Giornale del cibo

“Food Coalition”: Italia e FAO insieme per un’alleanza globale in risposta all’emergenza Covid-19

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Sono numerosi gli effetti della pandemia sulle vite delle persone nel mondo. La chiusura delle scuole, il passaggio alla Didattica a distanza e l’impoverimento delle famiglie rendono per migliaia di bambini e bambine in tutta Italia questo periodo particolarmente difficile. Come ci raccontava qualche mese fa Antonella Inverno di Save the Children, infatti, quasi la metà delle famiglie italiane con figli di età compresa tra gli 8 e i 17 anni ha dovuto ridurre le spese alimentari, il che implica un potenziale aumento del rischio di sviluppo, nei bambini, di forme di malnutrizione, tra cui anche sovrappeso e obesità. Una prospettiva confermata anche da un recente studio dell’Università Cattolica di Milano secondo la quale ben un bambino su sette in Italia si trova oggi in una condizione di insicurezza alimentare.

Consapevole della situazione, che si ripercuote a livello globale, la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, lancia la “Food Coalition”, un programma globale con l’obiettivo di rinforzare e adeguare alla pandemia le azioni per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile Fame Zero. Vediamo di cosa si tratta.

Insicurezza alimentare in Italia: cibo insufficiente per un bambino su sette

La pandemia da Covid-19 sta peggiorando lo stato di sicurezza alimentare di tutti i Paesi monitorati dalla FAO nella stesura del suo annuale rapporto. Stando ai dati raccolti dall’organizzazione, nel mondo ci sono 690 milioni di persone che soffrono la fame, quasi 750 milioni di persone in condizione di insicurezza alimentare e 2 milioni di persone che non hanno accesso regolare al cibo. Tutti dati che, secondo le stime della FAO e del World Food Programme insignito quest’anno del Premio Nobel per la pace, andranno ad aumentare a causa della pandemia.

Renderà più critica la situazione anche in Italia dove un bambino su sette non ha accesso a beni alimentari e nutritivi sufficienti, come descrive uno studio pubblicato a novembre sulla rivista Food Security condotto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze della vita e Sanità pubblica dell’Università Cattolica, sotto la guida dei docenti dell’Ateneo del Sacro Cuore Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata, e Maria Luisa Di Pietro, Associato di Medicina Legale, il coordinamento scientifico della professoressa Chiara de Waure, associato di Igiene all’Università degli Studi di Perugia e Drieda Zace, dottoranda in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica all’Università Cattolica.

Lo studio, conclusosi nel 2019, ha preso in considerazione un campione di 573 bambini di età compresa tra 1 e 11 anni, nati in Italia, con genitori di nazionalità italiana, seguiti regolarmente da un pediatra di libera scelta in sei macro aree: Lombardia, Lazio, Marche, Campania, Puglia e Sicilia. Osservando il campione, i ricercatori hanno evidenziato che le famiglie di un bambino su sette non hanno la possibilità di accedere a cibo salutare, nutriente e sufficiente per sostenere lo sviluppo dei figli. Questo accade, secondo lo studio, perché il primo criterio utilizzato per la scelta di cosa acquistare è il prezzo. I ricercatori stimano che una famiglia su cinque abbia il timore di non avere soldi a sufficienza per acquistare gli alimenti di cui c’è bisogno fino alla fine del mese. Una criticità a cui rispondono acquistando cibo meno costoso, ma rinunciando alla varietà, elemento fondamentale per una dieta nutriente per i più piccoli.

povertà alimentare post covi
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Intervistata da Repubblica, la professoressa Maria Luisa Di Pietro ha spiegato “il dato potrebbe essere addirittura una sottostima, in quanto lo studio unico nel nostro Paese, sulla condizione economica, sull’accesso al cibo e sullo stato di salute dei bambini italiani non è stato esteso ai sobborghi disagiati dove sicuramente sono maggiori i disagi socio-economici delle famiglie. (…) C’è anche il rischio che con la chiusura delle scuole durante il lockdown e quindi con il mancato accesso alle mense scolastiche, che comunque sono garanzia di un pasto completo ed equilibrato per i bambini, l’insicurezza alimentare per i piccoli, specie se provenienti da contesti disagiati, possa essere aumentata”.

Food Coalition, l’iniziativa della FAO per sostenere le persone in difficoltà

La preoccupazione delle organizzazioni internazionali è che la pandemia porti un numero crescente di persone a soffrire la fame, o a trovarsi in varie condizioni di insicurezza alimentare, compromettendo il raggiungimento dei termini previsti dell’obiettivo Fame Zero. È necessario, secondo la FAO, adattare le azioni già previste al nuovo scenario condizionato dall’emergenza Covid-19, e per questo ha lanciato “Food Coalition”.

Si tratta di un’alleanza nata per supportare iniziative innovative che garantiscano l’accesso al cibo, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo, a cui gli Stati possono aderire su base volontaria. La Food Coalition valorizza, sempre nell’ottica di una lotta integrata contro la fame, azioni che aumentino la resilienza dei sistemi agroalimentari e che promuovano la strada della sostenibilità.

Questa “rete di reti”, come viene definita dalla FAO stessa, è stata promossa in primis dal Governo italiano e quello neozelandese, ma sono già oltre 30 i Paesi che hanno dimostrato interesse verso la Food Coalition. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervenuto durante la presentazione della Food Coalition, ha dichiarato: “Nessun leader dovrebbe permettere che, in un mondo ricco di cibo, le persone soffrano la fame. Di fronte alla pandemia, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi e rafforzare il nostro impegno abituale per sostenere i più vulnerabili.”

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Come funziona e quali sono gli ambiti di applicazione

La Food Coalition pone, in primo luogo, l’accento sulla volontà di più Paesi di promuovere azioni coerenti e globali per affrontare le conseguenze del Covid-19 dal punto di vista alimentare. Ciò risulta ancora più urgente alla luce del fatto che la pandemia sembra rallentare l’efficacia delle misure già adottate per raggiungere l’obiettivo Fame Zero entro il 2030. 

Nel concreto, come si legge sul sito della FAO, “l’iniziativa offre un fondo fiduciario dedicato e un polo informatico in rete, che consentono ai partecipanti di accedere a un ‘paniere’ di dati e informazioni specifiche per progetto, nonché alle risorse e alle tipologie di aiuti necessari per numerosi progetti sul campo.” Gli Stati aderenti hanno e avranno a disposizione delle “Schede d’azione” elaborate e aggiornate dall’organizzazione stessa che descrivono gli ambiti di intervento, ma anche le specificità delle singole aree geografiche. Ad esempio, un tema cruciale in Asia centrale e Europa orientale è quello del sostegno ai lavoratori migranti del settore agricolo, mentre in America Latina la priorità è sviluppare politiche di tutela sociale per il settore. Parte del fondo potrà – e dovrà – essere utilizzato anche per migliorare la capacità di resistenza agli agenti antimicrobici e la resilienza ai cambiamenti climatici, fino all’accelerazione nell’uso di dati geospaziali, anche attraverso una nuova banca dati elaborata dalla FAO stessa.

 

Gli ambiti d’azione della Food Coalition sono numerosi, dunque, e i promotori sono convinti che saranno molti gli altri Stati ad aderire aumentando così le capacità, anche economiche, del fondo stesso e realizzando in questo modo l’obiettivo di azione congiunta per garantire l’universalità del diritto al cibo.

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