I taglieri di plastica sono presenti in tutte le cucine, da quelle professionali agli spazi domestici. Su questi utensili così diffusi, però, pesavano dubbi di salubrità rispetto ai materiali con i quali sono realizzati, soggetti al deterioramento e alla dispersione di residui nei cibi. Una ricerca americana ha confermato questa ipotesi, mettendo in guardia rispetto all’utilizzo, in particolare quando diventa più intenso e prolungato. Ma i taglieri di plastica fanno male? Ecco cos’è emerso e quali materiali possono sostituire questi supporti essenziali per poter usare i coltelli in cucina.
I taglieri di plastica possono rilasciare residui nocivi

Chi non ha in casa almeno un tagliere di plastica? Il materiale con il quale sono costruiti, il polipropilene (PP) e il polietilene (PE), finora erano stati preferiti rispetto al legno o all’acciaio per ragioni di praticità, peso ridotto e facilità di lavaggio, ma anche per i costi contenuti e per la superficie ottimale che offriva alle lame e alle punte, evitando il rischio di rovinarle.
Negli ultimi anni l’attenzione su questo tipo di contaminazione è cresciuta notevolmente e anche i taglieri sono finiti sotto la lente d’ingrandimento sollevando interrogativi in merito alla sicurezza alimentare. Secondo una ricerca realizzata dall’American Chemical Society (ACS) e pubblicata su Environmental Science & Technology, però, questi utensili possono esporre all’ingestione di quantità non trascurabili di microplastiche. I coltelli, inevitabilmente, scavano solchi e fessure sulla superficie, rilasciando residui negli alimenti, specialmente quando si taglia facendo pressione, si trita o si utilizzano lame seghettate, come quelle per il pane. Le scanalature che si creano nel tempo favoriscono ulteriormente questo deterioramento.
Seguendo i calcoli dello studio americano, l’uso abituale dei taglieri di plastica può causare ogni anno l’ingestione di un numero tra i 14,5 e i 71,9 milioni di frammenti microplastiche di polietilene e fino a 79,4 milioni di polipropilene. Si tratterebbe di un’esposizione annua pro capite di 7,4-50,7 grammi di microplastiche da un tagliere in polietilene e di 49,5 grammi da un tagliere in polipropilene.
Sono dati allarmanti secondo i ricercatori: una grande quantità di minuscoli frammenti che una volta ingeriti non sempre vengono espulsi, e attraverso il sistema digerente possono accumularsi nell’organismo. Per quanto fino ad oggi si sa, le microplastiche hanno effetti negativi sulla salute umana, quali infiammazioni e interferenze con il sistema endocrino. E come abbiamo visto nei nostri approfondimenti le troviamo già presenti in frutta e verdura, nell’acqua e nell’ambiente in genere.
Dal legno alla plastica, e ritorno
Almeno fino agli anni Settanta, era il legno il materiale d’eccellenza per taglieri, piani di lavoro e utensili. L’uso di polipropilene e polietilene in cucina ha cominciato a diffondersi allora e poi negli anni Ottanta, soprattutto in ambito industriale e professionale, e quindi in mense, ristoranti e cucine industriali, fino ad arrivare gradualmente anche nelle case. Le ragioni sono semplici: igiene, resistenza e bassi costi di produzione.
Il polietilene, più morbido, si usa di più per taglieri spessi e resistenti, mentre il polipropilene, più rigido, sopporta meglio il calore e si impiega per gli strumenti con superfici più sottili (spatole, mestoli e contenitori).
A partire dagli anni Novanta e in seguito con il Regolamento CE 852/2004, si è imposto in tutta l’Unione europea l’obbligo di adottare sistemi HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points), che prevedono la prevenzione del rischio microbiologico. Pur non vietando esplicitamente il legno, il documento impone che tutti i materiali a contatto con alimenti siano:
- facili da pulire e disinfettare;
- non assorbenti;
- resistenti alla corrosione e all’usura.
La normativa sopra citata, quindi, ha favorito la diffusione dei taglieri di plastica ma, in anni più recenti, il legno – specialmente di bambù, faggio, acero e ulivo – sta tornando nelle cucine, proprio per scongiurare i rischi associati alle microplastiche. Come vedremo, però, questo materiale naturale non è in assoluto il più sicuro.
Le alternative ai taglieri di plastica
Considerando quanto emerso, quali sono i materiali più sicuri per i taglieri da cucina? Marmo, acciaio inox e vetro temperato sono alternative igieniche e durevoli, che non assorbono odori, sono facili da pulire e resistono discretamente ai graffi. Il punto critico, però, è la durezza di queste superfici, che per forza di cose usura molto più rapidamente le lame rispetto ai materiali plastici sopra citati.
E il legno? I ricercatori dell’American Chemical Society evidenziano che anche questo materiale naturale disperde fibre e frammenti – spesso più del PP e del PE, seppure senza gli effetti negativi delle plastiche – oltre ad assorbire facilmente umidità, muffe e detersivi. Da preferire, inoltre, le essenze non trattate con impregnanti o vernici e le produzioni da fonti naturali gestite responsabilmente.
Tra quelle più idonee alla costruzione dei taglieri c’è sicuramente il bambù, resistente, leggero, biodegradabile e dal basso impatto ambientale, essendo una pianta che cresce rapidamente. In ogni caso i taglieri di legno devono essere mantenuti ben puliti e vanno asciugati con cura, per evitare le proliferazioni batteriche e il permanere dell’umidità. Dopo il lavaggio, vanno riposti in luoghi asciutti, al riparo dalla polvere e dal calore.
Un uso più attento può limitare i rischi
Al di là del materiale scelto, la cura del tagliere è fondamentale e una volta usurato l’oggetto deve essere sostituito. Le modalità di utilizzo, inoltre, aiutano a prolungare la vita di questi strumenti e a diminuire la dispersione di residui. La forza impressa nel tagliare, la frequenza d’uso e alcuni accorgimenti da mettere in atto faranno la differenza: evitare i tagli di punta, l’utilizzo con alimenti bollenti e gli sforzi inutili sulle lame, prima di tutto.
Oltre ai taglieri, però, non dobbiamo dimenticare che nelle cucine sono diverse le possibili fonti di contaminazioni nocive: pensiamo ad esempio alle padelle antiaderenti usurate, alle buste e alle confezioni di plastica, alle spugne consumate, ai panni in microfibra e alle spazzole. Come abbiamo visto, in cucina servono tante attenzioni per proteggere gli alimenti e di conseguenza la nostra salute. La riduzione dell’esposizione alle microplastiche dipende dalla scelta e dall’uso degli utensili, da impiegare nel modo più consono e responsabile.
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