La filiera corta conquista l’Europa: ecco come aprire un “Alveare che dice sì!”

L'alveare che dice sì

L’ultima frontiera della filiera corta

È appena sbarcata in Italia, ma già se ne parla in tutta la penisola. Cos’hanno in comune un bar di Torino, un cortile di Napoli e un centro dentistico milanese? Sembra un po’ l’inizio di una barzelletta e invece no, il filo conduttore è che tutti e tre ospitano un Alveare (niente a che vedere con le api). L’Alveare che dice Si! è un progetto rivoluzionario di filiera corta nato tre anni fa a Parigi e sviluppatosi rapidamente in tutta Europa, da un anno in Italia.

L’Alveare che dice Si! si fonda sull’economia partecipativa, la famosa sharing economy: chiunque, privato, azienda o associazione può aprire il proprio Alveare. Nessun permesso speciale, basta avere passione per il cibo e un po’ di buona volontà.

“È’ un pò l’Airbnb della filiera corta – ci spiega Eugenio Sapora che ha portato il movimento in Italia – ed ha l’ambizione di svilupparla in modo capillare nel tessuto sociale del nostro paese. Le persone che ci chiedono di aprire un Alveare sono mosse in primis dalla volontà di sostenere il buon cibo e i produttori italiani, ma c’è anche un piccolo compenso per remunerare i loro sforzi”.

 

Ma come nasce un Alveare?

Orti sociali

Il processo di creazione di un Alveare è molto semplice. La persona che decide di aprire e diventare gestore va sul sito www.alvearechedicesi.it e con il sostegno dell’Alveare che dice Si! si impegna a cercare:

  •   Produttori nel raggio massimo di 200 km (frutta, verdura, carne, formaggi, uova, etc)
  •   Consumatori, iniziando dalla cerchia delle proprie conoscenze (parenti, amici, colleghi)
  •   Luogo per le distribuzioni qualunque esso sia: ufficio, oratorio, bar, garage solo per dirne alcuni

Non appena l’Alveare conta un numero sufficiente di fornitori e membri l’avventura comincia. Ogni settimana i produttori vendono i loro prodotti online, direttamente ai clienti finali. La distribuzione dei prodotti avviene nel luogo scelto per ospitare l’Alveare, nella fascia oraria e nel giorno stabilito.

“Una sorta di comunità d’acquisto 2.0. insomma, continua Eugenio, che azzera la filiera alimentare mettendo faccia a faccia i produttori del territorio con chi vuole mangiare sano ad un prezzo giusto”.

 

La parola alle Api Regine

Alveare che dice si comunità

Francesco, 27 anni, impiegato di un bar nel vecchio quartiere industriale Mirafiori a Torino,  ha aperto il primo Alveare italiano qualche mese fa. Così, un’ora a settimana i tavolini si dispongono a ferro di cavallo e il Bar Città si trasforma come per magia in un micro mercato momentaneo: “la prima volta che l’ho visto ero felice ed emozionato, avevo nel mio locale sei produttori della regione e diverse persone del quartiere che venivano qui a ritirare la loro spesa”.

Stessa emozione che si legge negli occhi di Vincenzo, 47 anni, collaboratore in informatica presso il centro dentistico ADEC di Milano: “abbiamo sposato subito il progetto che, oltre a rilfettere i nostri valori sull’etica e la qualità dell’alimentazione, offre ai nostri clienti, dipendenti e vicini di quartiere un ottimo servizio. Tutti i sabato mattina dalle 11 alle 12, ospitiamo i produttori lombardi e le loro eccellenze, dallo zafferano della Brianza ai biscotti artigianali del pavese e al riso integrale del parco sud”.

 

L’Alveare siamo tutti

Alveare sharing economy

Ma l’Alveare che dice Si! è anche Helga, bresciana di 28 anni, che ha deciso di aprirne uno nella cooperativa di inserimento lavorativo per cui lavora. E Paola, insegnante trentacinquenne, che ha aperto a Napoli il primo Alveare del sud Italia. E Rita, Marco, Stefania, Michele, Valentina; l’Alveare è Susanna, allevatrice di maiali allo stato brado, Paolo, produttore piemontese di zafferano, Aniello, simpatico produttore partenopeo di mozzarelle.

Tanti volti, tante persone, tante realtà, tutte motivate dalla voglia di cambiare, dalla passione per il cibo, dai valori di etica e solidarietà, dalla sete di socialità. Perché un Alveare è in primis una comunità di consumatori e produttori, che si riuniscono settimanalmente per la consegna dei prodotti.

Insomma, con più di 2000 api-cliente e una ventina di api-regine, questo progetto sta incuriosendo sempre più persone. Riusciranno i nostri eroi a diventare una valida alternativa alla grande distribuzione? I presupposti ci sono, le persone motivate anche.

E voi, perché non aprite il vostro Alveare?

 

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