Food for Change: qual è il legame tra agricoltura e cambiamento climatico?

food for change

 

Il cibo può contrastare il cambiamento climatico? In che modo la produzione e le nostre abitudini alimentari possono fare la differenza sul futuro del pianeta? Queste le domande che sottendono Food For Change, campagna internazionale di sensibilizzazione sul rapporto tra cibo e cambiamento climatico che Slow Food ha lanciato a Torino in occasione della XII edizione di Terra Madre Salone del Gusto. È Serena Milano, responsabile della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, a spiegarci perché “Il cibo è causa, vittima e possibile soluzione del cambiamento climatico”.

Food for Change: il cibo è causa e soluzione del cambiamento climatico?

“La produzione del cibo rappresenta una delle principali vittime del cambiamento climatico. È infatti strettamente legata alle condizioni ambientali: produzione, stoccaggio, distribuzione e mercati sono sensibili alle condizioni metereologiche estreme (come alluvioni, tornado e incendi) e alle fluttuazioni climatiche. Inoltre dipendono dalla qualità di suolo e acqua, dalla presenza di parassiti e malattie e da altre condizioni biofisiche”, racconta l’intervistata.

Si tratta di connessioni sulle quali non sempre siamo abituati a ragionare, per questo uno dei tre passaggi di cui si compone Food for Change è informare: “Food for Change è la campagna che intende spiegare il legame tra cambiamento climatico e agricoltura. Ma sono moltissime le campagne di Slow Food, all’interno delle quali Food for Change è declinata: contro gli Ogm, contro gli sprechi alimentari, contro l’accaparramento delle terre (land grabbing), a favore di un consumo più sostenibile di carne (Slow Meat) e di un uso più responsabile delle risorse marine (Slow Fish)”. Si tratta di iniziative che da un lato si rivolgono al grande pubblico (informandolo e invitandolo a scoprire e attuare comportamenti più virtuosi), dall’altro coinvolgono la rete di Slow Food e i suoi progetti, come esempi concreti di produzione di un cibo buono, pulito, giusto e sano.

serena milano

Un quinto delle emissioni di gas serra deriva dalla produzione di cibo

Con la responsabile della Fondazione Slow Food per la Biodiversità cerchiamo, allora, di approfondire come si esprime, a livello pratico, il legame tra cambiamento climatico e  agricoltura, facendo riferimento ad alcuni dati: “Il sistema alimentare attuale è anche una delle cause del cambiamento climatico. A livello globale la produzione di cibo è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra (21%) (Ar5 Ipcc 2014; The state of food and agricolture by FAO 2015)”. Secondo Slow Food, questo è dovuto all’utilizzo di pesticidi e altri prodotti chimici, all’eccessivo consumo di carne rossa, allo spreco di acqua e di cibo, al consumo di suolo e alle importazioni di cibo da Paesi lontani.

Gli allevamenti intensivi causano desertificazione

deforestazione e desertificazione
Foto: Francesco Sottile

A questo sono collegate anche la produzione di mangimi, che rappresenta il 40% della produzione agricola mondiale (FAO, 2012) e gli allevamenti estensivi, spiega Serena Milano: “ad oggi, secondo la FAO, in media il 36% della produzione mondiale di cereali viene impiegata per nutrire gli animali da carne e da latte, con differenze che vanno dal 4% in India al 65% negli Stati Uniti”. La creazione di nuovi pascoli per il bestiame è inoltre una delle principali cause di deforestazione, specialmente in America Latina. Infatti, “nel periodo 1990-2005, il 71% della deforestazione in Argentina, Colombia, Bolivia, Brasile, Paraguay, Perù e Venezuela è stato causato dalla crescente domanda di pascoli (FAO 2012, Livestock and Landscape). Il dato è ancora più allarmante nelle terre aride, dove inappropriate politiche di gestione del bestiame contribuiscono all’avanzamento della desertificazione (FAO 2012, Livestock and Landscape)”.

Una panoramica non certo rassicurante, che mostra come gli ettari di terreno e le quantità d’acqua funzionali agli allevamenti intensivi, così come le emissioni di gas serra legati alla produzione di cibo, contribuiscano al cosiddetto climate change. Gli impatti di un tale sistema alimentare a livello globale sono sotto gli occhi di tutti, a partire dal surriscaldamento del Pianeta: “è stato calcolato che l’aumento di 1°C della temperatura media equivale a uno spostamento delle colture di 150 chilometri più a nord, come latitudine, e di 150 metri di altitudine. Già  oggi, per esempio, nuovi vigneti producono uve da Champagne in Gran Bretagna, qualcosa di impensabile pochi anni fa”, racconta l’intervistata.

25 milioni di profughi climatici nei prossimi 40 anni

Nei Paesi più poveri del mondo, gli effetti del cambiamento del clima porteranno instabilità e scarsità di risorse, aggravando le condizioni di vita di moltissime persone che soffrono la fame e che vivono in zone di guerra, come sta già avvenendo, ad esempio, in Niger, Yemen e Somalia. Inoltre, il pescato di alcune aree marine dei tropici – già oggi molto sfruttate – calerà del 50% con gravi ripercussioni sulla sussistenza delle popolazioni che basano la propria alimentazione sulle fonti proteiche provenienti dagli oceani. La referente Slow Food chiarisce che “milioni di persone migreranno da zone sempre più aride a zone più fertili: sono i “profughi climatici”, o i “rifugiati climatici”, cioè persone che lasciano le proprie terre per muoversi verso territori più ospitali, meno siccitosi e meno esposti agli estremi climatici (Ghimire et al., 2015). Per l’International Organization of Migration da 25 milioni a un miliardo di persone potrebbero essere spinte a migrare nei prossimi 40 anni”.

slow food travel
Foto: Wolfgang Hummer

L’agricoltura sostenibile salverà il mondo?

Alla base dei progetti realizzati da Slow Food ci sono la promozione e la divulgazione dell’agroecologia: una risorsa fondamentale per far fronte al cambiamento climatico. Chiediamo, allora, alla responsabile della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, in che modo contadini, allevatori e pescatori di piccola scala sono custodi del Pianeta e rispettosi del clima: “a differenza dell’agricoltura intensiva, l’agroecologia si fonda sul rispetto della biodiversità, sul riciclo dei nutrienti, sulla sinergia e sull’interazione tra colture, allevamento e suolo. Ricicla biomassa tramite la produzione di compost (in sostituzione di fertilizzanti di sintesi); applica tecniche colturali quali il sovescio, aumentando così la fertilità dei suoli e quindi la capacità naturale di sviluppare il massimo della resa senza l’impiego di chimica; si preoccupa di mantenere in equilibrio gli insetti utili riducendo al minimo possibile l’impiego di agrofarmaci per la difesa delle colture; usa in modo efficiente l’acqua e le energie rinnovabili, per ridurre i consumi idrici e l’impiego di energie fossili. Infine, valorizza e tutela la biodiversità vegetale, animale e microbica”.

Come affrontato anche nell’intervista alle autrici de “La rivoluzione delle api”, la biodiversità è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare e la produzione alimentare nel mondo.
Se scompare la biodiversità, che cosa succede al nostro cibo? “Insieme alle piante e agli animali selvatici, scompaiono le piante coltivate dall’uomo, le razze da latte e da carne selezionate dall’uomo”. Non si tratta purtroppo di uno scenario futuro, ma sta già avvenendo, infatti secondo la Fao il 75% delle varietà vegetali è irrimediabilmente perso (negli Stati Uniti si arriva al 95%). “Oggi – prosegue l’intervistata – il 60% dell’alimentazione mondiale si basa su 3 cereali: grano, riso e mais. Non sulle migliaia di varietà di riso selezionate dagli agricoltori che un tempo si coltivavano in India e Cina. O sulle migliaia di varietà di mais che si coltivavano in Messico. Tutto si limita a pochissimi ibridi selezionati e venduti agli agricoltori da una manciata di multinazionali”.

Alla luce di tutto questo, quali sono, quindi, le azioni e gli obiettivi di Food for Change?

cibo e cambiamenti climatici
Foto. Paola Viesi

Mi informo, agisco, dono: come contribuire a Food for Change

Food For Change è stata lanciata lo scorso settembre in occasione di Terra Madre Salone del Gusto e viene portata avanti attraverso attività online e offline per sensibilizzare sul cambiamento climatico, che ognuno di noi può contribuire a contrastare, attraverso semplici abitudini.

Consumo di carne e spreco alimentare

In media un cittadino dell’Unione Europea consuma 80,6 kg di carne all’anno. Secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, ne basterebbero 25. Inoltre, come ricorda l’intervistata, “l’Oms indica in 500 grammi a settimana la quantità di carne ideale per una dieta ottimale (ovvero 2 kg al mese, 24 kg all’anno)”.

Ogni anno lo spreco alimentare riguarda 1,3 miliardi di tonnellate di cibo nel mondo: un terzo della produzione totale: “questa inutile produzione di cibo comporta l’uso di una quantità di acqua pari al flusso del fiume Volga e l’impiego di 1,4 miliardi di ettari di terreno (quasi il 30% della superficie agricola mondiale). La produzione corrispettiva in gas serra è pari a 3,3 miliardi di tonnellate (FAO, 2015)”.

Gli sprechi, secondo la FAO, avvengono per il 54% “a monte”, in fase di produzione, raccolta e immagazzinaggio, per il 46% avvengono invece “a valle”, nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. “In linea generale, spiega l’esperta – nei Paesi in via di sviluppo le perdite di cibo si hanno soprattutto nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono ad essere più rilevanti nelle regioni a medio e alto reddito”.

disco soup francia
Archivio Slow Food

Oltre che attraverso scelte quotidiane, come ci spiega Serena Milano, “cittadini e consumatori possono sostenere la campagna in molti modi: informandosi, impegnandosi in un gesto concreto o donando”:

  1. Informare, ovvero approfondire il legame fra cibo e cambiamento climatico, seguendo le attività di Slow Food e diventando parte attiva della sua rete.
  2. Invito all’azione – La prima tappa della campagna si è svolta tra dalil 16 al 22 ottobre 2018. In quell’occasione, 5000 persone hanno preso l’impegno, per una settimana, di mangiare cibo locale, non mangiare carne, non sprecare cibo.
  3. Mese del produttore – La seconda tappa della campagna è in corso ora: dal 1° novembre al 31 dicembre la rete di Slow Food, in ogni parte del mondo, si mobilita per creare eventi e rendere omaggio ai veri eroi del clima (i piccoli produttori) e per raccogliere fondi.
  4. Donare – L’obiettivo della campagna è anche quello di raccogliere donazioni per sostenere gli oltre 10.000 progetti di Slow Food. E quindi per sostenere produzioni locali che tutelano la biodiversità, promuovere un cibo buono, pulito e giusto e rispettare il pianeta.

Se avete voglia di approfondire o di sostenere la campagna, visitate il sito e fateci sapere cosa ne pensate!

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