antichi Greci e Romani. “Per secoli è stata la base della cucina contadina di queste zone, ma poi con l’abbandono delle campagne a favore delle città tra gli anni Cinquanta e Sessanta è sparita. La madre di uno dei soci fondatori la seminava nel suo orto e da lì siamo partiti, anno dopo anno, per far crescere la produzione fino ad oggi.”
Il salto di qualità è avvenuto quando la cicerchia è diventata Presidio Slow Food, un riconoscimento che l’ha fatta conoscere a livello nazionale e internazionale trasformandola, di fatto, da un prodotto povero a un ingrediente gourmet, apprezzato anche nella ristorazione.
“Per noi è il simbolo della nostra attività perché lega la ricerca storica, il recupero di una tradizione contadina e la qualità organolettica del prodotto”, sintetizza Marco. La cicerchia è, oggi, anche un fattore di promozione del territorio. Ogni anno migliaia di persone partecipano alla Festa della cicerchia durante la quale, associazioni e ristoranti, inventano menù con piatti a base di questo legume.
Con questo legume, La Bona Usanza prepara anche farine, panificati, snack e altri prodotti trasformati che permettono di consumarla, conoscerla e apprezzarla in tante forme differenti.
[elementor-template id='142071']Lonzino di fico, sapa, agresto e gli altri prodotti “salvati”
Il successo del recupero della cicerchia ha incoraggiato i soci della cooperativa agricola a rivolgere la loro attenzione anche ad altri prodotti della tradizione contadina marchigiana. Vere e proprie sfide per tutelare quelli che La Bona Usanza chiama “i sapori della memoria”.
Uno di questi è il lonzino di fico, anch’esso oggi Presidio Slow Food.
“Si tratta di un dolce preparato proprio come se fosse un salame: fichi secchi, mandorle e frutta secca, semi d’anice e un liquore locale, avvolto nelle foglie di fico, messo sottovuoto e commercializzato”, racconta il socio de La Bona Usanza.
“Esistono testimonianze sul lonzino di fico che risalgono ad un testo di Columella nel I Secolo dopo Cristo. Nel testo si legge come gli antichi Romani utilizzassero questa ‘ricetta’ per conservare i fichi per l’inverno”. Per secoli, poi, questa tecnica si è tramandata in via orale, di generazione in generazione, fino al rischio dell’oblio.
Altre sfide raccolte dalla cooperativa riguardano la sapa, ovvero il mosto cotto che veniva usato anticamente come dolcificante per i dolci tradizionali; l’agresto, un prodotto simile all’aceto balsamico di origine rinascimentale; il fagiolo solfino, piccolo e delicato, raccolto solamente a mano; il granoturco quarantino o anche il cece nostrano. Tutti prodotti dei quali si era ormai quasi perso il ricordo del gusto, ma che sono le basi dell’economia contadina di un tempo.
Recuperare i sapori della memoria attraverso l’educazione alimentare
Secondo La Bona Usanza, dunque, la memoria si costruisce e si tutela anche attraverso il gusto. “Traduciamo la ricerca nel recupero di un prodotto che torna così nelle case delle persone, marchigiane e non solo”, sintetizza Marco.
La filosofia di questa cooperativa, inoltre, unisce la produzione all’educazione alimentare. “Incoraggiamo le persone a riflettere sulla cultura del cibo. In ogni prodotto che proponiamo c’è un legame con la storia alimentare delle Marche. Si tratta di alimenti sani e salutari, senza additivi, che vogliamo distribuire in piccoli negozi, gastronomie specializzate ed enoteche, con cui instauriamo una relazione che si consolida nel tempo in virtù di trasparenza e amicizia. Secondo noi prediligere prodotti che raccontano la storia di un territorio è un atto di sostenibilità.”
Guardando al futuro, La Bona Usanza punta su nuove sfide e nuovi cibi in via di estinzione da salvare. Anche insieme all’Università di Ancona, con la quale ha sviluppato un progetto per lo studio della consociazione, ovvero una tecnica agronomica di coltura simultanea di cicerchia e altri cereali antichi. “I risultati sono già interessanti” conclude Marco, “e per noi è importante che la difesa dei prodotti tradizionali diventi anche sviluppo di soluzioni innovative.”
Conoscevate già questi prodotti?