La Francia è notoriamente patria di formaggi di antica tradizione. La sua produzione casearia è, insieme a quella italiana, tra le più vaste e variegate: da inimitabili erborinati, come il Roquefort, alle specialità a crosta fiorita, Brie e Camembert su tutte, senza contare la moltitudine di produzioni locali di regioni quali la Normandia e l’Alvernia. Una nicchia importante del panorama caseario transalpino è costituita dai formaggi a base di latte caprino. Nell’articolo di oggi ne andremo a scoprire alcuni tra i più rappresentativi, molti dei quali protetti dalla denominazione d’origine AOP (l’equivalente della nostra DOP). Pronti dunque a lasciarvi condurre in un succulento assaggio di formaggi di capra francesi?
L’arte dei formaggi di capra francesi, tradizione di montagna
La produzione di formaggi a partire dal latte di capra è una tradizione nata e radicatasi soprattutto nelle zone di montagna, che offrono l’ambiente ideale per il loro allevamento. In particolare vallate e ampi pascoli, con una varietà di erbe di campo fondamentali per l’alimentazione degli animali e che si riflette in modo diretto sulla qualità del latte prodotto. Quello caprino si caratterizza, infatti, per una nota selvatica, oggetto di forte divisione tra chi ama ritrovarla al gusto e chi, invece, la trova poco gradevole. Proprio questo sentore pungente, più o meno marcato, ha contribuito a creare interesse intorno alle produzioni da latte caprino. In particolare, i formaggi: dai caprini freschi, in cui il retrogusto erbaceo è appena accennato e va solo ad arricchire la dolcezza dominante, ai semi stagionati, il cui profilo aromatico si fa più intenso, sia a livello olfattivo che gustativo, fino agli stagionati, dove il carattere selvatico emerge con forza e trova spesso espressione in una certa piccantezza.
Uno dei Paesi che può vantare una consolidata tradizione in fatto di formaggi di capra è, come detto, la Francia. Il suo territorio, delimitato dalle Alpi a est e dai Pirenei a ovest e con un cuore roccioso costituito dal Massiccio Centrale, ha sempre offerto il contesto ottimale per gli allevamenti di alta quota. Il resto l’ha fatto la cultura contadina, con la trasformazione del latte in formaggio che da necessità ha saputo consolidarsi in vera e propria arte. Qui, tra Alpi Provenzali e l’area pirenaica del Poitou Charente, non si contano le piccole realtà che producono formaggi di capra con metodo artigianale, lavorando spesso il latte crudo, senza nessun processo di pastorizzazione. Sebbene l’industria alimentare e il mercato globale abbiano influenzato molto anche le produzioni casearie, l’antica tradizione di base è rimasta viva e trova espressione, oltre ai classici “buche de chevre” (termine con cui si identificano in generale i formaggi di capra a tronchetto), in specialità, alcune delle quali protette dalla denominazione d’origine, come Crottin de Chavignol, Rocamadour, Pouligny Saint-Pierre, Picodon e Banon.
Buche de chevre
Iniziamo la nostra carrellata di formaggi di capra francesi con il buche de chevre, letteralmente “tronco di capra”. Il nome rivela già la sua caratteristica distintiva, che è la forma cilindrica, a tronco appunto. Si presenta con una superficie esterna bianca, liscia o rugosa, e completamente edibile, come per tutti i formaggi a crosta fiorita, una specialità che si è sviluppata soprattutto oltralpe. La pasta interna è morbida, compatta ed elastica, caratterizzata da un colore bianco nella parte centrale, che tende a evolvere verso l’avorio nel sottocrosta. Le dimensioni possono variare di molto: da cilindretti di appena 100 grammi a pezzature da 1 Kg e oltre. Con buche de chevre, infatti, non si fa riferimento a un prodotto specifico, quanto più a una tipologia di formaggio, di cui esistono quindi svariate versioni, sia a livello artigianale che industriale. Dal punto di vista gustativo, tuttavia, si tratta quasi sempre di profili aromatici delicati, in cui il tipico sentore caprino è appena accennato. La consistenza è prevalentemente gessosa nelle forme più fresche, cremosa e fondente in quelle di media stagionatura, con tendenza a compattarsi col procedere della maturazione, che può portare anche allo sviluppo di una nota piccante. In cucina, il buche de chevre è molto versatile: si presta ad essere scaldato su bruschette e crostini, dove se ne apprezza la cremosità, come base di torte salate, in cui si sposa con altri ingredienti senza risultare invadente, e infine nelle insalate, in cima alle quali fanno spesso capolino una o più fette di questo formaggio appena scottate e talvolta caramellate con aceto balsamico.
Sainte-Maure de Touraine AOP
Il Sainte-Maure de Touraine può essere assimilato alla famiglia dei buche de chevre per via della forma cilindrica, ma presenta delle caratteristiche tali da renderlo una specialità a denominazione d’origine AOP. In particolare, si distingue per l’impatto cromatico, con la superficie esterna bianco grigiastra dovuta all’affinatura nella cenere. Altro elemento caratterizzante è il bastoncino di paglia (detto paille), con cui viene infilzato, a mo’ di spiedo, subito dopo la salatura e prima di passare alla stagionatura, che dura un minimo di dieci giorni. Ottenuto dalla lavorazione di latte caprino crudo e intero, ha una pasta compatta, più gessosa al centro e tendenzialmente morbida nel sottocrosta. In bocca rivela una certa sapidità, con un gusto dalle sfumature più complesse dei più classici buche de chevre. Si apprezza molto in purezza oppure tagliato in piccole fette, alla maniera di un salame, e scaldato sul pane agliato e tostato a completamento della popolare salade de chèvre alla francese. In patria è noto anche col nomignolo le long chevre, che fa riferimento sia alla sua forma allungata (in genere circa 15 centimetri), sia al sapore intenso e persistente.
Rocamadour AOP
Dal comune di Rocamadour, poco più di 700 abitanti nel cuore dell’altopiano del Grand Cusses, prende il nome l’omonimo formaggio, la cui forma è quella di un piccolo disco. Si produce in pezzature da circa 30 grammi ed è una rarità trovarlo in commercio. A realizzarlo sono quasi esclusivamente allevatori locali (per cui si parla di specialità fermiere, ovvero “di fattoria”), che curano tutte le fasi, dalla mungitura alla stagionatura, fino alla maturazione completa. La lavorazione è a partire da latte crudo e intero di capre delle razze autoctone Alpina e Saanen e avviene nel rispetto delle tempistiche tipiche del metodo artigianale. La cagliatura, ad esempio, dura almeno 20 ore, così come la fase di sgocciolamento non è mai inferiore alle 6 ore. C’è anche un disciplinare di produzione, cui è legata la denominazione AOP, che descrive come devono essere curati i vari passaggi, fino alla stagionatura minima di 6 giorni. A maturazione ultimata, si presenta con la superficie a faccia piana irregolare, di colore dal bianco all’avorio. La crosta fiorita è sottile, mentre la pasta interna è bianca e cremosa. Il gusto è molto delicato, prevalentemente pannoso, ma con un retrogusto paglierino. Questo aspetto rende il Rocamadour versatile in cucina. Oltre a consumarlo da solo o come accompagnamento a crostini e insalate, può trovare facilmente impiego anche in torte salate, soufflé o nella mantecazione di paste e risotti. Un semplice risotto con Rocamadour e porri, completato da una grattata di pepe nero, è un ottimo connubio tra cremosità e sapori.
Pouligny Saint-Pierre AOP
Ecco un’altra specialità casearia che prende il suo nome dalla cittadina da cui ha origine: Pouligny Saint Pierre è, infatti, un comune nel cuore del Parc Naturel Régional de la Brenne. Siamo nella parte centro-occidentale della Francia, nel dipartimento dell’Indre. Qui si produce questo formaggio dalla curiosa forma di piccolo tronco piramidale: base quadrata di circa 6 centimetri per lato, sommità anch’essa quadrata con lato di circa 2 centimetri e altezza in genere compresa tra i 9 e i 12 centimetri. La pezzatura più tipica è da 250 grammi, anche se esiste la versione petit da 150 grammi. Pur essendo meno raro del Rocamadour, anche in questo caso una buona percentuale delle forme in commercio è di produzione fermiere. In genere il prodotto artigianale si distingue per il colore dell’etichetta, che è verde, a differenza del rosso, che contraddistingue invece quello industriale.
Lavorato a partire da latte crudo intero delle razze di capra Alpina, Saanen e Poitevine, è sottoposto a una stagionatura minima di 7 giorni. Dalla consistenza piuttosto compatta, rivela un gusto sapido e acidulo nelle forme più giovani. Con l’avanzare della stagionatura, invece, si arricchisce di sfumature, da cui emergono soprattutto le note erbacee legate all’alimentazione delle capre (rigorosamente al pascolo libero delle valli del Parco della Brenne) e i sentori di terra dovuti allo sviluppo delle muffe sulla crosta. Per questo motivo, se il prodotto fresco si presta bene a essere affettato più o meno sottilmente e grigliato o, in alternativa, come farcia per dei delicati tortelli al burro e salvia, le pezzature più stagionate sono da assaporare in purezza, accompagnate magari da frutta secca e da un bicchiere di buon vino rosso.
Una curiosità legata a questo formaggio: nonostante sia chiamato anche “Tour Eiffel”, sembra che debba invece la sua curiosa forma al campanile di Pouligny, cui si sarebbero ispirati i casari che lo crearono nel XVIII secolo.
Picodon AOP
La regione del Rodano, a ridosso delle Alpi, è invece terra del Picodon: un formaggio piuttosto antico, le cui origini riportano al XIV secolo e il cui nome è legato alla spiccata piccantezza che lo caratterizza. L’abbondanza di pascoli e la biodiversità che contraddistingue la zona d’origine si traducono in una nota selvatica, che emerge nettamente nel latte delle capre. A questo proposito c’è un disciplinare di produzione, tutelato dal Syndicat du Picodon, costituito dal 1986 a garanzia della denominazione d’origine, ufficialmente riconosciuta nel 1983, che definisce chiaramente anche le fasi di lavorazione. Oltre alla base di partenza, ovvero latte crudo e intero di capre autoctone, la particolarità del Picodon è di non essere pressato, ma semplicemente lasciato coagulare fino al completamento della cagliatura. Le forme poi vengono trasferite negli appositi stampi per lo sgocciolamento del siero (che avviene nell’arco di 24-48 ore) e infine portate a stagionatura. Questa fase dura minimo 8 giorni, al termine dei quali il Picodon si presenta come un cilindretto schiacciato (40-60 grammi di peso), similmente ai tipici tomini piemontesi, dalla crosta fiorita di colore biancastro e attraversata da piccoli solchi regolari, come se fosse stato passato su una griglia. All’interno rivela una pasta compatta e uniforme, bianca al centro, con sfumature avorio o giallo-rossastre nel sottocrosta. Il gusto è intenso, acidulo, ma con sentori paglierini percepibili anche olfattivamente e sempre più marcati con l’avanzare della maturazione. Esistono diverse tipologie di Picodon, a seconda dell’area di produzione e della stagionatura, tra cui quelle affinate all’olio di oliva o al vino bianco. Per quest’ultime, così come per le forme più stagionate, è consigliabile la degustazione in purezza, per apprezzarne il gusto più strutturato e le sfumature donate dall’eventuale affinatura. Quelle più fresche sono ottime anche scaldate, per completare un’insalata oppure per farcire una crepe salata con scaglie di tartufo nero.
Banon AOP
Sulle Alpi dell’Alta Provenza si trova Banon, suggestivo borgo medievale, da cui prende il nome l’omonimo formaggio. Prodotto con latte di capra crudo e intero, vanta la denominazione d’origine, garantita da un rigido disciplinare di produzione. Qui è definito, ad esempio, che le capre devono appartenere alle sole razze autoctone Alpina, Provenzale e Rove e che la loro alimentazione deve provenire dal pascolo libero per almeno quattro mesi all’anno. Un aspetto caratteristico di questo formaggio è però la particolare affinatura, che avviene in due fasi:
- la prima, che segue la salatura, dura dai 5 ai 10 giorni a temperatura costante di 8 °C;
- nella seconda, invece, le forme vengono avvolte in foglie fresche di castagno e a temperatura compresa tra gli 8 °C e i 14 °C per almeno dieci giorni e in ambiente con umidità all’80%.
Tra la prima e la seconda fase, le forme vengono spesso bagnate con acquavite di vino o di vinaccia. Questo accorgimento, insieme al rivestimento in foglia di castagno, contribuisce a donare al prodotto finito il particolare profilo aromatico che lo contraddistingue. Se nelle forme più giovani prevale un sentore dolce, l’avanzare della stagionatura permette alla foglia di castagno di trasferire al formaggio profumi e note di sottobosco. Ne risulta un gusto più deciso e pungente, che si apprezza soprattutto in purezza, con della frutta secca, come noci e nocciole, o, per gli amanti del genere, con del miele di tiglio o una composta di frutti rossi. Cremosità e scioglievolezza sono caratteristiche che lo rendono ottimo anche appena scaldato. Noi ci permettiamo di suggerirlo anche come ingrediente di farcitura della piadina romagnola, in abbinamento a verdure grigliate o alla rucola fresca.
Le forme di Banon, avvolte nella tipiche foglie di castagno bruno, vengono confezionate con un nastro di rafia naturale intrecciato. All’interno, come chiuso in uno scrigno, eccolo infine rivelarsi come un cilindretto schiacciato del peso di circa 100 grammi, dal diametro tra 7,5 cm e 8,5 cm e 2-3 cm di altezza e crosta color crema dalla superficie irregolare. La pasta è, come accennato, cremosa e fondente, più umida nelle forme giovani, con tendenza a farsi un po’ più compatta ed elastica man mano che si procede nella maturazione. Ogni anno, in occasione della terza domenica di maggio, la cittadina di Banon è teatro della Fête du fromage, per rendere omaggio al suo prodotto simbolo.
Crottin de Chavignol AOP
Tappa conclusiva nel cuore della Loira, regione centrale della Francia nota soprattutto per i suoi castelli. È qui che si produce uno dei formaggi di capra francesi più rinomati: il Crottin de Chavignol. Prodotto dalle origini che riportano al XVI secolo, vanta la denominazione d’origine già dal 1976. Si realizza a partire da latte di capra crudo e intero con metodo di lavorazione à la louche, ovvero “al mestolo”. È una tecnica casearia tipica di molti formaggi francesi, soprattutto di quelli crosta fiorita, e consiste nel non rompere la cagliata, ma nel prelevarla direttamente con un mestolo per versarla poi negli stampi dove avviene la fase di sgocciolamento. Una volta tolte dalle fuscelle, le forme vengono quindi salate e poste a stagionare per un minimo di dieci giorni. Se ne ottiene un formaggio di piccola pezzatura, intorno ai 60 grammi, dalla forma di cilindretto leggermente bombato, alto pochi centimetri. Le superficie esterna è rugosa, con un colore che va dal bianco al beige nelle forme più giovani, fino ad assumere tonalità grigio-cenere o addirittura bluastre, dovute all’azione delle muffe sviluppate con l’avanzare della stagionatura. Quest’ultima può variare da un minimo di dieci giorni, come detto in precedenza, fino a diversi mesi. Ne risultano caratteristiche diverse a livello di consistenza e di gusto, che possiamo riassumere come di seguito:
- jeune o semi-stagionato, dolce e scioglievole, dal sapore delicato;
- bleuté o erborinato, con l’innesto di spore del genere penicillium, responsabili dello sviluppo di muffe in superficie e di un sapore vagamente fungino;
- affiné o a lunga stagionatura, dalla pasta compatta e friabile e dal gusto deciso, con una spiccata piccantezza.
L’approccio degustativo e l’utilizzo in cucina possono dunque variare molto a seconda della tipologia. Se il jeune, con la sua piacevole cremosità, si presta bene scaldato sul classico crostino, in una torta salata o, ancora, alternato a strati di zucchine grigliate per una fantasiosa lasagnetta vegetariana, l’erborinato può dare il meglio di sé in un risotto, in abbinamento allo speck, mentre lo stagionato può essere grattugiato al posto della ricotta salata per una rivisitazione della pasta alla norma, anche se il top è gustarlo in purezza, a fine pasto, insieme a della frutta secca e sostenuto da un bicchiere di vino rosso corposo.
Termina qui l’assaggio di formaggi di capra francesi che abbiamo voluto offrirvi. Per ovvie ragioni di spazio, ci siamo limitati a proporvene una selezione di quelli più tipici e protetti dalla denominazione d’origine AOP. Il panorama delle produzioni casearie d’oltralpe, tuttavia, è talmente vasto e articolato, che ce ne sono sicuramente anche altri degni di nota. Voi ne conoscete qualcuno?