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5 Cose da sapere se Invitate a Cena un padovano

Padovani gran dottori, dice il detto, ma anche gran buongustai. La cena a casa di amici è un rito al quale il padovano non rinuncia mai, sia che si tratti di invitare che di essere invitato, e le ricette tipiche della cucina di un tempo non mancano di certo. Molte provengono dalla tradizione comune veneta, ma i padovani hanno le loro varianti alle quali sono molto affezionati, e sapranno raccontarti del profumo della polenta preparata dalla nonna nel “caliero” (paiolo di rame) sul vecchio fornello a legna o di quando sgusciavano i piselli freschi da bambini per poi consegnarli alla pentola per il risotto…

Ma ecco subito una cosa da non fare: non confondete mai il comune risotto con i “risi e bisi”, altrimenti il padovano capisce subito che siete “foresti”. Da bellunese foresta, residente nella città del Santo da un po’ di anni, provo a darvi qualche consiglio, se mai vi capitasse di invitare a cena un padovano.

Invitare a Cena un padovano: 5 cose da non fare

I risi e bisi

Prima di tutto non osate mai e poi mai usare i ‘bisi’ (piselli) surgelati o, peggio ancora, quelli in scatola. Per fare i veri ’risi e bisi’ bisogna aspettare la stagione giusta e procurarsi i piselli freschi e teneri racchiusi ancora nel loro baccello verdissimo, magari approfittando delle prime giornate calde di maggio per fare un giro al mercato ortofrutticolo delle Piazze. Al plurale, sì, perché a Padova la piazza non è mai da sola, sono sempre tre, vicine vicine: dei Frutti, delle Erbe e dei Signori.

risi e bisi

E non dimenticate il riso: il Vialone nano andrà benissimo per un risotto più asciutto, mentre per la variante più fluida (‘all’onda’), qualcuno suggerisce un originario da minestra. Ma il vero segreto dei ‘risi e bisi’ sono i baccelli, che andranno lessati e passati per ottenere un denso brodo di cottura. Dunque: soffritto di cipolle e pancetta (una volta si usava lo strutto, adesso a volte neanche la pancetta), piselli a metà cottura, un po’ di prezzemolo e poi una noce di burro e del grana grattugiato per finire. Le quantità? Meglio non lesinare con l’ingrediente principe, per onorare il proverbio “ogni riso un biso”.

Spriss e bacalà

Dal momento che siete passati al mercato delle Piazze per comprare le primizie, non vi saranno sfuggiti i “Saloni”, i due sottoportici gemelli di Palazzo della Ragione che offrono un tripudio di carni, pesci, formaggi e ogni altro ben di dio. Chiedete in giro: tutti sapranno indicarvi la piccola bottega dove comprare una vaschetta del migliore baccalà mantecato della zona, da spalmare sui crostini per l’antipasto. Non ha nulla da invidiare a quello veneziano, anzi non nominatelo nemmeno quello della Serenissima, ‘ché le due città non sono sempre state proprio ‘buseta e botòn’ (asola e bottone) nel corso dei secoli. E se anche adesso i rapporti sono buoni, qualche rivalità salta sempre fuori.

Ad esempio, non credete a chi vi dice che lo spritz l’hanno inventato in Piazza San Marco. I padovani sosterranno con fermezza che loro lo “spriss” lo bevono da sempre, anche se poi vi saranno molto grati se all’ora dell’aperitivo gli offrirete, piuttosto, un calice di prosecco “de quel bon”.

Bigoi, folpi e bisati

Ma visto che si avvicina l’inverno, invece di aspettare la stagione dei piselli freschi potete optare per un altro buon primo piatto della tradizione: i bigoi (bigoli, grossi spaghetti) o ‘i gnochi de patate’ in salsa di pomodoro o, ancor meglio, al ragù di lepre o d’anatra. Un secondo di carne sarà sempre gradito; le puntine (costine) di maiale arrostite o un piatto di lesso misto, con una fetta di “museto”, il cotechino, non mancano quasi mai nelle cene tipiche (e nelle sagre) padovane. Se invece preferite il pesce, con i “folpi” bolliti (i polipi o, meglio, i moscardini, con una unica fila di ventose sui tentacoli) andate sul sicuro, meglio se conditi in modo semplice con olio, limone e prezzemolo. In alternativa, il ‘bisato (anguilla) ai feri’ o in umido andrà più che bene. Quasi dimenticavo: la polenta – morbida o a fette passate alla piastra, meglio se bianca come una volta -, quella non può proprio mancare.

La cara vecchia gallina padovana

Un piccolo accenno alla famosa gallina padovana è d’obbligo: dai fianchi larghi e il caratteristico ciuffo di piume, una volta si mangiava lessa o ripiena al forno. Non molto tempo fa ha rischiato l’estinzione tanto che è stata posta sotto tutela. In alcuni ristoranti e cucine tradizionali viene ancora oggi preparata in “canevera” (canna), ovvero avvolta con del ripieno in una vescica di maiale chiusa con un pezzo di canna. L’immersione in acqua bollente con le spezie (ginepro, pepe, cannella, alloro,…) e il vapore tenuto a giusta pressione dagli sbuffi che fuoriescono dalla canna conferiscono alla carne una cottura uniforme e un gusto molto particolare.

Do ciacole e via!

Qualche ultima raccomandazione: non siate ‘sparagnini’, i padovani sono generosi e amano l’abbondanza, ma soprattutto non cercate mai di “magnarghe i risi in testa” (sentirvi superiori), potrebbero prenderla molto, molto male. Ma, alla fine, la serata è assicurata: se magna, se beve, do ciacoe e via! Tutti a casa, ma solo dopo “el resentin”, ovvero la grappa che pulisce l’ultima traccia di caffè dalla tazzina; il bicchiere della staffa, insomma.

La cena padovana è servita, ma se fra i commensali ci fosse, inaspettato, anche un genovese o un napoletano o un bolognese sapreste cosa fare e, soprattutto, cosa non fare mai?

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