di Arturo Fabrizi.
Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo.
Gioachino Rossini, noto compositore italiano, nacque a Pesaro nel 1792. Visse in Italia fino al 1855 poi si trasferì a Parigi, dove morì nel 1868. Noto per le numerose opere liriche che lo hanno reso famoso, l’abilità musicale non è il solo pregio per cui viene ricordato. Rossini fu un grande personaggio anche a livello culinario, molto più di tanti altri suoi colleghi compositori-buongustai legò il proprio nome a quella festa dei sensi che è l’enogastronomia.
Quello di Rossini era un palato non solo goloso, ma anche pronto agli abbinamenti più calorici e bizzarri, raffinato in fatto di vini ed insaziabile fino al punto di riuscire ad ingurgitare ben dodici bistecche una dopo l’altra!
La sua vita traboccava di tartufi, olive, fois gras, burro, carni, uova, stufati, zamponi e rognoni. Non aveva solo un grande appetito, ma era anche una fonte di sapienza in cucina: le sue ricette – sette come le note – spaziano dai Tournedos alla Torta Guglielmo Tell (personaggio che ispirò anche una sua celebre opera). Rossini cercava di trarre dai fornelli le stesse armonie del pianoforte, la sua tavola era un susseguirsi di accordi cui contribuivano, coralmente, agricoltura e artigianato di mezza Europa. Da Napoli faceva arrivare appositamente i maccheroni, da Siviglia i prosciutti, da Gorgonzola il formaggio, da Milano il panettone. I regali da lui in assoluto più graditi erano mortadelle, insaccati e zamponi… in ogni caso roba da mangiare. Non a caso, è stato definito da Le Courrier des Spectacles una di quelle figure aperte e ben nutrite che comunicano a chiunque in modo irresistibile la gioia di cui sono pregne.
É grazie a questa poliedrica personalità che musica e cucina s’incontrano in una danza frenetica e giocosa, consegnataci dalla storia attraverso una serie interminabile di aneddoti, lettere, ricette e pagine musicali. Pescando qua e là fra le numerose lettere del compositore, notoriamente dotato di una non comune venaumoristica, si legge :
Dopo il non far nulla io non conosco occupazione per me più deliziosa del mangiare, mangiare come si deve, intendiamoci. L’appetito è per lo stomaco ciò che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il maestro di cappella che governa ed aziona la grande orchestra delle passioni. Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto o il piccolo flauto in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia; al contrario lo stomaco pieno è il triangolo del piacere oppure i cembali della gioia. Quanto all’amore, lo considero la prima donna per eccellenza, la diva che canta nel cervello cavatine di cui l’orecchio s’inebria ed il cuore viene rapito. Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo.
Un vero gourmet!
Rossini e Antoin Carême
Nel 1823 Rossini arrivò a Parigi già preceduto dalla fama di genio, e venne subito coinvolto nel dibattito culturale sulla gastronomia che a quel tempo impegnava molti intellettuali francesi. Fra i vari personaggi – da Anthelme Brillat-Savarin (autore di La fisiologia del gusto) a Balthazar Grimod de la Reyniere (che scrisse Manuale degli anfitrioni), fino ad Alexandre Dumas padre (che raccolse il suo sapere in Le grand Dictionnaire de Cuisine) – eccelleva il divino cuoco Antonin Carême che, dopo aver lavorato per i più importanti personaggi del suo tempo, gestiva le cucine dei Rothschild.
E fu proprio in casa Rothschild che i due si conobbero: fu un incontro da cui nacque un’amicizia fatta di stima e d’affetto. Ogni volta che Rossini era invitato dalla famiglia passava prima in cucina a salutare Carême, il quale gli consigliava i piatti più prelibati del menu. Quando Rossini lasciò Parigi per Bologna, Carême ne fu molto dispiaciuto. Antoin aveva perduto non solo un amico ma anche un appassionato estimatore del suo talento gastronomico, definendolo il solo che l’aveva saputo comprendere.
Rossini e il tacchino ripieno
Una volta, il compositore vinse per una scommessa un tacchino ripieno di tartufi, ma il perdente continuò a fare lo smemorato per molto tempo. Un giorno il Rossini decise di riscuotere quello che gli spettava di diritto, si avvicinò al suo debitore e gli disse:
– Ebbene? Questo famoso tacchino quando si mangia?
– Vi dirò, Maestro: non è ancora propizia la stagione per i tartufi di prima qualità
– Niente, niente! Cotesta è una falsa notizia, che, per non farsi riempire, mettono apposta in giro i tacchini
Frasi celebri
Rossini era un amante della buona cucina. Una delle frasi che gli vengono attribuite e che meglio lo definiscono è questa: L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Non conosco un lavoro migliore del mangiare.
Mentre compone lo Stabat Mater, scrive ad alcuni amici: Sto cercando motivi musicali, ma non mi vengono in mente che pasticci, tartufi e cose simili.
Una delle sue attività preferite è quella di riuscire a trovare qualche nuovo elemento da aggiungere a piatti già noti, ricercando così nuovi aromi e sapori e riuscendo a dar vita a deliziose variazioni sul tema.
Ottenuto il risultato voluto, ne è orgoglioso tanto quanto lo è di una delle sue arie più amate: Quel che vi interesserà assai più della mia opera, è la scoperta che ho testè fatta di una nuova insalata, della quale mi affretto a mandarvi la ricetta: prendete dell’olio di Provenza, mostarda inglese, aceto di Francia, un po’ di limone, pepe, sale, battete e mescolate il tutto; poi aggiungete qualche tartufo tagliato a fette sottili. I tartufi danno a questo condimento una sorta di aureola, fatta apposta per mandare in estasi un ghiottone. Il cardinale segretario di Stato, che ho conosciuto in questi ultimi giorni, mi ha impartito, per questa scoperta, la sua apostolica benedizione… .
Piatti preferiti
Una sua frase emblematica è: Ho pianto tre volte nella mia vita: quando mi fischiarono la prima opera, quando sentii suonare Paganini e quando mi cadde in acqua, durante una gita in barca, un tacchino farcito ai tartufi.
Il tacchino farcito doveva essere senza dubbio uno dei suoi piatti preferiti, a riguardo disse: Per mangiare il tacchino bisogna assolutamente essere in due: io ed il tacchino.
La pasta ripiena era un’altra ricetta a cui non poteva resistere, lui stesso ideò una ricetta: i Maccheroni alla Rossini.
Fulbert Dumonteuil ci racconta come la preparazione di certi piatti assuma l’aspetto di un’autentica cerimonia: Fu allora che comparve Rossini, che con la sua delicata mano grassottella, scelse una siringa d’argento! La riempì di purèe di tartufi e, con pazienza, iniettò in ciascun rotolo di pasta questa salsa incomparabile. Poi, sistemata la pasta in una casseruola come un bambino nella culla, i maccheroni finirono la cottura tra vapori che stordivano. Rossini restò là, immobile, affascinato, sorvegliando il suo piatto favorito e ascoltando il mormorio dei cari maccheroni come se prestasse orecchio alle note armoniose della Divina Commedia.
Pur apprezzando le finezze della cucina francese, non risparmiava lazzi all’indirizzo dei gusti del paese che lo ospitava, come ben testimonia questa sua frase: Gli amici gallici preferiscono la ricotta al formaggio, locchè equivale al preferire la romanza al pezzo concertato. Ah tempi! Ah miserie!
La sua vera passione erano i prodotti genuini e caserecci italiani, suoi compagni d’infanzia. Scrive al vecchio amico Marchese Antonio Busca: … i due stracchini ricevuti… mi procurano la dolce reminiscenza della augusta madre sua che fu la prima a farmi gustare i nobili prodotti di Gorgonzola. Oh tempi felici! Oh gioventù!
Rossini e il vino
Rossini è stato anche un enologo di tutto rispetto, conosceva i problemi inerenti alla vinificazione e alla conservazione del liquido. In una lettera al padre, dopo aver esposto nei minimi dettagli il sistema per chiarificare il Bordò, aggiunge i suoi preziosi consigli:
Lascerete riposare otto giorni il vino, poscia lo metterete in bottiglie, e che vi sia quasi due dita di distanza tra il turaccio e il vino, essendo questa aria necessaria… Arrivate che saran da Venezia le 4 botti le metterete nella miglior cantina, e la meno umida, e lascerete otto, o dieci giorni in riposo il vino prima di fare l’operazione dietro indicata per metterlo in bottiglie; farete pure attenzione nel metterlo in bottiglie, che al finir della botte vi sono sempre due o tre bottiglie di vino più torbido, queste bisogna prima di metterle definitivamente in bottiglie farle passare per un lambicco di carta senza colla, e così compire l’opera… Vedete, caro Vivazza, che per bere qualche bottiglia di buon vino bisogna spender molti danari, e darsi infinite pene, ed aspettar almeno sei mesi affinchè il vino si formi nelle bottiglie… Soltanto mi son scordato di dirvi che i turaccioli di sugaro prima di metterli nelle bottiglie hanno bisogno di essere bagnati con dell’acquavita, e questo per due motivi, il primo è quello di inumidire il turacciolo affinchè chiuda la bottiglia, il secondo è quello di evitare che il turacciolo secco non dia un cattivo gusto al vino, ciò che succede qualche volta allorchè la qualità di questi non è buona.
Le ricette di Rossini
Ed ecco la ricetta per due persone scritta sotto dettatura di Rossini il 26 dicembre 1866: Per essere sicuri di poter fare dei buoni maccheroni, occorre innanzitutto avere dei tegami adeguati. I piatti di cui io mi servo vengono da Napoli e si vendono sotto il nome di terre del Vesuvio.
La preparazione dei maccheroni si divide in quattro parti.
1. La cottura della pasta
La cottura è una delle operazioni più importanti e occorre riservarle la più grande cura. Si comincia col versare la pasta in un brodo in piena ebollizione precedentemente preparato; il brodo deve essere stato passato a filtrato; si fa allora cuocere la pasta su un fuoco basso dopo avervi aggiunto alcuni centilitri di panna e un pizzico di arancia amara. Quando i maccheroni hanno preso un colore trasparente per il grado di cottura, vengono tolti immediatamente dal fuoco e scolati sino a quando non contengano più acqua; li si tiene da parte prima di essere sistemati a strati.
2. La preparazione della salsa
Sempre in un tegame di terracotta, ecco come va eseguita.
Per 200 g di maccheroni si metteranno:
- 50 g di burro
- 50 g di parmigiano grattugiato
- 5 dl di brodo
- 10 g di funghi secchi
- 2 tartufi tritati
- 100 g di prosciutto magro tritato
- 1 pizzico di quattro spezie
- 1 mazzetto di odori1 pomodoro
- 1 dl di panna 2 bicchieri di champagne
Lasciar cuocere a fuoco basso per un’ora circa; passare al colino cinese e serbare a bagnomaria.
3. La preparazione a strati
É a questo punto che si rende necessario il tegame in terra del Vesuvio. Dopo aver leggermente ingrassato con burro chiarificato e raffreddato il tegame, vi si versa uno strato di salsa, poi uno di maccheroni, che va ricoperto da uno strato di parmigiano e di gruviera grattugiati e di burro; poi un altro strato di maccheroni che si ricopre nello stesso modo; il tutto bagnato dalla salsa; poi all’ultimo strato si aggiunge un po’ di pangrattato e di burro e si mette il tegame da parte per la gratinatura.
4. La gratinatura
Il difficile è far dorare il piatto per il momento in cui dovrà essere mangiato.
Un’altra specialità del Maestro sono i famosi Tournedos alla Rossini. Si racconta che il nome di questo piatto sia dovuto al fatto che il maggiordomo del compositore fosse costretto a tourner le dos ai commensali per nascondere il segreto della lavorazione finale di