Il glutammato monosodico è uno degli additivi più presenti nei cibi industriali, tipicamente utilizzato come insaporitore e come ingrediente fondamentale dei dadi da brodo. Sulla salubrità di questa sostanza, però, i dubbi non sono pochi. Ci siamo già occupati della presenza negli alimenti e della nocività dei solfiti, dei nitriti e degli aromi. Questa volta, valutando le ricerche, cercheremo di capire se il glutammato fa male, partendo dalla definizione di questa sostanza e dalla sua diffusione nei prodotti dell’industria alimentare.
Glutammato monosodico: cos’è?
Prima di capire se il glutammato fa male, è bene definire la sostanza in questione, considerando in quali alimenti e in che dosi è riscontrabile. Il glutammato monosodico è il sale di sodio dell’acido glutammico, un componente delle proteine con il quale non va confuso. Questa sostanza è naturalmente presente in una vasta gamma di alimenti, nelle carni e nei formaggi stagionati ma anche in molti vegetali, fra questi soprattutto i pomodori, i funghi, le alghe commestibili e i legumi.
Dove e perché viene utilizzato
Nell’industria alimentare, il glutammato è impiegato da decenni in forma sintetica, come esaltatore di sapidità utile ed economico per rendere appetibili i prodotti conservati. A temperatura ambiente, si presenta come una polvere bianca e fine. I dadi da brodo – sia tradizionali che vegetali – sono l’esempio più tipico dell’utilizzo di questo insaporitore, anche se le preparazioni che lo contengono sono moltissime. Come la lettura delle etichette dei prodotti può confermare, il glutammato è presente nei salumi, nei prodotti pronti surgelati o liofilizzati, nei sughi e nelle salse. Nei dadi da brodo, in genere, è il secondo ingrediente per quantità dopo il sale.
Come riconoscerlo
Oltre al glutammato monosodico, con lo stesso scopo vengono impiegate sostanze simili sia dal punto di vista chimico che per l’azione svolta. Le diciture che le identificano sono tante, ecco gli appellativi più diffusi sulle etichette:
- Glutammato monopotassico
- Acido glutammico
- Proteine idrogenate
- Caseinati di calcio e di sodio
- Glicina
Il glutammato e i suoi “parenti” si celano dietro queste sigle:
- E620 = acido glutammico
- E621 = glutammato monosodico, MSG
- E622 = glutammato monopotassico
- E623 = diglutammato di calcio
- E624 = glutammato d’ammonio
- E625 = diglutammato di magnesio
- E626 = acido guanilico
- E627 = guanilato di sodio o di disodio
- E628 = guanilato di dipotassio
- E629 = guanilato di calcio
- E640 = glicina e sale sodico della glicina
Oltre ai glutammati, anche gli inositati sono utilizzati come insaporitori, seppur non altrettanto diffusamente. Le sigle chimiche che li identificano vanno da E630 a E640. La più diffusa fra queste sostanze è la glicina (E640).
Sapore umami e industrializzazione
Il glutammato monosodico venne estratto per la prima volta nel 1908 all’Università di Tokyo, quando il chimico Kikunae Ikeda lo ricavò dall’alga marina kombu. Le potenzialità e la destinazione d’uso della nuova sostanza non tardarono ad essere riconosciute. La sapidità del glutammato venne definita umami, termine giapponese che significa “saporito” e identifica il cosiddetto “quinto sapore” di origine proteica, ormai riconosciuto anche nel mondo occidentale. Negli anni Venti la produzione del glutammato venne industrializzata, anche in seguito all’evoluzione dei metodi estrattivi. In Occidente si iniziò a ricavarlo con sintesi chimica, partendo da colture di lievito fermentate su melassa di barbabietola. A partire dagli anni Trenta l’uso di questo insaporitore si diffuse sempre più nell’industria alimentare. Oggi sono le cucine orientali a impiegare maggiormente il glutammato monosodico e le sostanze ad esso collegate.
Il glutammato fa male?
La presunta nocività del glutammato è controversa e dibattuta da anni, più di quanto accade per i casi analoghi che riguardano gli altri additivi alimentari. Bisogna subito precisare che eminenti organi di sicurezza alimentare – quali l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’European Food Information Council – non considerano questa sostanza particolarmente dannosa. Secondo le principali autorità internazionali, quindi, il glutammato non fa male, almeno in relazione alle dosi impiegate nei cibi industriali. A partire dagli anni Cinquanta, però, il glutammato monosodico è stato oggetto di critiche e studi, a causa di reazioni negative conseguenti alla sua ingestione. Ora tratteremo singolarmente questi aspetti controversi, a partire da quelli più gravi, per capire quanto c’è di vero nell’affermare che il glutammato fa male. Prima, però, va considerato il principale aspetto critico legato all’uso alimentare della sostanza sintetica.
L’additivo sintetico
Come si accennava, il glutammato monosodico è presente in natura in molti alimenti. Tuttavia, secondo alcune ipotesi, la sostanza utilizzata per insaporire, ottenuta per sintesi chimica, non verrebbe metabolizzata come la corrispettiva naturale. Il glutammato di sintesi, introdotto negli alimenti come amminoacido libero, sarebbe assorbito molto più rapidamente dall’organismo. Questo aspetto potrebbe rappresentare la causa di alcuni degli effetti collaterali dovuti al consumo della sostanza, anche se su questa valutazione non ci sono conferme ufficiali.
Il glutammato fa male al cervello?
Il glutammato svolge un ruolo importante nel metabolismo dei neuroni e un’alterazione dei suoi livelli può essere nociva. Sono state condotte varie ricerche sull’eventuale neurotossicità del glutammato, specialmente in relazione all’eccessivo passaggio della sostanza dal sangue al cervello. Gli studi non hanno evidenziato rischi considerevoli, anche se si attendono ulteriori approfondimenti. Sono stati esclusi anche gli eventuali legami fra consumo di glutammato e insorgenza di patologie neurodegenerative. A scopo precauzionale, tuttavia, gli individui colpiti da queste malattie dovrebbero evitare i cibi nei quali la sostanza è più presente. Sono state ipotizzate connessioni fra il consumo di glutammato e altri problemi che coinvolgono la salute cerebrale, come i disturbi di comportamento e apprendimento e la depressione. Ad ogni modo, si tratta di correlazioni non ancora dimostrate.
Il glutammato fa male al feto?
Le ricerche hanno dimostrato che anche in presenza di alte concentrazioni di glutammato nel sangue materno, la sostanza non riesce ad attraversare la placenta. Si esclude, quindi, un’influenza negativa sullo sviluppo del nascituro.
La sindrome del ristorante cinese
Con questo nome suggestivo è stata identificata una particolare condizione che colpirebbe gli individui più sensibili al glutammato, insaporitore molto diffuso nella cucina orientale. I sintomi comprenderebbero mal di testa, sudorazione, arrossamenti, eruzioni cutanee e crisi d’asma. Le ricerche – su tutte un’approfondita revisione pubblicata sul Journal of the American Association of Nurse Practitioners nel 2006 – hanno però smentito l’azione del glutammato nel manifestarsi di questi disturbi, anche se le cause effettive della cosiddetta sindrome del ristorante cinese non sono ancora chiare.
Il glutammato fa male agli occhi?
Questa correlazione è studiata da molti anni, e secondo una ricerca del 2002 pubblicata su Experimental Eye Research alte dosi di glutammato possono danneggiare la retina.
Favorisce l’obesità?
L’ingestione del glutammato influenzerebbe negativamente il metabolismo e l’appetito, favorendo l’obesità, il diabete e l’ipertensione. L’ipotesi, indagata da varie ricerche, ha trovato conferme negli esperimenti sui topi.
Aumenta la ritenzione idrica?
Questa correlazione è imputabile all’elevato contenuto di sodio del glutammato, che comunque è un terzo di quello del sale da cucina.
Allergie e intolleranze
Pur essendo rare, le intolleranze e le allergie a questo additivo si possono verificare, associate a nausea, tachicardia ed emicranea. L’ampia diffusione del glutammato negli alimenti può favorire l’eventuale comparsa di questi sintomi.
Esiste una dose massima?
L’Organizzazione mondiale della Sanità, non ritenendo particolarmente nocivo il glutammato, non indica una dose massima giornaliera. Una ricerca pubblicata sull’European Journal of Clinic Nutrition, invece, attesta che assumere fino a 16 milligrammi giornalieri di MSG per chilogrammo di peso corporeo – comprendendo anche la quantità naturalmente presente negli alimenti – non comporterebbe ripercussioni negative. Un adulto di 65 chili, quindi, potrebbe arrivare a ingerire 10,4 grammi di glutammato senza temere effetti collaterali nocivi. Lo studio, tuttavia, segnala la necessità di ulteriori ricerche, rispetto a dosi superiori e in presenza di alterazioni della barriera ematocefalica. In quantità eccessive e in particolari condizioni, quindi, il glutammato potrebbe far male.
Glutammato negli alimenti: che fare?
Anche se per i principali organi di sicurezza alimentare il glutammato non fa male, a scopo precauzionale sarebbe bene limitare il consumo di questa sostanza. Come abbiamo visto, il glutammato può comunque avere impatti negativi sull’organismo, e le ricerche sulla sua nocività sono tuttora in corso. Non è un caso se diverse aziende, per cautelarsi, lo hanno già eliminato dalle loro ricette. Nel 2011 una direttiva europea ha proibito l’uso di questo insaporitore nei prodotti per l’infanzia.
Rieducarsi al gusto autentico
Oltre a valutare il glutammato monosodico in chiave salutistica, non bisogna trascurare quello che l’impiego di questo insaporitore rappresenta dal punto di vista alimentare. In questo senso, il glutammato fa sicuramente male alla gastronomia e alla biodiversità del gusto. Anche per questa sostanza valgono le considerazioni fatte per gli aromi artificiali. L’uso degli insaporitori artificiali è sempre una sorta di ripiego economico, che maschera la scarsa qualità organolettica dei cibi, aumentandone l’appetibilità. Questo additivo, purtroppo, è diffuso anche nella ristorazione professionale. I cibi di qualità, realizzati con ingredienti freschi e genuini, non necessitano mai dell’aggiunta di insaporitori che ingannino il palato. Per arricchire i nostri piatti, possiamo ricorrere alle erbe e alle spezie, senza bisogno di additivi chimici. Per concludere, il consiglio semplice ma fondamentale è quello di riavvicinarsi ai sapori autentici e alle materie prime naturali.
Dopo questo approfondimento sul glutammato monosodico, può essere interessante leggere i nostri articoli sulla nocività dei solfiti, dei nitriti e degli aromi.
Come sostituire il sale
Le spezie in cucina
Le spezie oggi ricoprono un ruolo di primo piano nelle diete della salute. Non sono, infatti, solo colorate e aromatiche, ma hanno ottime proprietà per cui rappresentano delle ottime alternative al dado e al sale, consigliate spesso dagli stessi nutrizionisti, come abbiamo visto nella nostra intervista al prof. Spisni. Infatti, numerosi studi scientifici hanno dimostrato che queste sostanze migliorano il gusto, la digeribilità e la conservazione degli alimenti. Ecco perché un mix di spezie, comprese anche le erbe mediterranee, e una spruzzata di limone possono insaporire i piatti in modo naturale e sano.
Se vi state chiedendo come sostituire il sale o gli insaporitori naturali, consigliamo di utilizzare il gomasio, a base di semi di sesamo tostati, sale marino integrale e, talvolta, alghe. Diversamente, cardamomo e zenzero sono le spezie che si più si prestano a donare sapidità (100% naturale) ai piatti, insieme alla curcuma: in particolare, il cardamomo si presta come condimento di riso e carne, mentre lo zenzero, dal gusto leggermente piccante, è adatto per verdure e insalate e vi aiuterà a digerire meglio. Per utilizzare la curcuma, invece, vi basterà seguire la vostra fantasia e il gusto personale.
Inoltre, un’altra alternativa naturale al glutammato potrebbe essere quella di utilizzare la salsa di soia, già molto diffusa nella cucina orientale, similmente al miso. Per trovare un prodotto di qualità è bene controllare che sia fatta solo con soia e altri legumi fermentati. La cucina vegana, invece, ci presta un ottimo consiglio per sostituire il sale e gli insaporitori, ovvero l’utilizzo del lievito alimentare, ovvero un particolare lievito di birra essiccato, ricco di vitamine e sali minerali, che si può aggiungere grattugiato o a scaglie come tocco finale sui piatti.
Dado fatto in casa
Infine, per sostituire il glutammato e gli insaporitori industriali di bassa qualità, è possibile anche realizzare un dado fatto in casa, come ci ha insegnato lo chef Luca Sessa. Per avere a disposizione un insaporitore adatto per ogni nostra preparazione, infatti, si può autoprodurre il dado nelle tre versioni: vegetale, di carne o di pesce. Vi serviranno solo i giusti ingredienti di stagione, un minipimer e un po’ di tempo a disposizione.
Articolo scritto a quattro mani da Matteo Garuti e Elena Rizzo Nervo.
Fonti:
EFSA – Autorità europea per la sicurezza alimentare
Organizzazione mondiale della Sanità
EUFIC – European Food Information Council
European Journal of Clinic Nutrition
Journal of the American Association of Nurse Practitioners
Experimental Eye Research
PubMed
Report
Regolamento UE 1129/2011