Giornale del cibo

Con James Ostrer, il junk food diventa arte

Il settore del food è in continua evoluzione: rivisitazioni moderne di ricette tradizionali, rielaborazioni creative di piatti stranieri, continue sperimentazioni di accostamenti, tecniche e cotture, nuovi modi concettuali e artistici, a volte estremamente ricercati, minimal o appariscenti, di presentazione dei piatti.
Quella che però resta, purtroppo, una certezza costante è questa: il junk food (o cibo spazzatura), nonostante tutto, non passa mai di moda.

Non importa quanto possiamo essere appassionati e devoti alla cucina ricercata e salutista: resta tutt’oggi irresistibile e drammaticamente diffusa l’attrazione per tutti quegli alimenti golosi, artificiali, spesso quasi privi di sostanze nutritive ma ricchi di grassi saturi, coloranti e ogni possibile varietà di aroma e conservante.

Lo sa bene il fotografo e artista James Ostrer, che ha tentato un folle e creativo esperimento. Come afferma lui stesso, ho deciso di cospargermi tutto di grasso junk food nella speranza che questo possa indurmi a respingerlo una volta per tutte.

James Ostrer ritratti

In realtà dietro al progetto del giovane fotografo inglese c’è molto di più: il lavoro gli è stato infatti commissionato dalla londinese National Portrait Gallery e l’obiettivo principale delle immagini è quello di evidenziare le drammatiche conseguenze di una corrotta globalizzazione e commercializzazione del mercato del cibo. Ostrer, in sostanza, denuncia la produzione di massa, gli sregolati consumi alimentari, i metodi di produzione di cibo, le sostanze chimiche, nocive e sintetiche utilizzate dalle industrie alimentari.

Le foto sono volutamente estreme, quasi sgradevoli, atte a voler indurre a una riflessione su tutto questo, a voler forse far associare allo spettatore il junk food a qualcosa di sgradevole, che ci abbrutisce e imbruttisce, tanto esteriormente quanto interiormente.

Le immagini raccontano lo scontro costante tra le preoccupazioni salutistiche e lo smodato consumo di junk food del Ventesimo e Ventunesimo secolo, e fanno uso di molti elementi allegorici, come il Ketchup che scorre come lacrime sulle guance glassate, o le bocche di Kit Kat che abbaiano con smorfie minacciose.

Gli strati di cibo spazzatura si sovrappongono formando maschere inquietanti, lo specchio esteriore delle quantità di zucchero e sostanze chimiche che ingurgitiamo e che scorrono attraverso i nostri corpi.

Il messaggio è chiaro: siamo quello che mangiamo. Ma vederlo rappresentato in foto come quelle di James Ostrer di certo non può lasciare indifferenti.

Fonte immagine: northcountrypublicradio.org

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