L’olio italiano finirà in primavera, questo è il grido d’allarme degli olivicoltori italiani messi in difficoltà dalle gelate della scorsa primavera e dalla Xylella che, soprattutto in Puglia, continua a fare danni. E le prospettive non sono rosee. Tra gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura italiana ed europea, vi è anche una notevole riduzione della raccolta di olive che potrebbe portare, come sta succedendo ora, a una crescita dei prezzi. In futuro ci troveremo con sempre meno olio d’oliva italiano ad un costo sempre più alto?
L’olio d’oliva italiano finirà: l’allarme delle associazioni
Il drastico crollo della produzione di olio d’oliva italiano non è una sorpresa. L’aveva anticipato Coldiretti nell’ottobre del 2018, ipotizzando una diminuzione della produzione del 38% rispetto al 2017, segnalando situazioni particolarmente gravi e problematiche nelle Regioni del Centro e del Sud Italia. I dati ufficiali, presentati da ISMEA nel mese di gennaio, restituiscono un quadro anche peggiore: il calo è stato del 57% rispetto al 2017. Sono state prodotte soltanto 185 mila tonnellate di olio d’oliva in tutta Italia. Il calo è stato pari al 65% della produzione totale, in Puglia, l’area più colpita. Ma il bilancio è negativo anche in Calabria e in Campania, mentre le regioni settentrionali hanno risentito meno del calo.
In una nota del 14 febbraio, Slow Food ribadisce la complessità della situazione. Commentando l’annata precedente già si immaginava un calo progressivo della produzione, accompagnata, però, da una certa soddisfazione per la qualità delle proposte. Quest’anno, invece, senza mezzi termini, si parla di un vero e proprio disastro: secondo i dati a disposizione dell’associazione, infatti, a partire dal mese di aprile, l’Italia dipenderà solo dalle importazioni per poter soddisfare la domanda di olio. Detto in altre parole, finita la primavera, finirà anche il prodotto italiano.
Le ragioni sono differenti e frutto di una combinazione di fattori non sempre prevedibili. La scorsa primavera, per esempio, ci sono stati picchi di freddo e gelate che hanno danneggiato le gemme, mentre la battaglia contro l’avanzamento della Xylella fastidiosa, batterio che mette in crisi la produzione pugliese ormai da anni, è ben lontana dall’essere vinta. Si tratta di eventi straordinari ma che, soprattutto per quanto riguarda il clima, saranno sempre più frequenti.
Meno quantità, prezzi più alti
Sono molte le conseguenze di questo crollo della produzione. In primo luogo, il prezzo dell’olio italiano è cresciuto per il consumatore finale: secondo le stime di Slow Food, i puri costi di realizzazione non consentirebbero di vendere un litro di prodotto a meno di 8€, mentre sugli scaffali dei supermercati sono molte le proposte a prezzi inferiori. La Commissione Europea ha registrato, per esempio, un aumento del 31,6% del prezzo dell’olio tra il mese di gennaio 2018 e gennaio 2019.
La questione è solo parzialmente quella della qualità degli altri prodotti, quanto il calo di competitività di quelli che sono al 100% italiani. Coldiretti ha stimato che, per l’intero settore, la perdita economica ha già superato 1 miliardo di Euro.
“Non è l’origine straniera a rappresentare un male a priori, sia ben chiaro”, sottolinea ancora Slow Food. “Non è un problema legato a ragioni nazionaliste e di chiusura nei confronti dell’altro, bensì a un ragionamento legato alla tracciabilità, alla qualità e alla sostenibilità ambientale, economica e sociale.” L’inquinamento causato dal trasporto degli alimenti di fatto contribuisce al deterioramento del pianeta. Basti pensare che un quinto delle emissioni di gas serra sono proprio imputabili al settore alimentare, come evidenziato dalla campagna “Food for Change”. Il paradosso è che se il settore della produzione di olio aumenta il suo impatto ambientale, potrebbe diventare lui stesso un fautore del suo declino.
Quali prospettive per il futuro?
Le prospettive per il futuro, infatti, non sono rosee. Il crollo della produzione di quest’anno, infatti, è determinato proprio dalle condizioni climatiche avverse e, dal momento che poco è stato fatto a livello statale a supporto degli olivicoltori da questo punto di vista, è difficile immaginare un’inversione di rotta. Lo sottolinea al Guardian il professor Riccardo Valentini, direttore del Centro Euro-Mediterraneo per il cambiamento climatico: “Tre o quattro giorni di temperature superiori ai 40°C in estate, oppure 10 giorni senza pioggia in primavera o anche solo due giorni di gelata durante la bella stagione sono più importanti della media delle temperature dell’intero anno.”
Sono gli eventi estremi, resi più frequenti dal climate change, a fare la differenza. La prospettiva è, dunque, quella di un continuo calo della produzione d’olio in Italia e non soltanto. È l’intero bacino del Mediterraneo a essere colpito da questo trend: la Commissione Europea stima che il calo di produzione dell’olio sarà del 20% in Portogallo e del 42% in Grecia.
Difficile anche per gli esperti individuare una soluzione. Sempre al Guardian, il professor Valentini ha raccontato come alcune aziende del Sud Italia sono passate a una coltivazione molto intensiva. Una scelta che potrebbe rafforzare le piante e renderle più resistenti alla siccità, mitigando l’impatto del cambiamento climatico, ma a un prezzo piuttosto alto: la perdita del patrimonio storico e culturale dell’olivicoltura nonché della biodiversità.
“Cambierà il paesaggio rurale da cui spariranno i vecchi ulivi e dove troveremo piantagioni intensive – commenta il direttore del Centro Euro-Mediterraneo per il cambiamento climatico – Non mi piace, ma capisco che è un modo di adattarsi alle circostanze.”
Il rischio è che si inneschi un circolo vizioso per cui le soluzioni siano solo temporanee e diventi sempre più complicato invertire la rotta sul medio e lungo periodo. Anche attraverso proteste come quella dei “gillet arancioni”, i produttori chiamano in causa il governo, a cui viene richiesto di intervenire a sostegno e a tutela degli olivicoltori con politiche che possano essere anche sostenibili. Utopia? Nel frattempo quel che è certo è che, entro il mese di aprile, l’olio italiano sarà finito, almeno per quest’anno.