Il Sale Del Lac Rose, Senegal

di Filippo Mennuni. Quando ero bambino mia madre portava noi figli al mare a Margherita di Savoia, sulla costa pugliese delle provincia di Foggia, a pochi chilometri dal Gargano. Ci sono delle splendide saline. Allora, trent’anni fa, i raccoglitori lavoravano a mano con pala e picozza per rompere la crosta che si formava negli stagni dopo l’evaporazione dell’acqua di mare. La sera, prima di rientrare a casa dei nonni che ci ospitavano per le vacanze estive, aspettavamo il momento dell’inversione di marea per vedere l’acqua infiltrarsi tra i canali e inondare nuovamente le saline. Ho sempre conservato un’immagine poetica e allo stesso tempo dura di questi uomini costretti sotto il sole a lavorare il minerale bianco che si accumulava in colline costruite a forza di braccia. E quando, la sera a casa, mia nonna mi permetteva di salare l’acqua della pasta, lo facevo con parsimonia, rispettoso della fatica di quegli uomini silenziosi. Poi gli anni sono passati e tutto si è meccanizzato. La raccolta del sale è ormai fatta da macchine sofisticate. Quasi non si vedono più operai nelle saline. Quelle della mia infanzia sono state per lo più abbandonate o sono tornate ad essere una della più grandi aree umide delle Puglie e ormai vivono una seconda vita come Parco Faunistico. Ne ho viste altre: a Trapani, a Cagliari, a Oristano, in Spagna. Tutte chiuse o sfruttate da macchine immense. E avevo quasi dimenticato la verità del lavoro fatto a mano. Finchè, lo scorso mese di marzo, durante un viaggio in Senegal, non sono stato a visitare le Saline del Lac Rose. A nord di Dakar, lungo la costa dell’Oceano Atlantico, esistono delle zone paludose separate dal mare da una linea di dune di sabbia bianca. Una delle più famose è quella chiamata ‘Le Lac Rose’, ossia il Lago Rosa. Il nome dipende dal fatto che nelle ore centrali del giorno il calore del sole fa avvenire una reazione nelle alghe presenti nell’acqua che diventano di una tonalità rosata, da cui il nome. Le acque contengono una alta percentuale di sale e infatti da tempi lontanissimi si è sempre estratto per esportarlo all’interno dell’Africa, con lunghe carovane di dromedari che partivano verso est per raggiungere il Mali, la Mauritania e il sud dell’Algeria. L’amico che ci ha accompagnato, Motu (che è una abbreviazione di Mohammed), è un senegalese che lavora per una cooperativa di artigiani che producono oggetti di artigianato in legno africano. E’ orgoglioso del lavoro dei suoi compatrioti. La tradizione dei raccoglitori di sale senegalesi è famosa in tutta l’Africa occidentale. Tuttora il sale del Lac Rose è sfruttato per questo scopo, ma il trasporto avviene con camion 4×4 che si addentrano nella brousse (la savana) raggiungendo le città lontane dalla costa. I raccoglitori di sale cospargono il corpo con il burro di Karitè, che noi conosciamo per usi cosmetici. In Senegal viene venduto in pani grandi come una grossa televisione alle bancarelle dei mercati. Questo burro salvaguarda la pelle dei raccoglitori che passano immersi nell’acqua salmastra da 8 a 10 ore al giorno. Con una pertica spaccano la crosta salina depositata sul letto del lago e raccolgono i pezzi in piccole barche a fondo piatto. Poi, a terra, alcuni altri lavoratori lo riducono in pezzi sempre più piccoli e lo puliscono. Alla fine è un bel sale bianco pronto ad essere insaccato con l’aggiunta di iodio spruzzato con una pompa tipo quella che i nostri contadini usavano per spargere il verderame sulle vigne. Motu ci accompagna nel suo villaggio fatto di capanne di paglia. Ci presenta al capo villaggio che sta sempre seduto su una sedia e ha diritto ad avere un ombrellone che lo ripara dal sole. Ha quattro mogli e la sua sola occupazione è ricevere gli ospiti e dirimere le dispute. Tutti gli altri possono averne al massimo tre e comunque si siedono per terra, quando sono al suo cospetto. Ogni moglie ha una capanna e vive con i suoi figli, che però apartengono a tutto il villaggio. Le tradizioni sono importanti per gli africani. La famiglia è il nucleo centrale della società e vive in un villaggio di altre famiglie dello stesso clan. La ricchezza della singola famiglia è evidente dal numero di capre e altre bestie che questa possiede. Motu fa parte di una famiglia importante del villaggio e quindi può permettersi di invitarci a cena. Pollo e verdure. Il tutto speziato e salato con il sale del Lago. La cucina senegalese è semplice, ma molto buona: pesce, pollo, riso, verdure. Un po’ di frutta, ma non tanta come si potrebbe pensare. Hanno anche della carne di vacca, ma per noi europei è impossibile pensare di mangiarla. La appendono all’aperto per ore e si riempie di mosche in tal quantità che sembra nera. Da bere ci servono tre the: uno dolce come l’amore, uno soave come l’amicizia e il terzo amaro come la morte. Passiamo una giornata intera con i nostri amici. Ogni tanto passano dei turisti, quasi tutti francesi. Vengono qui per un motivo particolare. Il Lac Rose è anche conosciuto come l’arrivo dell’ultima tappa desertica della Parigi-Dakar e sede dell’ultimo percorso a cronometro. Ho percorso gli ultimi chilometri su un camion dell’esercito senegalese e devo dire che è davvero emozionante. Il tramonto è suggestivo. Dopo avere attraversato un chilometro di alte dune di sabbia si arriva sulla lunghissima spiaggia della Costa Nord del Senegal, quella esposta all’aliseo portoghese. Godendo i colori del ‘coucher de soleil’ ho rivissuto con la memoria le giornate in cui, con Adriatica, esattamente due anni prima, scendevamo da Capo Verde verso sud, proprio in queste acque, per poi deviare a Ovest verso le Antille. Era la ‘Rotta Rossa’. Filippo Mennuni Comandante di Adriatica

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