Giornale del cibo

Quali sono le conseguenze ambientali della coltivazione dell’avocado?

 

 

 

Negli ultimi anni anche in Italia è avocado-mania. Complice il nome esotico e il sapore delizioso, questo frutto è arrivato sulle nostre tavole e, soprattutto, nei menù dei ristoranti, per cui ormai un brunch domenicale non è tale senza un avocado toast, sia nella versione veg che abbinato al salmone. Il successo di questo alimento nasconde, però, ombre non indifferenti. Infatti, la grande quantità d’acqua richiesta per la sua coltivazione e la domanda  europea, costante e in crescita, sta mettendo seriamente in difficoltà le aree agricole dei paesi di coltivazione, prevalentemente il Sudamerica. Qual è, dunque, il l’impatto ambientale dell’avocado ed esiste un modo per consumarlo in maniera sostenibile?

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Impatto ambientale dell’avocado: quali conseguenze?  

Quando un alimento appartenente alla tradizione diventa di moda, accade spesso che questo successo restituisca valore al territorio d’origine solo in un primo momento. L’aumento della richiesta e le pressioni del mercato spesso finiscono per comportare, da un lato, l’abbandono del consumo di quel cibo da parte delle popolazioni che lo coltivano, dall’altro uno spostamento dell’equilibrio delle aree di coltivazione. Questo fenomeno, che rientra in un interessante discorso di gentrificazione del cibo, si è verificato anche per l’avocado.

La situazione in Messico, uno dei principali paesi produttori e soprattutto esportatori di avocado, è stato fotografata già nel 2012 da un rapporto dell’Instituto Nacional de Investigaciones Forestales, Agricolas y Pecuarias. In dieci anni (2001-2010), la produzione è triplicata, le esportazioni decuplicate e moltissimi terreni dedicati a più tipi di coltivazione differenti sono stati trasformati in monocolture. Inoltre, in tutta l’America Centrale e Meridionale, l’aumento di domanda di avocado dall’estero ha fatto sì che anche molte terre vergini e foreste fossero trasformate in piantagioni: la perdita, sempre secondo i dati aggiornati al 2012, è stimata in circa 690 ettari all’anno.

Episodi di deforestazione o di conversione di terreni alla coltivazione di avocado si riscontrano anche in Perù e Cile, gli altri due Paesi da dove arrivano la maggior parte dei prodotti fino in Europa. E proprio la questione del trasporto a più di 10.000 km non è meno rilevante dal punto di vista ambientale. Tutti i mezzi impiegati per portare 14.000 tonnellate (Eurostat, 2016) di avocado in Italia all’anno consumano petrolio e contribuiscono a inquintanamento e effetto serra. Senza considerare il fatto che il Cile ha speso, tra il 2010 e il 2016, ben 92 miliardi di pesos, corrispondenti a 122 milioni di euro, per acquistare camion deputati al trasporto di acqua nelle regioni dove si coltiva avocado. L’inchiesta del centro Ciper introduce una seconda questione cruciale a proposito della sostenibilità di questo superfood: il consumo d’acqua.

coltivazione avocado
Protasov AN/shutterstock.com

272 litri d’acqua per 2 o 3 avocado

Secondo quanto calcolato dall’Università di Twente nei Paesi Bassi, la produzione di avocado ha un costo idrico molto elevato. Stimano, infatti, che 500 grammi di frutta richiederebbero 272 litri d’acqua. Consideriamo che una mela di 100 grammi ha bisogno di 70 litri d’acqua, la lattuga 20, mentre i “pesi massimi” del consumo d’acqua per la produzione restano le carni, soprattutto quella bovina che per un kg di prodotto ha bisogno di 13.500 litri d’acqua in media.

Il problema non si limita semplicemente alla quantità di acqua necessaria per produrre avocado a sufficienza per soddisfare le richieste, ma diventa più rilevante perché l’aumento di terreno dedicato alla monocoltura lo sottopone ad un maggiore stress idrico rispetto ad una coltivazione varia.

“Sono anni che le piantagioni di avocado si impossessano dell’acqua che dovrebbe essere di tutti” racconta alla giornalista Alice Facchini che ha firmato un reportage dal Cile pubblicato su Internazionale, un abitante della provincia di Petorca. In questa zona molto arida, spesso manca l’acqua per le persone che si ammalano, ma per coltivare il superfood c’è sempre. Ai cittadini resta quella portata con i camion dello Stato: 50 litri pro capite al giorno, talvolta di bassa qualità.

Le grandi aziende hanno ottenuto l’uso perpetuo e gratuito dell’acqua in virtù del codice dell’acqua cileno, approvato nel 1981 durante il regime di Pinochet che prevede una totale privatizzazione dell’acqua che è, di conseguenza, diventato un bene che può “appartenere” a chi la acquista, come ogni bene di mercato. Nonostante ciò, sono 65 i drenaggi illegali individuati grazie ad un’indagine satellitare commissionata dal Ministero de Obras Publicas nel maggio 2011, ma la situazione non è risolta e sono diverse le battaglie legali ancora in corso per tutelare i diritti dei cittadini.

L’impatto ambientale dell’avocado, quindi, a causa di una coltivazione intensiva e sregolata, sta impoverendo drammaticamente e in maniera costante il territorio. Non condiziona soltanto l’ambiente, ma anche la vita umana della provincia. Secondo quanto dichiarano gli attivisti, infatti, ormai si sopravvive solo producendo questo frutto, tutte le altre attività produttive sono ridotte all’osso e sempre più persone, soprattutto giovani, lasciano da terra, ormai consumata.

Irina Sokolovskaya/shuttertock.com

Esistono alternative più sostenibili?

Inquinamento, deterioramento dell’ambiente, consumo d’acqua, ma anche uso di fertilizzanti non sempre adeguati agli standard europei e conflitti sociali di vario tipo: è questo ciò che non si vede quando in Europa viene acquistato un avocado. Tuttavia esistono delle alternative sostenibili sia dal punto di vista ambientale che umano, oltre ad alcuni consigli utili per scegliere prodotti che non impattino così tanto sulla vita di chi produce sia per quanto riguarda l’avocado in particolare che gli altri cibi che compongono una spesa sostenibile.

Primo aspetto da considerare è la stagionalità: la raccolta dell’avocado comincia a ottobre per le varietà Zutano, Fuerte e Bacon e prosegue con la Hass (quella oggi più diffusa) da gennaio fino ad aprile, al massimo fino al mese di maggio. Questi sono i periodi in cui è possibile acquistare e consumare avocado fresco, durante il resto dell’anno è molto probabile che il prodotto che troviamo nel supermercato non sia effettivamente sostenibile.

La coltivazione di avocado in Sicilia

Anche la provenienza del frutto può aiutarci a scegliere un alimento che ha meno impatto sull’ambiente. Infatti, non esistono ragioni per cui l’avocado non possa essere coltivato lontano dal Sudamerica: ne sono testimonianza i 10.000 ettari di terreni ad esso dedicati in Spagna e i 260 ettari in Sicilia. In questa Regione si è scelto di investire in un prodotto biologico, di qualità e sostenibile.

Si è partiti, infatti, da terreni abbandonati o esausti, bonificati e convertiti a questo tipo di produzione. In particolare, alcune aree come il versante orientale dell’Etna, il messinese e il siracusano, quelle dove si coltivano i limoni, si sono rivelate particolarmente adatte. Gli alberi, poi, vengono piantati a circa 7 metri gli uni dagli altri per consentire loro di svilupparsi e ridurre la necessità di pesticidi e altri interventi chimici. I produttori siciliani sostengono che, in queste condizioni, la scelta di una produzione biologica è perfettamente calzante.

La qualità e la sostenibilità della produzione siciliana dell’avocado ha conquistato, tra gli altri, anche un gruppo di 12 Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) francesi e belgi che, nel 2017, hanno stipulato un programma di coproduzione decennale con il consorzio “Le galline felici”. I consumatori francofoni hanno raccolto 66mila euro per finanziare la produzione di avocado sulle pendici dell’Etna in cinque aziende locali. Ci si aspetta che questo investimento possa valere fino a 400mila euro e generare tra i 3 e i 5 nuovi posti di lavoro locali.

Senza demonizzare l’avocado sudamericano, che sia messicano, cileno, peruviano o colombiano, esiste però una relazione tra il cibo che mangiamo e la salute del pianeta, come avevamo visto intervistando Serena Milano di Slow Food per la campagna “Food for Change”. A maggior ragione alla luce della previsione quanto mai fosca della Conferenza ONU sulla biodiversità che, lo scorso novembre, ha richiamato l’attenzione sull’importanza della tutela di questo aspetto poiché, come sottolinea il WWF nel suo Living Planet Report 2018, ad un calo repentino di biodiversità potrebbe seguire un indebolimento concreto delle specie animali e anche una, possibile, estinzione. Imparare a riconoscere le alternative etiche e sostenibili è, dunque, un’azione quotidiana con implicazione globali.

Conoscevate, dunque, l’impatto ambientale della produzione e del consumo di avocado?

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