Non puoi dire di aver affrontato una mangiata come si deve se non sei mai stato a Crotone. Checché se ne dica, un pranzo o una cena con un crotonese, rappresentano l’esame di stato di qualsiasi buongustaio. Superare un pasto crotonese con lo stomaco illeso, infatti, è un traguardo al quale aspirano in molti, ma è anche un obiettivo che si raggiunge dopo almeno due o tre mesi di tirocinio presso una nonna locale, la cosiddetta “nonna verace”, quella che per merenda dà ai suoi nipoti pane, olio e pomodoro, la stessa che al posto dei soldi ti regala panini, che al posto delle merendine ti prepara il crostino cu a’ Sardella piccant conzata ccù ogghju e cipoll i’Tropeia (con Sardella piccante, olio e cipolla di Tropea), la stessa nonna per cui, anche se pesi 80 chili e hai 12 anni, rimarrai sempre una bambina sciupatella.
A Crotone mangiare non è solo un’azione quotidiana dettata dal bisogno fisico di ingerire del cibo o una cosa da fare in maniera fugace e frettolosa. A Crotone mangiare è un rito fatto di condivisione, gusto e sfide con sé stessi. Ne consegue che invitare a cena un crotonese è un atto di coraggio puro e impegnativo, una sfida che si combatte a colpi di forchetta. Ecco dunque cosa considerare per non arrivare impreparati.
Invitare a cena in Crotonese: 5 cose da sapere
1. Non arrivare a cena digiuni
Mai mangiare a stomaco vuoto.
Lo dice mia zia e oltre ad essere la base della nostra filosofia di vita, è anche una frase che racchiude tutto il senso del nostro essere. Il Calabrese ama mangiare seriamente anche se si tratta di spuntini. L’esempio più noto è la mamma calabrese che, quando si va a fare una gita fuori porta, prepara oltre al pranzo anche i panini con la frittata, da consumare rigorosamente durante il tragitto.
Se invitate a cena un crotonese dunque, sappiate intrattenerlo già dall’anti-antipasto. Se volete farlo contento offritegli delle vrasciole fritte prima del pasto o crostini con qualsiasi sott’olio vi venga in mente, ve ne sarà grato.
2. U spizzuliari!
Sostenere una cena con un crotonese significa ritirarsi nel digiuno più totale sul monte Sinai almeno 6 giorni prima del fatidico evento e sperare che egli abbia previsto almeno una pietanza a base di verdure.
Il calabrese infatti non spizzulìa (mangiucchia), mangia seriamente. Il presupposto di base, la convinzione con la quale nasciamo, è che il cibo sia condivisione, fratellanza, ritualità, cultura. Mangiare è adempiere ad un bisogno naturale, ma più propriamente è l’unica attività che la nonna vorrebbe che tu facessi. Mangiare significa mangiare tutto, non far rimanere nulla nel piatto né sulla tavola in generale. Se la nonna prepara 3 chili di polpette, 3 chili di polpette dovranno essere mangiate. Se ne rimane qualcuna la nonna ti guarderà con l’aria di chi sta vedendo un bambino affamato e sciupato che non ha mangiato molto e ti dirà “E mò c’ha lassatu? A mala crianza?”, ascrivibile al più noto “Mangia che se no è peccato”.
3. Non mettere il pane in tavola
Al Sud il pane è più buono, non ce n’è.
A Crotone quello che va per la maggiore è il pane di Cutro, paese noto per la superlativa bontà dei farinacei qui prodotti, da qui il grande tasso di forni e pizzerie sparse in tutto il paese. Si sa che il pane tipico, per forma e consistenza, non è mai casuale: a Ferrara hanno le crocette per le zuppe, in Toscana è insipido perché mangiano saporito, in Calabria il pane ha la corchia dura, scura e croccante e la mollica è tamarra e non la sbricioli neanche a pagare. Il nostro pane è così perché, fra sughetti e olio, siamo gli specialisti della scarpetta, ma anche perché per fare le melanzane ripiene c’è bisogno di un pane di una certa consistenza. La qualità migliore del pane di Cutro? Dopo una settimana a vidir cchì purpetti ca nesciano (vedi che polpette buone usciranno)!
4. Non sfidare un calabrese sul piccante
Iniziare a mangiare il piccante è un’attività naturale che fa parte della crescita di noi calabresi, è come imparare a leggere o a scrivere, infatti a noi bambini calabresi ci hanno svezzato intorno ai 6 anni, con la Sardella piccante fatta in casa. Riguardo ai peperoncini, c’è poco da raccontare, il mito è noto: puoi aver mangiato il piccante in Messico, Argentina, Honduras, Brasile, India, dove ti pare. Non è niente in confronto al nostro. La differenza sostanziale che esiste fra un Jalapeño e nu pipareddrhu vruscente calabrese (un peperoncino piccante calabrese) è che il primo ti esplode in bocca e ti brucia lo stomaco ma dopo mezz’ora è tutto finito. U pipareddhru calabrisi… si fa ricordari (il peperoncino calabrese… Si fa ricordare).
5. Non chiamarla “anduja”!
Adoriamo chi si impegna a capire e pronunciare correttamente i nomi dei prodotti tipici. Si dice ‘nduja non anduja, il capicollo in italiano non rende: se dici u’capiccoddrhu da più l’idea del salume, grasso saporito e montanaro. Noi crotonesi cerchiamo di mantenere le origini e non italianizziamo mai i nomi dei piatti, ci piacerebbe che anche gli altri lo facessero. Se avete già dimestichezza col tedesco o l’alfabeto cirillico, il calabrese vi sembrerà facilissimo.
Ecco un prontuario di espressioni che possono far comodo a tavola con un crotonese:
- Passam’ nu par i’vrasciole (Mi appropinqueresti due polpette di carne fritte?)
- Va’ conza a Sardeddrha (Prepara la Sardella)
- Adduv’è u muddrhagghiu? (Dove si trova il tappo di sughero?)
- Sti pip’e’patati ‘mphocanu (Questi peperoni fritti con patate sono molto piccanti)
- D’estati ti manci u’zipangulu, d’invernu i partuall (D’estate mangi l’anguria, d’inverno le arance).
Non è difficile, basta impegnarsi. Speriamo che questo piccolo vademecum vi aiuti a passare una bellissima cena con i vostri amici crotonesi, in ogni caso a pasto finito, ricordate di preparare loro due panini per il viaggio di ritorno a casa. Non si sa mai che gli venga un languorino.