Se si compie un furto al supermercato spinti dall’indigenza si può essere giustificati poiché la fame comporta un’imprescindibile esigenza di alimentarsi. Con questa sentenza la Cassazione ha stabilito un precedente destinato a far parlare molto di sé. Secondo quanto si apprende, infatti, Roman, giovane ucraino senza fissa dimora che aveva rubato wurstel e formaggio in un supermercato, non ha commesso reato, in quanto il suo gesto è stato mosso da necessità.
La Cassazione di Genova ha così annullato senza rinvio la condanna inizialmente inflitta in Appello.
Furto al supermercato: il caso di Genova che scuote l’opinione pubblica
Un mondo affamato
805 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e la lotta allo spreco alimentare è, o dovrebbe essere, in cima alla lista delle priorità dei politici e anche dello stesso Papa Francesco. Eccedenze e sprechi sono uno schiaffo in faccia davanti a questi numeri, considerando che, sommati a livello globale, potrebbero nutrire 2 miliardi di persone nel mondo.
Secondo il rapporto 2015 della Caritas sulla povertà in Italia nel 2014 sono stati erogati 6.273.314 pasti e il 14,2% di persone che vivono in Italia non riescono a soddisfare un pasto adeguato al giorno. Dati alla mano, capiamo subito la portata della sentenza genovese.
Perché non è reato?
A determinare la decisione della Cassazione è stata la condizione dell’imputato e le circostanze in cui si è verificato il fatto. Roman ha rubato al supermercato, per un valore totale di circa 4 euro, al solo scopo di cibarsi. E la sua condizione è quella di tanti in Italia, non solo stranieri. I nuovi poveri, infatti, come ricorda il Banco Alimentare, hanno volti familiari. Il 50% di coloro che si rivolge alle loro strutture caritative è composta da maschi, giovani e italiani. Ancora più preoccupante è il dato italiano nella fascia dei bambini e ragazzi (0-17) per i quali l’incidenza della povertà è quadruplicata dal 2007 ad oggi.
Povertà e reddito di cittadinanza
Oltre agli sprechi alimentari il tema riguarda anche gli sprechi economici. Quelli della politica, le cosiddette “spese pazze”, e del settore pubblico. Sì, perché un serio dibattito sulla povertà in Italia implica che si debba parlare di risorse per il welfare, di politiche di accoglienza e di reddito di cittadinanza. Si tratta di un sussidio sociale previsto in quasi tutti i paesi europei per le persone che non lavorano. Gli stessi paesi che prevedono varie forme di integrazione del reddito per coloro che guadagnano poco o lavorano part-time. Questo avviene in Olanda, Norvegia, Francia, Germania, Gran Bretagna, solo per citarne alcuni. Non avviene ancora in Italia.
Viene da chiedersi, allora, se siano i commercianti a doversi fare carico di una piaga sociale tanto urgente, rimettendoci nel loro lavoro. Scegliere se sia giusto o meno punire una persona in difficoltà perché ruba in stato di bisogno fa appello alla nostra coscienza. Di certo crea un delicato precedente poiché si tratta di una sentenza soggettiva, non uguale per tutti. E a voler pensar male apre la strada ad un’ampia casistica di ragioni di “imprescindibile esigenza” che potrebbero giustificare il piccolo furto.
Il ruolo della politica
La politica dovrebbe occuparsi della soluzione, fornendo proposte concrete e mettendole in pratica. Perché l’indigente che necessita di cibo deve essere tutelato e non indotto a rubare al supermercato. Chi ruba per fame esprime un bisogno primario, cui la società e la politica devono dare puntuale risposta. Allo stesso modo i commercianti hanno il diritto a lavorare nelle condizioni migliori, senza dover subire e accettare furti, per quanto dettati da necessità. Aiutare gli ultimi è un dovere e un valore per un paese che si definisce moderno e civile, ma rubare non può essere la soluzione. Con il crescere delle nuove povertà e della crisi economica l’Italia deve prepararsi ad affrontare il tema molto seriamente.
Comunque la si veda, la storia di Roman è destinata a dividere l’opinione pubblica. Secondo voi esistono casi in cui è giustificabile un furto al supermercato?