Oggi la pausa pranzo non è più solo un momento per nutrirsi. Infatti, anche grazie all’offerta della ristorazione aziendale, è sinonimo e strumento di socialità, conciliazione vita lavoro, salute, sostenibilità, miglioramento delle performance lavorative, alleata per diffondere la cultura del cibo. Questo è quanto emerso in occasione dell’evento “Nutrire il benessere: il valore della ristorazione aziendale”, promosso da CIRFOOD e tenutosi al CIRFOOD DISTRICT di Reggio Emilia, nel corso del quale hanno preso parte imprenditori e studiosi, come Antonio Calabrò – Presidente di Museimpresa e della Fondazione Assolombarda – ed Enzo Risso – Direttore Scientifico di IPSOS -, che hanno offerto uno sguardo approfondito sulle evoluzioni e le nuove necessità legate alla pausa pranzo nei luoghi di lavoro.

Durante l’incontro è stata presentata la ricerca “Pausa pranzo: abitudini e necessità di chi lavora” condotta da IPSOS per l’Osservatorio CIRFOOD DISTRICT, che ci racconta come stanno cambiando abitudini e aspettative di lavoratrici e lavoratori. Ne parliamo con il prof. Enzo Risso – direttore scientifico di Ipsos – e docente all’Università La Sapienza di Roma e all’Università Statale di Milano.
Il lavoro ci allontana da noi stessi?
Uno dei dati più significativi dell’indagine – che ha coinvolto lavoratrici e lavoratori dipendenti e autonomi, dai 25 ai 35 anni, distribuiti lungo tutto il territorio italiano – riguarda il rapporto con il proprio lavoro. Circa un terzo delle persone coinvolte percepisce la propria occupazione come fonte di stress o malessere.

Prof. Risso, nella vostra ricerca parlate di “dissonanza occupazionale”: quanto questa condizione influisce sulla percezione del valore della pausa pranzo?
Enzo Risso: “La dissonanza occupazionale è una dimensione complessa di distanza tra il sé autentico delle persone, le loro aspirazioni, quello che vogliono essere e il lavoro che svolgono. La pausa pranzo in mensa aziendale può essere uno degli ingredienti che contribuisce a migliorare la qualità dell’ambiente di lavoro, le relazioni interne, a rasserenare il clima e a rendere il posto di lavoro meno freddo e distante”.
A questo si somma una condizione trasversale, che riguarda quasi tutti i lavoratori e le lavoratrici: la cronica mancanza di tempo, o cronopenìa. Un malessere sottile, che si riflette anche nel modo in cui viviamo la pausa pranzo. Per molti, infatti, rappresenta una delle poche occasioni reali per prendersi cura di sé, anche attraverso il cibo.
Scelte alimentari tra benessere, etica e gusto
Se guardiamo alle scelte alimentari, spiccano due grandi categorie: chi è guidato dall’attenzione alla sostenibilità e all’etica (67%) e chi è attento a salute e benessere (62%), prediligendo alimenti con pochi grassi, senza zuccheri aggiunti e a basso contenuto di sodio.
Ma non manca la voglia di sperimentare: quasi sei persone su dieci dichiarano di cercare gusto ed esperienze culinarie nuove, senza rinunciare alla tradizione e all’identità, che restano valori importanti per il 46% degli intervistati.

Vegano, bio e gluten free sono passati di moda?
Dopo anni di costante crescita, dall’indagine Ipsos per l’Osservatorio CIRFOOD DISTRICT emerge un rallentamento dell’interesse verso alcune tendenze degli anni passati, come il veganismo, il gluten free e il biologico.
Dal suo punto di osservazione, si tratta di un cambiamento legato a dinamiche economiche, come la riduzione del potere d’acquisto per cui i dati mostrano una continua ricerca del risparmio, oppure di un superamento di mode alimentari?
E.R.: “Ci sono certamente più aspetti che confluiscono. Il tema del prezzo e la propensione al risparmio livella una parte della spinta verso questo genere di prodotti, allontanando i consumatori che si erano avvicinati per solo fattore di moda, per provare o per sentirsi particolari e diversi. Oltre a questo, c’è anche un po’ di stanchezza. Si tratta di prodotti che si sono provati e che non sono entrati nel cuore e nel gusto dei consumatori, che oggi si orientano verso nuove sperimentazioni e nuovi lidi”.
La mensa che tutti vorrebbero
Il dato sull’apprezzamento della ristorazione aziendale è molto significativo: il 58% delle persone intervistate che non dispongono di un ristorante aziendale afferma di desiderarlo. E questa percentuale sale al 67% tra gli under 35.
Perché tanti lavoratori e lavoratrici la vedono come una leva di benessere?
E.R.: “La mensa aziendale diviene un fattore di benessere sul posto di lavoro per una molteplicità di fattori, emozionali, pratici, salutari e relazionali. È un momento in cui ci si sente parte di una comunità, in cui si prende atto e visione del fatto che si dentro un universo con molte persone che condividono la tua stessa esperienza. È un momento orizzontale, specie in quelle mense in cui i capi pranzano con i dipendenti e non in salette Vip. Offre una maggiore qualità della relazione col cibo, certamente più appagante della corsa a mangiare un panino o un tramezzino e del delivery in ufficio. Offre una diversità, la possibilità di scegliere e fa sentire il lavoratore e la lavoratrice importante per l’azienda, avverte che l’impresa si sta prendendo cura del proprio dipendente e non lo lascia in balia del bar di turno. È un momento di vera pausa, in cui ci si può distrarre. Questo dipende molto dall’ambiente e dalla qualità del servizio. Un ambiente che deve essere accogliente, rilassante, piacevole, luminoso, oltre che pulito. Mangiare con più calma, cambiare menù ogni giorno, poi, sono fattori che fanno bene alla salute, facilitano la digestione, consentono di mantenere sotto controllo la propria dieta e il proprio stile alimentare. Infine, è un fattore di abbattimento dei costi e dello stress. Si fanno le cose con calma al prezzo giusto”.
La ristorazione collettiva, in questo contesto, viene vista come un servizio che può migliorare concretamente la qualità della vita lavorativa: è comoda, accessibile, permette di mangiare bene e in modo equilibrato, offre tempo in più da dedicare a sé, ma anche risparmio, un altro fattore fondamentale per i lavoratori e le lavoratrici italiani. I requisiti che non possono mancare in riferimento al servizio di ristorazione aziendale ideale? Ambiente confortevole, possibilità di personalizzazione, sia dei menu, sia degli orari del pasto o della sua fruizione, sicurezza alimentare e alta qualità dei prodotti, variazione e rotazione del menu e esperienza del servizio, come la possibilità di self-service o la presenza di erogatori per il free beverage.
Una nuova mappa delle relazioni con il cibo

La ricerca “Nutrire il benessere” sulle abitudini e le necessità di lavoratrici e lavoratori in pausa pranzo, ha naturalmente preso in esame anche il rapporto delle persone con il pasto e il nutrimento, indagando significati, motivazioni e aspetti culturali che tracciano, sostanzialmente, una nuova mappa delle relazioni con il cibo.
Possiamo parlare di un’evoluzione culturale in atto?
E.R.: “La mappa racconta i diversi modi di vivere il cibo da parte dei lavoratori. Abbiamo il 24% che ha un atteggiamento verso il cibo caratterizzato dal rifiuto del paradigma alimentare dominante caratterizzato da una crescente attenzione alla salute, all’estetica e alla gastronomia raffinata. Sono quelli della tavola dell’indifferenza metropolitana, mossi da motivazioni e modalità diverse.
Il raggruppamento maggiore è rappresentato dalle lavoratrici e dai lavoratori dell’arcipelago del gusto consapevole (35%). Hanno la propensione a coltivare se stessi come opere d’arte viventi, integrando pratiche alimentari e corporee in un’estetica dell’esistenza che richiama il concetto foucaultiano di cura di sé.
Un terzo raggruppamento è quello delle persone che hanno un rapporto accurato col cibo: quelli del giardino dell’armonia vitale (30%). Il loro è un approccio che potremmo definire «ecologia del sé». Questo gruppo si caratterizza per una visione che integra la cura personale con la responsabilità ambientale e sociale, sfumando i confini tra il benessere individuale e quello collettivo-planetario.
Infine, abbiamo le persone che fanno parte del palcoscenico dell’effimero corporeo (11%). Sono caratterizzati dal «culto dell’immagine corporea». Al centro del loro modo di relazionarsi col cibo c’è una radicale oggettivazione del corpo, trasformato in un artefatto da modellare, esibire e brandizzare secondo canoni estetici rigidi e spesso irraggiungibili.
Questi quattro ambiti, più che di evoluzione culturale, raccontano, o meglio fotografano, le diverse dinamiche in atto nella relazione col cibo, portando alla luce le diverse spinte al gusto, alla salute, all’immagine di sé e all’urban life (veloce e poca attenta alla qualità del cibo)”.
I giovani e le scelte alimentari

Una parte dell’indagine Ipsos è stata dedicata agli studenti universitari, per dare uno sguardo alle tendenze del futuro che già si stanno delineando.
E.R.: “Emerge in primo luogo la transizione verso scelte più consapevoli: gli studenti si stanno spostando da una relazione con il cibo basata sul gusto e sulla convenienza, verso una maggiore attenzione alla salute, alla sostenibilità e all’etica, in particolare per ciò che riguarda la sostenibilità del packaging, la produzione locale e il benessere animale, che diventeranno priorità, influenzando le scelte alimentari future. Nelle nuove generazioni sembra esserci un declino delle diete di nicchia: le diete specifiche (vegane, gluten-free) potrebbero perdere appeal, mentre temi più ampi come la sostenibilità e la salute generale guadagneranno terreno. L’integrazione di tradizione e innovazione trova tra i giovani un terreno fertile: il “Made in Italy” e il rispetto delle tradizioni rimarranno rilevanti, ma si integreranno con nuove tendenze come la sperimentazione e la sostenibilità. Gli studenti stanno evolvendo verso una relazione con il cibo più consapevole, bilanciando gusto, salute, sostenibilità ed etica. Le tendenze indicano un maggiore impegno verso scelte alimentari responsabili e una riduzione dell’importanza di fattori puramente economici o di nicchia. Certo, tra i giovani, la spinta verso l’urban life è forte, ma è più spesso un fattore di abitudine, di facilità, che di vero apprezzamento”.
Prof. Risso, in conclusione, quali aspetti della rilevazione vi hanno più colpito? C’è qualcosa che vi ha sorpreso?
E.R.: “Sicuramente il dato più significativo della ricerca (e quello che mi ha colpito maggiormente) è quel 58% di persone che lavorano che auspica l’introduzione della mensa aziendale nella propria impresa. È un dato enorme, tradotto in numeri concreti sono più o meno 14 milioni di persone. Dato ancor più significativo è che tra gli under 35 la quota sale al 67%. Sono dati che mostrano quanto nel mondo del lavoro, in questi anni, sia peggiorata la relazione tra occupazione e benessere delle persone. Quanto le imprese, con buoni pasto e altro, abbiano delegato ad altri la qualità della pausa pranzo dei propri dipendenti, trasformandola da un momento di rigenerazione, a un momento di straniamento, di corsa, di veloce consumo del minimo necessario al sostentamento. Altro che convivialità del lavoro! Altro che senso di comunità e comunanza tra le persone! Direi che l’aspetto più significativo della ricerca è dato proprio dall’emergere di questo bisogno di ristorazione aziendale, della ricerca da parte delle persone di riconnettere il lavoro con forme di benessere, di percezione di cura dell’impresa verso i suoi dipendenti, di valore dei singoli come persone e non come numeri. È un tassello di quel riavvicinamento a una cultura e senso del lavoro che rimette al centro le persone, il senso di comunità, la qualità esistenziale nelle ore che si trascorrono in azienda”.
Questo ci dice che il futuro della ristorazione aziendale – e in generale del modo in cui lavoratrici e lavoratori mangiano in pausa pranzo – dovrà tenere conto di valori profondi e condivisi. Il cibo, anche durante una pausa, è un atto quotidiano che parla di noi e influisce sul nostro benessere.
Vuoi approfondire la ricerca Ipsos su lavoratrici e lavoratori? La trovi sul sito dell’Osservatorio CIRFOOD DISTRICT.
Immagine in evidenza di: CIRFOOD
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