Di Martino Ragusa. Genova è uscita dall'incubo. Ora attende i suoi turisti. E' questo il momento giusto per visitarla. Torniamoci per aiutarla a tornare alla completa normalità, per godere delle sua rinata bellezza e della sua superba cucina. La cucina genovese In Ligura si dice che l'unica pianura di tutta la regione sia piazza De Ferrari a Genova. Per il resto è un succedersi di monti a strapiombo sul mare che poco o nulla hanno concesso a uno sviluppo agricolo adeguato ai bisogni della popolazione. Un po' di spazio, a dire il vero, è stato strappato alle montagne meno ostili, ed è quello delle "terrazze", ma quel po' di terra coltivabile è stato riservato alle vigne per garantire il vino insostituibile nella mensa di ogni italiano. Quindi, a parte l'olio di oliva per fortuna abbondante, quanto a prodotti agricoli qui non c’è mai stato da scialare. Con poca terra coltivata a forza di braccia (i mezzi meccanici sono un lusso della pianura) e la merce trasportata a spalla lungo gli stretti carruggi, in passato procurarsi gli ortaggi era un'impresa e un investimento economico. Si può capire come non occorreva essere avari per risparmiarli. A bilanciare una condizione così difficile provvedeva, però, una risorsa davvero unica nel nord d’Italia: un clima eccezionalmente mite ideale per la crescita di piante spontanee apparentemente insignificanti ma qui decisive al momento di mettere insieme il pranzo con la cena. Borragine, cicerbita, talegua, pimpinella, tarassaco, bietole selvatiche, radicchietto selvatico, pastinaca, raperonzolo, ortica e pissarelle crescono ovunque possano ricevere un raggio di sole, anche sui muretti dei carruggi e senza nessuna cura. In pianura sono chiamate "erbacce" e vengono sterminate, qui si chiamano "preboggiòn" e sono usate per moltiplicare il volume e il peso di altri ingredienti più preziosi come la farina, le uova, gli ortaggi, i pesci e le carni. Come? Se mi passate la facile associazione, è l'uovo di Colombo: con la tecnica del ripieno. In Liguria si è sempre riempito di tutto per ridurre l'impiego del prezioso ingrediente usato per l’involucro. La farina per la pasta era risparmiata confezionando i Ravioli farciti di erbe, pane e frattaglie, e i Pansotti, grossi tortelli ripieni di preboggiòn. Una sfoglia sottile, quindi impastata con poca farina, un po' di vino e senza uova era utilizzata come contenitore di erbe selvatiche per realizzare torte come la celebre "Pasqualina" e tante altre riempite con le erbe disponibili nella stagione. Le preparazioni di questo tipo sono diffuse al punto che da Levante a Ponente il termine "torta" non fa pensare a un dolce ma a quelle che nel resto del paese chiamiamo "torte salate" o "pizze ripiene". E non erano un piatto della festa, ma la colazione che le donne al mattino mettevano nella sacca del marito che andava a lavorare. Con la tecnica del ripieno si moltiplicano anche il peso e il volume degli ortaggi. Si riempiono zucchine, fiori di zucca, pomodori, cipolle, funghi e perfino le foglie di lattuga che a Genova vengono cotte in brodo una volta di trippa. Solo così è possibile sfamare una famiglia con una sola lattuga. Passando alla carne, anch'essa preziosa per l’assenza di pascoli, la preparazione più nota è la Cima alla Genovese nata sempre dalla medesima esigenza del risparmio. Sapete che differenza c'è tra un chilo di roast beef e un chilo di cima alla genovese? In un chilo di roast beef c'è un chilo di carne pregiata del quarto posteriore, in un chilo di cima ci sono quattro etti di carne a basso costo del quarto anteriore e sei etti di ripieno a costo ancora più basso. Una differenza enorme in termini di spesa per due piatti in grado di competere in bontà una volta a tavola. Lo stesso discorso vale per le "tomaxelle", involtini fatti con fettine di fettine di mammella, ormai sostituite dal vitello. Quanto ai pesci, si riempiono le acciughe, i totani e le cozze che qui chiamano "muscoli". Dunque si riempie tutto. E tutto si riempie con tutto, scegliendo tra ingredienti di scarso valore economico. Oltre alle erbe selvatiche, sono usati il pane secco, le patate, i funghi secchi (una volta erano un alimento povero), mammelle di vacca, animelle, e latticini poco pregiati come la ricotta e la poverissima, squisita prescinseua, una cagliata di latte acidulo ormai rara ma ancora reperibile presso qualche produttore volenteroso. La Prescinseua o quagliata genovese ha un particolare sapore acidulo ed è ricca di fermenti lattici vivi. Rientrava nella preparazione di ricette genovesi tradizionali come i pansotti, la focaccia al formaggio, la torta pasqualina e il pesto di Levante. Orami rara, sopravvive grazie ad alcune aziende come la Virtus di Paolo Bellone. La cucina di strada In passato il clima dell'angiporto di Genova non doveva essere tanto diverso da quello dei mercati di Napoli e Palermo. Lo testimonia una legge che imponeva alle venditrici ambulanti di farinata, verdura ripiena e pere cotte di stare lontane almeno 100 passi dalle osterie e dalle “sciamadde " (fiammate), le botteghe dedite alla ristorazione veloce dei lavoratori del porto, i "camalli" e i "carovana". In un forno a legna, al calore delle lingue di fuoco era cotta la farinata (fainà), una torta sottile di farina di ceci condita con olio d'oliva, sale e pepe e la "fugassa", la celebre focaccia di farina di frumento lievitata a lungo da mangiare calda, con abbondante olio d'oliva e cosparsa di grani di sale marino. Nelle tripperie veniva offerta la "sbira" una zuppa di trippa, pane e formaggio così chiamata perché era il rancio dei doganieri. Oggi a Genova ne sopravvive solo una in un edificio cinquecentesco, la Tripperia Vecchia Casana che cucina le trippe ancora in bellissime caldaie di rame come cinque secoli fa. In numero ridotto resistono le friggitorie e le rosticcerie nella zona attorno a via XX Settembre con le famose verdure ripiene genovesi (melanzane, zucchine, lattughe) e le "tomaxelle" involtini ora di vitello e una volta di mammella di vacca. Comunque, la sopravvivenza della gran cucina di strada genovese è ormai esclusivamente affidata alle rosticcerie e soprattutto ai panifici, cresciuti notevolmente di numero dopo che hanno raccolto la ricca eredità di farinate e la focaccia lasciata delle antiche sciamadde. A Genova tutti i forni sono buoni per la farinata e la focaccia che vengono sfornate in continuazione. Non me la sento di consigliarvene qualcuno in particolare perché si equivalgono. Vi basterà passeggiare per le stradine del centro storico per garantirvi un’esperienza gastronomica di prim’ordine. Oltre alle erbe selvatiche, l’altra e ancora più importante benedizione alla terra di Liguria è arrivata delle erbe aromatiche. Il basilico anzitutto, ma anche l'amata e onnipresente maggiorana, il rosmarino, la salvia e il timo. Il re della tavola ligure comunque è lui, il basilico, quasi predestinato a questo ruolo dal Suo stesso nome, basilico deriva dal greco "basileos" e significa "erba regale". Quello ligure è pregiato come in nessun'altra parte del bacino del Mediterraneo. Non è questione genetica, perché la stessa varietà Ocimum Basilicum, coltivata ovunque, qui diventa speciale grazie alle caratteristiche climatiche della costa ligure riparata dalla criniera appenninica e ventilata dalla brezza marina. Il suo primato è confermato sia dal giudizio unanime dei gastronomi sia dalle ricerche scientifiche condotti sugli oli essenziali che hanno documentato l'assenza di quelli responsabile del sentore di menta tanto temuto dagli estimatori del pesto. Gli altri pregi sono il profumo molto intenso e la colorazione delle foglie particolarmente tenue. Anche il basilico è stata una risposta formidabile alla penuria di ortaggi. Ne è bastata qualche foglia coltivata in terrazzo, qualche pinolo regalato dai boschi, l'aglio conveniente da coltivare perché a "grande resa" (se ne usa poco), un po' di formaggio e l’olio che per fortuna non manca, per preparare una salsa per la pasta di qualità eccelsa e a prezzo contenuto. Per trovare la prescenseua: Virtus Via P. Gobetti, 8 Fondi (Genova) Tel 010 31 64 44 Fax 010 31 46 30 Le ultime sciamadde le trovate in via San Giorgio e via Ravecca, le friggitorie sotto i portici di Sottoripa. L'indirizzo dell'ultima tripperia è Tripperia Vecchia Casana Vico Casana 3r Genova Tel 010 20 58 71
Genova e’ tornata in forma. E noi torniamo a Genova!
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Adriana Angelieri
Adriana è Responsabile di Redazione e Social Media Manager per Il Giornale del Cibo dal 2016. Siciliana di origine, si è trasferita a Bologna per i tortellini e per la sua carriera. Unendo la sua grande passione per l'alimentazione alle competenze nei progetti editoriali, si dedica alla guida del team redazionale e alla creazione di contenuti che garantiscano ai lettori un'informazione chiara, utile e accurata. Oltre che per i tortellini, il suo cuore batte per i risotti, di ogni tipo, purché fatti bene! Il profumo del basilico e l'olio buono sono gli ingredienti che non possono mai mancare nella sua cucina.
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