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Gino Fabbri chiude a pranzo il suo locale: “Nel nostro piccolo, abbiamo provato ad aiutare gli altri”

ginofabbripasticcere/facebook.com

 

Tutto iniziò nella pasticceria di Castenaso, il paese del bolognese in cui il Maestro Gino Fabbri, nel 1951, incontrò il mondo della pasticceria. Da lì in poi la strada fu segnata e mai più lasciata: anzi, il percorso di Fabbri è stato ed è costellato di successi e stima. Nel 1982 insieme alla moglie Morena si trasferisce a Bologna e apre La Caramella, pasticceria diventata adesso Gino Fabbri Pasticcere. Nel 2009 è eletto dai suoi colleghi “Pasticcere dell’anno”, nel 2011 diventa Presidente dell’Accademia Maestri Pasticcieri Italiani, posizione ereditata dal suo fondatore Iginio Massari, e nel 2015 è chiamato a guidare la squadra italiana alla vittoria della Coupe du Monde de la Patisserie al Sirha di Lione. Insomma, un Maestro dove la “M” maiuscola non è per nulla scontata, un orgoglio tricolore che fa bene all’Italia.

Ma dietro c’è molto di più che frolle, Pan di Spagna, creme, cioccolato e panettoni: l’uomo prima del pasticcere arriva ad autoescludersi per incentivare il lavoro dei ristoratori della sua città, Bologna. Infatti, proprio in questi giorni, nel capoluogo dell’Emilia-Romagna si sta parlando parecchio della nobile decisione che Gino Fabbri ha voluto adottare, chiudere il suo locale La Caramella per solidarietà e aiuto nei confronti dei colleghi ristoratori duramente colpiti dalla pandemia, che sono stati costretti a uno stop serale e, in alcune zone del nostro Paese, a una vera e propria chiusura. Di questo ne abbiamo con Gino Fabbri in persona, con cui abbiamo fatto due chiacchiere.

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Cosa l’ha portata a prendere questa difficile decisione? Autoescludersi è un gesto di resilienza?

G.F.: “La decisione di autoescludersi è stato un semplice modo per cercare di aiutare i ristoranti vicino alla nostra pasticceria e dar loro modo di poter lavorare a pranzo.

La nostra realtà è in una zona industriale, dove per la pausa pranzo si muovono prettamente i lavoratori, e sicuramente le nostre proposte per questa fascia oraria non sono quelle di un ristorante. Di conseguenza abbiamo deciso di chiudere dalle 13.00 alle 15.30 perché una pasticceria può offrire prodotti diversi nell’arco della giornata, un ristorante difficilmente riesce a lavorare fuori dagli orari dei pasti, soprattutto in settimana.

Il momento è difficile per tutti, ma abbiamo solo pensato di poter aiutare gli altri ristoratori che si devono indubbiamente reinventare di più… vogliamo dare loro modo di lavorare un po’ di più”.

La decisione è stata presa in famiglia, insieme alla sue figlie che lavorano con lei?

G.F.: “La decisione è stata presa in famiglia, tutti insieme, a pranzo. A dir la verità l’idea è partita da mia figlia Valeria, la più piccola, ripensando alla filosofia contadina che sentiva raccontare dai nonni. Io sono cresciuto in campagna e tra contadini ci si è sempre aiutati, non si è mai lasciato a piedi un collega. Alla stessa maniera lei ha proposto di chiudere per aiutare i colleghi ristoratori che stanno davvero soffrendo”.

Questa iniziativa si sta rivelando utile, oltre che a dare un grande esempio?

G.F.: “Sembra di sì. È ovvio che a pranzo adesso girano molte meno persone, perché tanti dipendenti delle aziende lavorano da casa, ma i ristoranti attorno si sono reinventati per quanto possibile. Economicamente non credo che si possano contare grandi risultati, ma almeno, nel nostro piccolo, abbiamo provato ad aiutare gli altri”.

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Maestro, non teme i danni della pandemia sulla sua azienda?

G.F.: “Certo che temiamo i danni e sicuramente li stiamo già toccando con mano. La pausa pranzo per noi non è di certo la fascia oraria principale, per i ristoranti della zona invece sì, ed è per questo che ci è sembrata la scelta più giusta.

I danni si contano più che altro perché il bar soffre molto gli accessi contingentati e il non poter condividere un caffè, un cappuccino o la colazione facendo due chiacchiere col barista. La pasticceria soffre ma ‘tiene botta’ perché le persone difficilmente rinunciano alla gratificazione legata al dolce. Un’eventuale nuova chiusura totale però ci metterebbe seriamente alla prova, soprattutto in questo periodo. E se non si riuscirà a lavorare per il Natale, i danni diventaranno ingentissimi. Ma vogliamo essere ottimisti e stiamo cercando di organizzarci con consegne e spedizioni”.

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Come state affrontando questo tremendo e inaspettato periodo?

G.F.: “Con positività e ottimismo: chi entra in pasticceria ha voglia di coccolarsi, gratificarsi e concedersi qualche minuto di svago, anche e soprattutto in questo periodo.

Abbiamo riorganizzato gli spazi per permettere a tutti di potersi accomodare in sicurezza, abbiamo prestato un occhio ancora più attento al rispetto delle norme igieniche e alla cura del negozio e del laboratorio e cerchiamo di far sentire a casa tutte le persone che passano a trovarci, nonostante la difficoltà delle mascherine e le distanze che manteniamo anche a tutela dei collaboratori”.

Sui suoi canali social si legge: “Siamo chiamati ad aiutarci tra noi e a usare il buon senso… uscirne ora dipende da noi e dai nostri comportamenti, è ora di dimostrarlo!”. Cos’altro si può fare (e/o farete)?

G.F.: “Noi confidiamo si riesca a fare squadra e a capire che per uscirne dobbiamo tutti impegnarci per un obiettivo comune. I nostri comportamenti adesso incidono anche sugli altri, oltre che su noi stessi”.


Progetti, idee, speranze,  pensieri per il futuro?

G.F.: “Molti pensieri, mille idee e tante speranze… Non vogliamo essere pessimisti e per il momento i nostri progetti sono propositivi, soprattutto perché andiamo verso il Natale che ci auguriamo di riuscire comunque ad allestire. Vorremmo proporre e coinvolgere la clientela, grande e piccola, nelle nostre idee per le feste – che quest’anno sono molto fiabesche – proprio per regalare ancora più serenità a chi viene a trovarci. Poi si vedrà.

Per ora navighiamo molto a vista, portando avanti altri progetti che non vedranno però luce prima di marzo-aprile prossimi”.

 

Il Maestro Gino Fabbri ha dato un grande esempio: “uniti ce la faremo” non è una frase fatta, anzi, forse una delle poche verità di questo triste periodo.

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