Giornale del cibo

Formaggio Pecorino: alla scoperta di tutte le DOP italiane

 

Ci sono prodotti che, più di altri, esprimono al meglio tutta la loro “italianità”, intesa come appartenenza a una comune cultura gastronomica, che unisce qualità delle materie prime e un passato di saperi tramandati nel tempo. Il formaggio pecorino è senz’altro uno di questi prodotti, tanto che ormai è diventato una “voce” sempre più importante e apprezzata del Made in Italy, soprattutto all’estero. A confermarlo, la quantità di “eccellenze” riconosciute con la denominazione di origine controllata: ad oggi, se ne contano ben otto. In quest’articolo, viaggeremo per lo Stivale, da nord a sud, alla scoperta di tutte le DOP italiane di questo formaggio!

Il segreto del pecorino? Latte di pecora e tradizioni antiche

Con il termine “pecorino”, si indicano tutti quei formaggi a pasta dura o semidura, cotta, con latte intero di pecora. Più di altri prodotti della stessa categoria, il pecorino vanta di una storia antichissima, tanto da essere considerato uno dei formaggi più antichi al mondo, perché affonda le radici in epoca romana, grazie alla lunga tradizione dell’allevamento di ovini, tipicamente mediterranea. Infatti, è prodotto principalmente nelle regioni dell’Italia centrale (il Lazio è considerato la regione “patria” del pecorino), in quelle meridionali e, soprattutto, nelle isole, come la Sardegna in cui, paradossalmente, si produce circa il 97% del Pecorino Romano. 

Da regione a regione, però, e col passare delle generazioni, i produttori di questo formaggio hanno affinato le tecniche di produzione, le dimensioni delle forme e i segreti per una perfetta stagionatura, arrivando a creare oltre 30 tipologie differenti, tutte con sapori e profumi inconfondibili. Curiosi di scoprire quali sono le DOP italiane?

Pecorino Romano 

pecorino romano
Tatyana Berkovich/shutterstock.com

Cos’hanno in comune l’amatriciana, la cacio e pepe e la carbonara? Ovvio, il Pecorino Romano, uno dei formaggi più conosciuti e apprezzati al mondo. E a ragione, perché, con i suoi quasi duemila anni di storia alle spalle, questa varietà è un piccolo gioiello di quella cultura del buon cibo tutta italiana. Ovviamente, come suggerisce il nome stesso, già in epoca romana era possibile assaporare un’antica variante di questo formaggio: grazie alle sua lunga conservazione per via dell’alto contenuto di sale, costituiva un ottimo alimento base per le razioni dei legionari. Sembra, inoltre, che piacesse a tal punto che si dovette stabilire una dose giornaliera, pari a 27 grammi! 

Storia a parte, oggi il “vero” Pecorino Romano Dop si riconosce attraverso una una serie di caratteristiche precise, regolamentate dal disciplinare di produzione: all’aspetto, le forme hanno dimensioni considerevoli – si parla di un peso variabile tra i 20 e i 35 kg e un’altezza degli scalzi tra i 25 e i 40 cm – si presentano cilindriche a facce piane; la crosta è sottile, di un luminoso color avorio chiaro o paglierino naturale. All’interno, invece, la pasta del formaggio si presenta compatta, con un colore che varia dal bianco al paglierino più o meno intenso. La stagionatura è di 5 mesi. Il gusto? Aromatico, lievemente piccante e sapido nella variante da tavola, oppure con una piccantezza più accentuata in quello da grattugia. È prodotto con il latte di pecora proveniente dal Lazio e, soprattutto, dalla Sardegna, oltreché nella provincia di Grosseto, in Toscana.

Pecorino Sardo

Alessio Orru/shutterstock.com

Ci spostiamo in Sardegna, per parlarvi di un prodotto che racchiude dentro di sé tutti i sapori di una terra selvaggia e antica, da sempre votata alla pastorizia e alla produzione di formaggi. Infatti, si fa risalire questa eccellenza al Settecento: secondo alcune fonti storiche, due dei diversi formaggi dell’epoca, i Rossi Fini e gli Affumicati, sono da considerare gli “antenati” del pecorino sardo, ottenuti facendo cuocere il latte crudo e immergendovi dentro delle pietre arroventate. Il Pecorino Sardo DOP, quindi, è frutto di una lunga e sapiente esperienza dei pastori sardi, che si è tramandata fino a noi, tanto che ancora oggi, in alcune zone, è prodotto “come una volta”.

Ma qual è il segreto della sua bontà? Innanzitutto, bisogna distinguere tra due varianti, quello Dolce e quello Maturo, in cui a fare la differenza è proprio la stagionatura: nel primo caso, occorrono dai 20 ai 60 giorni, mentre nel secondo, più di 60 giorni. In generale, possiamo dire che il pecorino sardo è un formaggio a pasta semicotta, con una crosta esterna dura e liscia, dal colore che s’intensifica con l’avanzare della maturazione. La pasta interna è compatta, semidura, di colore bianco perlaceo e con un’occhiatura fine e regolarmente distribuita nel caso della versione Dolce; diversamente, nel Maturo, è semidura o dura, più granulosa e di colore bianco con tendenza al paglierino, dall’occhiatura fine e rada. Per quanto riguarda il sapore, può essere più dolce e delicato oppure più intenso e piccante in base alla tipologia. L’avete mai assaggiato così, insieme al pane carasau, oppure filante come farcitura di una dolce seada?

Pecorino Toscano

barmalini/shutterstock.com

Torniamo in “continente”, in particolare in territorio toscano. Il motto del Pecorino Toscano? “Oggi come ieri!” Infatti, anche questo “cacio” – come viene anche chiamato – risale al tempo della dominazione romana (nonostante molti ritengano che sia ancora più antico e risalente all’epoca degli Etruschi). Il primo a parlarne pare sia stato Plinio il Vecchio nel suo documento Naturalis Historia, dove raccontava che dalla città di origine etrusca Luni, arrivava a Roma un formaggio pregiatissimo, detto Lunense, dalle dimensioni notevoli e dall’indiscussa bontà.

Come per quello sardo, dobbiamo distinguere tra due tipologie differenti a seconda della stagionatura:

Pecorino Siciliano

Emily Marie Wilson/shutterstock.com

Torniamo in un’isola, ma stavolta nel profondo Sud: siamo in Sicilia, dove si produce un’altra eccellenza che vanta di una storia antica come i miti e le leggende… del Pecorino Siciliano, infatti, ne parlava già Omero nell’Odissea, nell’incontro tra Ulisse e Polifemo, riportando alcune delle tecniche usate allora per produrlo: “fa cagliare metà del latte e lo depone in canestri intrecciati”. Inoltre, sempre Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia classificò i formaggi nazionali e quelli esteri presenti all’epoca e il cacio siciliano venne definito come uno dei migliori. 

In generale, questa variante di pecorino si presenta più dura e untuosa rispetto alle precedenti, per la cappatura con l’olio di oliva. In più, la crosta esterna è estremamente rugosa, per via dei segni lasciate dalle fascedde, ossia i tipici canestri in giunco in cui vengono adagiate le forme. All’interno, la pasta appare dura e compatta, con un colore che va dal bianco al paglierino scarico a seconda della stagionatura. Un’altra caratteristica inconfondibile di questo formaggio è il profumo, così speziato, fresco e floreale, che rimanda a un gusto deciso e fruttato, con una piccantezza maggiore quando aumenta la stagionatura.

[elementor-template id='142071']

Pecorino di Picinisco

Si torna di nuovo in terra laziale, dove viene prodotta un’altra DOP di tutto rispetto: il Pecorino di Picinisco, che racconta di tutta la storia agropastorale della Valle di Comino e di un legame col territorio strettissimo. Sono due le varianti esistenti, lo Scamosciato e lo Stagionato, che presentano caratteristiche diverse sia per gusto sia per pasta. Il primo, ha una stagionatura che varia dai 30/60 giorni, che gli conferisce un sapore più dolce, con spiccati aromi di pascolo di montagna. Il secondo, invece, viene lasciato maturare per oltre 90 giorni, fattore che gli fa acquistare un tono più deciso e piccante. In entrambi i casi, la crosta di presenta sottile, dura e piuttosto untuosa, con un colore variabile a seconda della stagionatura, dal paglierino al marrone, e la pasta interna è compatta e dura, con una leggera occhiatura.

Pecorino di Filiano 

Dionisio iemma/shutterstock.com

Facciamo dietro-front e torniamo al Sud, in particolare nella provincia di Potenza, in Basilicata: qui, si produce il Pecorino di Filiano, un formaggio che riassume tutte le caratteristiche del territorio di produzione. Ma da dove deriva questo nome particolare? Sembra che sia legato proprio a una delle più fiorenti attività economiche della zona, ossia la “filatura” della lana tostata degli ovini che erano presenti in abbondanza sul territorio.

La bontà di questo formaggio sta tutto nella qualità delle materie prime e nel metodo di produzione, che segue ancora le antiche tecniche casearie: prodotto solo con latte di pecora lasciate allo stato brado, il Pecorino di Filiano deve stagionare almeno 180 giorni all’interno di grotte di tufo tipiche della zona o in locali sotterranei. All’aspetto, si presenta con una crosta gialla dorata, tendente al bruno scuro con l’avanzare della stagionatura, ed è caratterizzata dai segni dei tipici canestri in cui è riposta la forma. La pasta è granulosa e friabile, dal sapore più dolce e delicato nei formaggi meno stagionati, e più aromatico e leggermente piccante in quelle più invecchiate.

Pecorino delle Balze Volterrane 

Definito anche il “Ccacio Volterrano”, anche questo è un formaggio intriso di storia e di territorialità. Ci siamo spostati in Toscana, terra di formaggi, dove fin dal 1200 sono state rinvenute delle testimonianze riguardo al transito del bestiame nel territorio dell’Alta Val di Cecina. Queste zone erano ricchissime di verdi pascoli e di piante ed erbe aromatiche, come il timo, la ginestra odorosa e il cardo selvatico. Proprio quest’ultimo diventò un ingrediente segreto nella produzione del formaggio: il Pecorino delle Balze Volterrane è, infatti, l’unico formaggio italiano prodotto con caglio vegetale di cardo selvatico, estratto manualmente con una lunga e antica procedura. Il che conferisce al formaggio un retrogusto vegetale e un profumo persistente, con sentori di piante aromatiche e fiori. La crosta è dura, cappata dalla cenere e dalle erbe locali (che servivano a proteggerlo dalle muffe), e assume una caratteristica colorazione grigia. All’interno, la pasta è morbida e compatta, con un colore variabile dal bianco/avoria al paglierino più intenso a seconda della stagionatura.

Pecorino Crotonese 

Dionisio iemma/shutterstock.com

Ultima – ma non ultima! – delle DOP è quella tutta calabrese del Pecorino Crotonese. Con questo formaggio, torniamo indietro al 1586, a quando risale il primo documento storico ufficiale: a quella data, sono stati registrati 278 pezzi di “Caso di Crotone” destinati per un certo nobile di nome Andrea Pugliese, di Napoli. Dai documenti, il formaggio appare descritto come un prodotto di bontà rara, ovviamente destinato per pochi – e ricchi – palati. Tra periodi di gloria e di crisi – a causa, ad esempio, della peste che decimò bestiame e “casolieri” – nel Settecento, sotto dominazione Borbonica, questo pecorino era uno dei prodotti più esportati nel mercato napoletano, al punto che arrivava insieme al grano.

Ma come si presenta, oggi? Viene prodotto in tre versioni: “fresco”, dalla crosta sottile e la pasta compatta, quasi cremosa, di colore bianco e dal sapore morbido e leggermente acidulo; “semiduro”, dalla crosta più spessa e bruna, con un gusto decisamente più intenso e armonico; “stagionato”, dalla crosta spessa e dura, che può essere cappata con olio o morchia di oliva, e un sapore deciso, dal leggerissimo retrogusto piccante.

Così, siamo giunti alla fine del nostro itinerario alla scoperta delle DOP di formaggi pecorino, che, grazie ai loro sapori ora più dolci, ora più intesi, e alle loro storie che raccontano di un passato fatto di tradizioni che si perdono nel tempo, ci hanno fanno conoscere un pezzetto in più della nostra meravigliosa terra.

 

Diteci, li conoscevate tutti? Quale tra questi preferite?

 

Exit mobile version