Le alternative allo sfruttamento dei braccianti in agricoltura esistono. Ne abbiamo parlato spesso, raccontandovi di esperienze virtuose, come quelle dell’associazione No Cap che ha lanciato la prima filiera etica in Puglia, Basilicata e Sicilia e distribuisce ormai i prodotti in tutta Italia anche in virtù della collaborazione con Good Land. Ma esistono anche realtà più piccole che promuovono un modello di lavoro agricolo sostenibile per l’ambiente e rispettoso dei diritti dei lavoratori, spesso in territori complessi, come SfruttaZero o SOS Rosarno. Tutte queste esperienze, insieme e spesso in dialogo, contribuiscono a costruire un’alternativa concreta al caporalato ed evidenziano nuove strade di integrazione. In questa direzione, anche il progetto “IN CAMPO! Senza caporale”, che ha permesso a 15 braccianti che prima vivevano negli insediamenti informali di uscire dai “ghetti”, svolgere un periodo di formazione nel settore agricolo in Puglia e trovare oggi un lavoro in condizioni di legalità e rispetto dei loro diritti. Ne abbiamo parlato con Giulia Anita Bari, project manager di Terra!, Onlus e coordinatrice del progetto.
IN CAMPO! Senza caporale: come è nato e come funziona il progetto
Ci troviamo a Cerignola, in provincia di Foggia, un territorio a forte vocazione agricola dove vengono coltivati alcuni prodotti tipici del Made in Italy: olive, pomodori, uva. Il lavoro nei campi richiede manodopera, spesso stagionale ma non soltanto, che è in parte di origine straniera. Secondo le stime di INTERSOS, ong che opera nel foggiano dal 2018 con due unità mobili che forniscono assistenza sanitaria ai braccianti, soltanto nella provincia di Foggia sono circa 6.000 le persone che vivono in quelli che vengono chiamati “ghetti”, insediamenti informali dove spesso non c’è acqua corrente o energia elettrica.
“Il nostro progetto” ci racconta Giulia, “nasce dalla necessità di rispondere, anche in maniera piccola e artigianale ma molto mirata, alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici che si trovano in condizioni di grande vulnerabilità.” IN CAMPO! Senza caporale si pone l’obiettivo di permettere a un gruppo di braccianti migranti di trovare una soluzione abitativa dignitosa, svolgere un periodo di formazione e lavoro in alcune aziende agricole selezionate della zona e costruire così l’inizio di un percorso di autonomia e integrazione.
Un progetto ambizioso avviato nel 2019 quando sono stati ben 10 i ragazzi provenienti da Togo, Burkina Faso e Senegal (richiedenti asilo o già titolari di un permesso di soggiorno) a essersi prima trasferiti in una casa – “trovata con grande difficoltà” – e poi ad aver lavorato, grazie a una borsa di tirocinio in cinque aziende biologiche pugliesi. Il percorso ha previsto anche una fase di formazione, curata da Pio, uno dei primi agricoltori biologici della zona, calibrata sulle esigenze delle aziende agricole.
“L’altro aspetto che ci ha stimolati a realizzare il progetto” aggiunge ancora la project manager, “è la necessità delle aziende di assumere operai sempre più specializzati. Non soltanto persone in grado di raccogliere i pomodori, ma anche di capire il funzionamento del sistema agricolo, di conoscere le piante, le fasi della potatura e tutto ciò che serve per seguire un campo.”
La formazione (bio) si fa in campo
Come dicevamo, l’anno scorso il progetto ha coinvolto 10 ragazzi, mentre nel 2020 il numero è calato a 5 per via dell’emergenza Covid-19 e di un calo dei fondi a disposizione dell’associazione. In entrambi i casi, i braccianti sono stati seguiti da Pio. Giulia ci racconta che il tipo di formazione proposta ha una forte vocazione pratica: “volevamo un percorso che fornisse strumenti reali, da applicare alle aziende del territorio e, contemporaneamente, abbiamo lavorato sull’acquisizione di un linguaggio tecnico che ciascuno dei partecipanti potesse poi spendere anche in occasione di colloqui di lavoro dopo la fine del tirocinio, come effettivamente è successo.”
Due ragazzi formati dal programma, infatti, sono stati assunti quest’anno da un’azienda che si occupa di trasformazione del pomodoro, sempre nella zona di Cerignola. “Non come semplici operai” ci racconta Giulia, “ma come assistenti degli agronomi perché i titolari dell’azienda si sono resi conto che avevano determinate competenze approfondite e utili.”
La scelta, infine, di collaborare con realtà che si occupano di agricoltura biologica (Az. Ag. Aquamela bio, Az. scalera, Az. Mimmo Russo, Coop sociale Pietra di Scarto e la Coop. sociale AlterEco) è stata naturale per associazione Terra! che si occupa dalla sua fondazione nel 2008 di progetti e campagne sui temi dell’ambiente e dell’agricoltura ecologica. “Crediamo che sia importante innescare un circolo virtuoso che metta in rete anche le aziende, puntando sul lavoro di squadra in un territorio dove la cooperazione è rara” aggiunge la project manager.
Obiettivi e risultati del progetto: innescare un cambiamento che si autoalimenti
IN CAMPO! Senza caporale concluderà alla fine dell’anno la seconda edizione e l’intenzione è quella di rinnovare l’impegno anche per il 2021. Nel frattempo, Giulia ci racconta che i primi frutti sono già stati colti sia dal punto di vista professionale sia da quello umano. “Lo scorso anno” ci racconta ancora la project manager, “ragazzi e aziende avevano anche realizzato un prodotto trasformato, una crema di broccoli e cime di rapa chiamata Assay. È stato un momento importante e formativo che vorremmo riprendere in futuro.”
Tutti i ragazzi del primo gruppo hanno trovato un lavoro in campo agricolo: chi come assistente, come dicevamo, chi nelle stesse aziende dove ha svolto il tirocinio, altri si sono spostati in altre zone d’Italia trovando sempre impiego regolare nel campo agroalimentare. “L’aspetto che più ci ha colpito è stato il fatto che è stato il primo gruppo a segnalarci i nomi dei ragazzi da togliere dal ghetto quest’anno: si sono organizzati per restare nella casa e si è creato, a Cerignola, un gruppo che cresce senza disgregarsi realizzando un percorso sul territorio.”
L’intenzione di Terra! è proprio di valorizzare questo passaggio di consegne naturale e questo desiderio di condivisione portando avanti un progetto che apre delle prospettive alle persone, togliendo manodopera al caporalato e allo sfruttamento. “Non è semplice avviare e continuare il progetto” conclude Giulia, “perché sono territori complessi, ma anche estremamente fertili e ricettivi, nel momento in cui si riesce a individuare le persone chiave che, nella comunità, possono fungere da motore. Immaginiamo che questi esperimenti fatti per piccoli gruppi seguiti con attenzione, possano essere d’esempio perché funzionano e hanno un impatto sui beneficiari, sulle aziende, nonché sui territori.”